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Per gli operatori

Conoscete Frank Merenda? Nonostante il nome poco promettente, si tratta di uno dei principali esperti di marketing riconosciuto a livello europeo. Carisma da vendere e personalità estrosa, talmente estrosa da renderlo spesso oggetto di sterili attacchi da parte dei soliti hater-invidiosi che infestano il mondo. Quando leggi in prima battuta un suo post social oppure la locandina di un evento non gli daresti nemmeno una lira, eppure riempie le aule di imprenditori che pagano cifre da capogiro per partecipare ai suoi corsi. No, non faccio la pubblicità a Frank Merenda e credo di non potermi nemmeno permettere di partecipare ad una della sue lezioni, ma lo seguo con interesse. Quell’attrazione morbosa che provi verso una persona che fondamentalmente ti sta antipatica, ma sai che dice la verità. Certo, in modo crudo, fin troppo diretto forse, ma pur sempre verità.

Notate qualche analogia con Revisioniautoblog? Lungi da me autoproclamarmi in stile Merdenda come il guru delle revisioni, ma ho notato grazie alle funzioni di WordPress, la piattaforma che ospita questo blog, che la gran parte dei miei followers è composta da haters, per usare lo slang “giovanile” attualmente in voga. In parole povere i più assidui frequentatori di questa pagina web sono persone legate al mondo delle revisioni che ricoprono posizioni, talvolta di rilievo, nettamente contrapposte allo spirito sovversivo che contraddistingue RAB. Eppure eccovi qua, dal primo all’ultimo, ed è proprio a voi che rivolgo questo articolo.

Ah, ultima premessa anti-boomers. Frank Merenda è tutto meno che un comunista col Rolex. Si rivolge esclusivamente agli imprenditori, ma è ovvio che ogni tanto debba parlare anche dei collaboratori che si occupano, in generale, della produzione. Il 15 Maggio, riprendendo un articolo di Forbes, la rivista statunitense n.1 al mondo in materia di economia e finanza, lancia una provocazione al mondo dell’imprenditoria italiana (immagine di sinistra)  scatenando l’indignazione, o meglio, l’indinniazioneh11!!! collettiva. Che avrà mai detto di così straordinario? Nulla, in realtà. Ha semplicemente analizzato in modo incredibilmente lucido il mondo del lavoro di oggi, uno specchio della società che cambia alla velocità della luce. Ha forse preso le difese della classe operaia? Macchè! Ve l’ho già detto all’inizio del paragrafo: a Frank Merenda non frega nulla degli operai. Eppure al classico “Brambilla Fumagalli”, stereotipo che identifica l’imprenditorino nostrano esaltato, il post non è andato giù. La colpa è sempre dei giovani che non hanno più voglia di lavorare e del reddito di cittadinanza. Ah, come non citare il reddito di cittadinanza, l’origine di tutti i mali.

E’ naturale. L’imprenditore medio italiano, o meglio, l’evoluzione (o involuzione?) del bottegaio, non può certo accettare un universo parallelo nel quale la forza lavoro non gli si prostra ai piedi in cambio di un tozzo di pane, con tanto di ringraziamenti ed onorificenze per la concessione del privilegio di avere un posto fisso. L’impiego permanente non è più fra mire delle nuove generazioni, come dimostrano le statistiche. Anzi, viene considerato addirittura “da sfigati”. Dinamiche inimmaginabili fino a qualche anno fa, ma oggi, di fatto, rappresentano la normalità. Non so se sia un bene o un male, ma i giovani millennilas non hanno più fame. E non mi riferisco alla fame come ambizione, bensì al bisogno esasperato di un’occupazione ad ogni costo, come fosse un dovere morale. Sono sempre meno i ragazzi che decidono di mettere su famiglia sotto i trenta e di conseguenza l’indipendenza economica non è più una necessita assoluta, ma un surplus che, in quanto tale, si interfaccia ad una serie di valutazioni personali. Mettiamoci anche gli indici di scolarizzazione che sono costantemente in crescita rispetto al passato ed ecco servito il quadro generale completo in materia di giovani e lavoro.

Per farla breve, se fino all’altro ieri un giovane avrebbe accettato tutte le condizioni pur di lavorare, oggi è molto più selettivo. Mi consentite un parallelismo “del tutto casuale”? Se fino all’altro ieri un neodiplomato con alle spalle 4 giorni di corso di formazione per diventare “responsabile tecnico della operazioni di revisione” sarebbe stato disposto a firmare per due spicci tutto ciò che voi, più o meno velatamente, gli imponevate, oggi, passatemi il termine, vi manda a cagare. E non è una questione di soldi, come testimoniano le centinaia di posti vacanti nei centri di controllo con offerte prossime ai 2000 euro netti mensili, cifre astronomiche fino a qualche anno fa per “l’omino delle revisioni”. Vogliamo dare la colpa al blocco della formazione in atto dal 2018? Se vi fa sentire meglio fate pure, ma il problema reale è la mancanza di prospettive che per i giovani di oggi valgono anche più di uno stipendio sostanzioso. Anche gli sporchi muri della autofficine oramai hanno capito che fare revisioni sotto-padrone è un lavoraccio: tu firmi, mettendoci le responsabilità civili e penali, ma alla fine decide lui, il padrone, che il più delle volte ha un livello di istruzione molto basso. Questa si chiama umiliazione e soprattutto al giorno d’oggi non ha più un prezzo: è semplicemente inaccettabile. – Eh, sai, siamo una piccola attività famigliare. Qui tutti ci diamo da fare, quindi quando non ci sono revisioni magari fai un po’ di meccanica, oppure di gomme. Poi, sai, c’è mia moglie in ufficio per la contabilità, magari quando sei fermo le dai un mano – oppure – Eh, è un settore un po’ particolare questo…quando arrivano i meccanici clienti dobbiamo (plurale naturalmente) chiudere un occhio, altrimenti, sai com’è… -. Questi spaccati di vita quotidiana tratti dal fantastico mondo delle revisioni oggi sono in calo grazie “ai giovani che non hanno più voglia di lavorare”, di lavorare alle condizioni che voi, per venti lunghissimi anni, gli avete imposto.

Bene. Se sei giunto fin qui significa che condividi appieno, oppure sei talmente incazzato che volevi vedere fino a che punto arriva l’irriverenza di questo blog. Eppure sei arrivato al termine dell’articolo, ben consapevole che quanto scritto rappresenta la verità, scomoda, ma pure sempre verità. Ed ora, a te la scelta. Puoi seguire le orme del Brambilla-Fumagalli incolpando i comunisti che mangiano i bambini e igiovanichenonsonopiùcomequellidiunavolta, oppure collegare il cervello, entrare in una macchina del tempo e materializzarti nel 2022. Ah, e sia chiaro: zero moralismi e zero filantropia.

Fatelo per voi stessi: o vi aggiornate, o avrete le ore contate come imprenditori.

A presto rosikini. Ci vediamo ad Autopromotec da giovedì.

P.s. Sulla pagina pubblica di Frank Merenda potete seguire gli sviluppi del post citato nel presente articolo. Se non sono riuscito a mettervelo nella zucca io, magari ci riesce Frank.

Confessioni di un RT

Buongiorno a tutti, non sono Carletto, sono Diego Brambilla, membro di Federispettori. No, non è la mia storia quella che sto per raccontarvi, ma riguarda un ispettore tecnico a me molto vicino. Un amico, un collega…una persona che però non ne parlerebbe mai in prima persona in quanto rappresenta l’impersonificazione del motto “vivi e lascia vivere”. E’ un bonaccione, non farebbe mai del male nemmeno ad una mosca e piuttosto che affrontare una qualsiasi situazione si defila, come ha fatto anche questa volta – per l’ennesima volta –. Ecco, questo non è proprio un complimento, ma Carlo è così: timido, riservato, timoroso e molto sensibile. Un carattere non proprio conforme ad un ruolo da pubblico ufficiale che tuttavia, devo riconoscere, svolgeva in modo molto professionale, anche troppo. Sì, perchè Carlo iniziò a fare il responsabile tecnico quasi per caso, spinto dal titolare dell’officina nella quale era assunto come aiuto-meccanico, ma non aveva mai capito a fondo in cosa consistesse il lavoro. Carlo non è stupido, ma si lascia trascinare: il capo impartiva gli ordini, lui li eseguiva, in buona fede. Anche perchè, va detto, fino al giorno in cui ci siamo conosciuti Carlo di auto e di revisioni non capiva una mazza. Niente, nisba, zero! Era la prova vivente del requisito in carne ed ossa: serviva al centro revisioni per poter operare, ma poi, nei fatti, era inutile. Inutile, ma indispensabile. Era in grado di valutare autonomamente le carenze di un veicolo? No. Chiedeva al meccanico o al titolare, e mi piace pensare che entrambi fossero sempre in buona fede, ma ne dubito. Ricordo ancora quando, durante il periodo di prova mi disse – Die’, io sta prova giochi non l’ho mai fatta, non saprei nemmeno cosa guardare – . Apro una piccola parentesi: era la quinta esperienza in un centro revisioni. Chiusa parentesi. Tuttavia aveva interesse, voglia di imparare ed io ero orfano di collega: decisi, di concerto con la direzione, di dargli una possibilità. Carlo è il primo ispettore che posso vantare di aver formato da zero – anche se sulla carta non era un apprendista -, ma , ahimè, temo di avergli fatto più male che bene. Decisamente.

All’alba dei trentacinque e rotti anni Carlo aveva aperto gli occhi per la prima volta, e naturalmente preferiva il mondo ovattato nel quale viveva. Non lamentava il fatto che il titolare decidesse per lui…non si poneva proprio il problema! Andava a lavorare, passava 8 ore in armonia e rientrava a casa; al primo del mese lo stipendio e via. L’indipendenza e la consapevolezza hanno distrutto Carlo. Questo perchè non solo gli ho insegnato a conoscere i veicoli e valutarne le carenze, ma ho dedicato molto tempo alla questione delle responsabilità civili e penali, quelle stupidaggini che ai corsi di formazione di 30 ore strutturati per plasmare marionette non menzionavano nemmeno. Fatto sta che così Carletto mi è andato in crisi. Dopo un esordio in cui gli unici rimproveri vertevano sull’eccesso di leggerezza (comprensibile, non aveva mai lavorato veramente), quasi di punto in bianco avviene la metamorfosi totale: da #schiacciatasti delle revisioni a mastro Prüfer Senior. Una medaglia, per me, ma una condanna per lui (e per l’azienda). Il problema tuttavia non era tanto la professionalità, ma il fatto che – va detto anche questo –, era troppo pignolo, veramente oltre misura. Ossessivo compulsivo: forse rende meglio l’idea. Non esisteva auto alla quale non contestava problemi all’avantreno: – Carlo, è normale che ci sia un po’ di gioco, altrimenti non si chiamerebbero silent-block -… Arrivava al mattino – e sono certo, non ci aveva dormito la notte –  esordendo con – ma la macchina di ieri faceva un tum-tum strano, ma non ho riscontrato nulla. Però secondo me…- Carlo, basta! Dopo un paio di anni i rapporti con l’azienda si sono incrinati definitivamente (50% di ragione per entrambi) e Carlo è passato ad altro impiego.

Bene, se Carlo non aveva – e non ha tutt’ora – il dono del buonsenso, io di certo non ho quello della sintesi. Le vicende narrate sino ad ora sono semplicemente l’introduzione, ma ci forniscono comunque alcune testimonianze su quello che è il settore revisioni oggi in Italia. 1) Sono abilitati ispettori che non hanno la minima idea di cosa sia la revisione di un veicolo, ma vivono serenamente (ecco perchè i sindacati del settore faticano a fare breccia) 2) In Italia l’eccesso di pignoleria è malvisto anche se in altri settori viene pagato profumatamente. Passiamo oltre. Nuovo centro revisioni, nuovi screzi: dopo sei mesi Carlo ri-abbandona. Fa notizia? Ormai non più, purtroppo. La storia che mi ha colpito, e che vorrei condividere con tutti voi, è un’altra, molto più grave ed al contempo più demotivante: è la conferma che il coltello dalla parte del manico, alla fine, ce l’ha sempre il capo. Settimo centro di revisioni per il buon Carletto e dopo sole due settimana di lavoro e qualche scaramuccia, come da copione, sull’eccessiva pignoleria il primo (ed ultimo) grave problema. Ricevo un messaggio alle 7 del mattino con il seguente testo: “Ciao Die, ma se sto a casa da lavoro un giorno il centro può fare le revisioni?”. Domande che non andrebbero nemmeno poste. Chiamo Carlo e mi faccio spiegare la situazione attendendo la conferma di ciò che sin da subito mi è parso evidente. Dopo averlo messo in guardia sui pericoli che lui stesso avrebbe corso sia firmando i referti delle pratiche effettuate da terzi che lasciandoli in bianco – era comunque lui l’ispettore in carica agli atti – l’ho convinto a segnalare la vicenda, quantomeno per tutelarsi in caso le revisioni fossero risultate fasulle. Dopo aver provveduto personalmente ad avviare la procedura con la Motorizzazione e la provincia, rimango in attesa del certificato di malattia che avrebbe attestato in modo inequivocabile la sua assenza al centro revisioni. Avete presente quando vi  ho raccontato delle paranoie con la prova-giochi? Ecco, trasferite il concetto sulla segnalazione.  – Ma se lo scopre? – – Se viene a cercarmi a casa? –  Sapevo che tanto per una scusa o per l’altra non sarebbe mai arrivato al dunque, ma udite udite fino a che punto possono essere infide le persone. Il titolare, a quanto pare presunto CTU per il tribunale, lo ha intimidito facendo leva su questa posizione dopo aver fiutato il rischio di querela. Il pomeriggio Carlo mi chiama esordendo con testuali parole: – Ferma tutto, ferma tutto! Ha i filmati del colloquio di lavoro nel quale affermavo che avrei chiuso un occhio in determinate situazioni -. Respiro profondamente e gli chiedo se avesse mai firmato una dichiarazione di consenso per essere registrato. – No no, cioè, non mi ricordo…non credo però… – Ed aggiungo – Ma cosa gli hai promesso di così compromettente??!! – (poi, conoscendolo…) – Ti giuro, non mi ricordo, ho un vuoto! – Comprendo lo stato confusionale frutto di una meschina operazione di plagio (non che ci volesse molto a raggirarlo eh) e gli lascio del tempo. Volete sapere come è finita la storia? Alla fine il problema del mutuo da pagare ha prevalso su qualsiasi altro buon proposito di cercare, nel proprio piccolo, di fare la cosa giusta. Carlo ha barattato il silenzio per un licenziamento che gli consentisse di accedere alla Naspi, considerando per giunta questo gesto come un atto di grande umanità da parte dell’ex-titolare. Caro Carlo, non mi sento di giudicare la tua scelta, ma credo di aver buttato via un sacco di tempo con te. Ricorda sempre che se vuoi cambiare la tua posizione devi agire in prima persona e fare scelte coraggiose, non abbandonarti alle decisioni altrui. Sii padrone della tua vita.

E con questo ti auguro un grande in bocca al lupo per tutto.

Per gli operatori

IL QUADRO NORMATIVO E LE RELATIVE EVOLUZIONI

Il 29 Dicembre 1976 l’allora presidente del Consiglio Europeo Tjerk Westerterp firmava la direttiva 77/143/CEE. Era il primo passo, una pietra miliare nella motorizzazione europea, verso l’obiettivo dell’armonizzazione dei controlli tecnici periodici sia in termini di periodicità sia in termini di elementi da controllare. L’obiettivo era quello di rendere le strade europee più sicure attraverso i controlli periodici obbligatori del parco circolante. Con la legge delega 190/91 il Parlamento italiano delegava il governo l’aggiornamento delle norme per la revisione periodica dei veicoli. Nel 1992 con il Codice della Strada D Lgs. 185/92 all’articolo 80 si individuavano le nuove cadenze imposte dall’Europa. Ad accompagnare e completare questo iter di armonizzazione, intervenivano negli anni diverse direttive europee, talune recepite direttamente come Decreti Ministeriali, tal altre recepite indirettamente in impianti normativi più complessi

  • Direttiva 94/23
  • Direttiva 96/96  -> DM 408/98
  • Direttive di adeguamento della 96/96
  • Direttiva 1999/52  -> DM 197/2000
  • Direttiva 9/2001 -> DM 54/2002
  • Direttiva 11/2001 -> DM 207/2002
  • Direttiva 40/2009
  • Direttiva 45/14 -> DM 214/17; DM 211/18

Su quali fossero (e siano) le finalità del Controllo Tecnico Periodico ci sembra corretto far parlare la Direttiva stessa che proprio nella sinteticità dei suoi considerando è efficace nel riassumere ciò che ancora oggi è l’essenza di questa operazione. Qui sotto potete vedere la prima pagina della 77/143/CEE.

A volte ripercorrere il tempo all’indietro ci può servire anche per chiederci “Ma come siamo arrivati sin qui?” e, indipendentemente da come questo “qui” sia giudicato, ci si pone la domanda se oggi rispondiamo a quelle aspirazioni condivise in un documento di 44 anni fa.

E’ un modo di fare un bilancio ma anche di proiettarsi nel futuro portandosi addosso, però, la consapevolezza del passato.

In 44 anni è cambiato un mondo ed anche il “microcosmo” dei controlli tecnici periodici.

Sono cambiati i veicoli sotto la spinta di una evoluzione incessante. Mentre si scriveva quella Direttiva il Parco Circolante Europeo aveva probabilmente una gran parte di veicoli a trazione posteriore. Il freno di soccorso era per lo più il freno di stazionamento e l’alimentazione dominante era a benzina. Sono cambiate molte infrastrutture (da noi, ahinoi, spesso in peggio).

E’ cambiato il lavoro dei meccanici che sono ormai oggi dei meccatronici che quando sentono parlare di “rettifica” di un motore faticano a credere che una volta fosse una larga parte del lavoro della loro categoria. Ma non sono cambiati i principi e gli obiettivi dei controlli tecnici periodici per cui, al netto di tutti i cambiamenti, la domanda su cosa fare per il futuro passa necessariamente dal volgere uno sguardo all’indietro per non ripetere gli stessi errori perpetuandoli in un circolo vizioso da Eterno Ritorno Nietzschiano.Si arrivava, così, al 1997, anno in cui la Motorizzazione Civile italiana “concedeva”* ai primi centri di revisione privati di compiere le operazioni di revisione ponendo fine al monopolio statale dell’attività.

*(era ancora Concessione, ma si parlò già di Autorizzazione nel 1998: Bassanini incombeva. Al proposito e in ordine agli aspetti negativi di questa trasformazione delle concessioni in autorizzazioni si leggano in allegato le pregevoli, attualissime e addirittura profetiche considerazioni fatte all’epoca dal direttore della MCTC di Salerno Ing. Antonio Falco, oggi in pensione, e dalla Dott.ssa Rossella Cassaneti, oggi Giudice della Corte dei Conti, che avevano focalizzato, già all’epoca, una serie di importanti discrasie del sistema in termini di formazione, di standard qualitativi, di conformità dei locali per lo svolgimento delle revisioni, di terzietà e conflitto di interessi e, soprattutto, di efficacia del controllo a campione sulle revisioni svolte dalle officine che sarebbe stato da rendere “immediato” e non, come previsto dalla norma, un “richiamo” differito nel tempo.)

Eravamo agli albori e la DG MCTC dell’epoca era preoccupata che i numeri del 4-2-2, nuovo regime a cui ci costringeva l’Europa dopo decenni di 10-5-5, potessero trovare un numero sufficiente di officine per essere evasi. Le cadenze imposte dalla Direttiva 77/143, infatti, stabilivano una periodicità minima del controllo in un (4+2+2) rispetto a al (10+5+5) vigente, e spingevano all’apertura verso i privati, peraltro già riconosciuta nell’articolo 80 del CdS di cinque anni prima. 

Di quell’epoca ricordiamo le lunghissime file davanti ai primi centri privati che avevano numeri di revisioni da capogiro, spesso largamente superiori alle 100 al giorno (!) con controlli che duravano pochi minuti tra una prova freni, un’accelerata ed un rapido passaggio su ponte sollevatore. Del resto si arrivava dall’epoca in cui anche le revisioni in esterna (ex legge 870/86) fatte dalla MCTC duravano il tempo di un “Lancia e Frena” e “Accendi le frecce”.  Da un contesto che vedeva come unico player la Motorizzazione ed attori officine di preparazione alla revisione ed agenzie di pratiche automobilistiche, si passava ad uno scenario completamente diverso.

Gli attori di questa trasformazione furono, dunque, in primo luogo le Officine di Riparazione (con requisiti che riguardavano i locali, le iscrizioni camerali alle categorie di gommista, carrozziere, elettrauto e meccanico motorista, la capacità finanziaria e le apparecchiature), il soggetto principale che riceveva l’investitura della concessione dalla MCTC. Attorno ad esse quelli che oggi chiamiamo CAT (Centri di Assistenza Tecnica) ovvero i fornitori di apparecchiature che coincidono spesso con i “taratori”. Dentro di esse una figura necessaria: il Responsabile Tecnico, perché doveva pur esserci un soggetto che si prendesse la responsabilità di questa operazione. Ovviamente poi la Motorizzazione e qualche anno dopo anche le province ed infine i protagonisti principali, ovvero gli automobilisti ed il parco circolante da controllare che è ciò su cui, in ultima istanza, deve incidere la revisione dei veicoli per renderlo più sicuro e meno impattante su ambiente e salute. Un attore di “contorno” sono state le associazioni di rappresentanza che in questi oltre due decenni hanno mediato istanze e operato azioni di lobbie sul Ministero nell’interesse dei soggetti che esse rappresentavano.

Le officine che poi ottennero la concessione possiamo classificarle grossomodo come segue:

  1. Officine propriamente dette che effettuano realmente la riparazione in almeno una delle quattro categorie (oggi tre essendo il meccatronico la sintesi di elettrauto e meccanico motorista). Infatti, la norma obbliga ad avere le categorie ma non ad esercitarle né ad avere le attrezzature minime. Pertanto vi sono officine solo (p.es.) gommiste ed altre che esercitano tutte le attività (p.es. concessionarie). In questo caso ci troviamo di fronte ad officine che effettuano sia riparazione che revisioni;

  2. Consorzi ovvero raggruppamenti di officine di autoriparazione che “coprono” le categorie necessarie. Tuttavia il soggetto giuridico Consorzio che da quel raggruppamento origine, effettua esclusivamente revisioni e non riparazioni;

  3. Centri “puri” ovvero officine dotate di tutte le categorie che non ne esercitavano nessuna ed eseguivano esclusivamente revisioni senza autoriparazioni.

Si tratta, dunque, di realtà abbastanza disomogenee. Ma anche all’interno delle stesse classificazioni possiamo operare distinzioni, per esempio, di dimensione e così si va dalla piccola officina alla grande concessionaria che, ovviamente, da un punto di vista della organizzazione hanno strutture molto differenti.

Questa varietà di realtà riflette (e rifletteva all’epoca) una notevole diversità anche dal punto di vista dei conti economici e, come appena detto, di struttura organizzativa e, conseguentemente, del soggetto che andava ad interpretare la funzione di Responsabile Tecnico che allora, per come fu concepito il sistema, era un “requisito” e non, come ricorda la 45/14, il dominus della procedura di Controllo.

Essendo esclusivamente un requisito, ovvero un elemento di una struttura che riceveva l’investitura di concessione/autorizzazione, il Responsabile Tecnico fu visto all’inizio come un soggetto specifico a cui, pur non avendo richiesto abilitazioni specifiche, si affidava un ruolo di responsabilità. Solo col tempo e, soprattutto, con la Direttiva 45/14 si è maturata la consapevolezza della centralità di questo ruolo.

Il suo ruolo subalterno fu, insomma, una naturale conseguenza del modo in cui il sistema fu impostato e la realtà odierna è una conseguenza che solo il blocco dei corsi di formazione (sempre conseguenza del recepimento della 45/14) ha in parte mitigato facendo acquisire alla figura una aura di necessarietà in virtù di un più difficile reperimento di soggetti idonei a svolgere il ruolo.

(ruolo subalterno che è ben testimoniato in una sezione del sito dell’associazione di categoria Federispettori ,dedicata alle testimonianze dirette degli operatori del settore )

Una significativa dimostrazione di come fosse considerato il Responsabile Tecnico è data dall’atteggiamento di specifiche associazioni e lobbie nel percorso di recepimento della Direttiva Europea da parte della Conferenza Stato Regioni. L’implicito riconoscimento assegnato alla figura dell’Ispettore con l’imposizione di un impegnativo percorso formativo con solidi requisiti di base, fu subito osteggiato da chi aveva convenienza a vedere svilita questa figura che fu da essi definita quasi come di uno “schiacciatasti” privo di una qualche pregevole professionalità ma solo banale elemento di un’officina.

Un tentativo tuttora in corso di “semplificazione” che ha come unico scopo quello di banalizzare una figura che invece la normativa europea ha posto al centro del processo di verifica di conformità alla circolazione. Del resto, coloro che operano questo tentativo, sono gli stessi che hanno difeso la figura del cosiddetto “Sostituto Responsabile Tecnico” ovvero quella figura con cui per lungo tempo si sono elusi i requisiti basici del Responsabile Tecnico.

E’ fin troppo chiaro che chi rappresenta le officine o tutti quei soggetti che hanno interesse a mantenere in posizione subalterna l’Ispettore si oppongano ad uno scenario che muterebbe i rapporti di forza. Così come vi si oppongono coloro che sono i responsabili della spinta all’apertura di nuovi centri ovvero la filiera (costruttori, distributori, installatori) delle apparecchiature, ingolosita dai guadagni per la vendita di linee nuove e dalle prospettive di business per tutti i ricambi e le tarature degli stessi di cui detengono l’esclusiva. Del resto in pochi mesi i centri revisione arrivarono a circa 2500 (inizio 1999) e già a 4000 (fine 1999) e oggi galoppano oltre quota 9000. La taratura delle apparecchiature, inizialmente appannaggio esclusivo dei venditori delle stesse che la effettuavano su “licenza” delle case costruttrici, era in un sostanziale monopolio. Solo in seguito nascevano soggetti “trasversali” come ALPI e Cartesio a formare quello che è, tuttavia, un sostanziale oligopolio con tariffe bloccate.

Una testimonianza del ruolo degli Uffici Provinciali della Motorizzazione in tutto ciò è largamente data dalla lettera precedentemente allegata (immagine sopra). Sotto la pressione del Ministero, preoccupato di rispondere alle necessità della nuova cadenza, gli uffici provinciali si rendevano già conto della difficoltà di gestione di questi nuovi soggetti che si stavano creando e, soprattutto, si chiedevano come rendere più efficace anche il loro ruolo istituzionale di controllori rendendosi conto delle possibilità di elusione collegate con un controllo a campione per richiamo proponendo dall’interno oltre ventidue anni fa ciò che, come vedremo dopo, AICC propone oggi sebbene con meccanismi più mirati. Negli anni questa attenzione sarebbe scomparsa per lasciare il passo a soluzioni (MCTC NET 1 e poi 2) che da punti di partenza per un controllo più efficace venivano venduti come punti di arrivo quali non erano. Man mano la decimazione del personale si tramutava in lassismo verso tutti quegli adempimenti che soverchiavano le forse degli uffici provinciali peraltro poco supportati da interventi direttivi efficaci.

Come denunciava la Motorizzazione di Salerno, il passaggio alle province della competenza sul rilascio delle autorizzazioni, pur con il correttivo della sorveglianza tecnica in capo alla MCTC, segnava un punto di svolta negativo con i Centri di Revisione che venivano a trovarsi in una specie di “Mondo di Mezzo” dove spesso e volentieri (le ultime vicende sull’obbligo di apertura/chiusura durante il lockdown ne sono state una plastica dimostrazione con una incredibile disomogeneità di situazioni) non si sapeva chi doveva controllare cosa tanto più che aggravata da una sostanziale incompetenza in materia delle province. In un paese dove la presa delle responsabilità è spesso esercizio di gioco al rimbalzo questa rappresenta una condizione ideale per gente senza scrupoli e furbi di ogni risma.

Altri attori sono l’Automobilista ed il suo veicolo che è l’oggetto di questa attività di revisione. Veicoli di un parco circolante che ha età media abbondantemente sopra i dieci anni. Al momento del passaggio epocale dalla Motorizzazione alle Officine Private (e dal 10-5-5 al 4-2-2) gli automobilisti erano abituati ad avere un rapporto indiretto con gli esaminatori del proprio veicolo. Spesso erano agenzie pratiche auto oppure officine meccaniche che preparavano l’auto alla revisione, ad occuparsi di fare da “intermediario” mentre la quota degli automobilisti che si preoccupava di recarsi in prima persona a fare la revisione (presso gli uffici provinciali piuttosto che alle sedute esterne ex legge 870) era più bassa. Il rapporto del cittadino con la revisione era di timore reverenziale e, benché non mancassero problemi (revisioni su libretto come accertato dalle autorità giudiziarie già negli anni ‘80) ed il controllo strumentale fosse pressocché sconosciuto, il “rispetto” induceva a preparare il veicolo prima di andare a controllo. Questa buona abitudine e questo rispetto furono mantenuti per i primi tempi di questo passaggio dalla Motorizzazione alle officine così persistevano come quelle figure di intermediari (autoriparatori e agenzie) che si preoccupavano di condurre il veicolo a revisione. In questo secondo caso la promiscuità che si creava (essendo l’intermediario una figura persistente che aveva un “pacchetto veicoli”) induceva sicuramente a condizioni ambientali non idonee con pressioni e impliciti ricatti di natura commerciale. In ogni caso sia atraverso gli intermediari, sia con la presenza diretta degli automobilisti, venivano fuori una serie di veri e propri refrain ripetitivi che era possibile ascoltare in tutta Italia da Nord a Sud: “Uso la macchina solo per la campagna”; “Ci vado solo a fare la spesa”; “Ci accompagno solo i bambini a scuola”. Tutte giustificazioni che da punto di vista dell’automobilista di turno avrebbero dovuto far chiudere un occhio sulla mancata attenzione alla manutenzione del veicolo. E del resto il vero punto focale della revisione è proprio questa maleducazione alla manutenzione del veicolo che viene sottovalutata come lo sono tutte le attività di prevenzione i cui effetti positivi non si percepiscono tranne accorgersene quando è troppo tardi.

Infine, come abbiamo già ricordato, attori sono anche le associazioni di categoria o gruppi di lobbies che negli anni hanno rappresentato interessi specifici con CNA e Confartigianato a far la parte dei leoni per la rappresentanza delle officine, ed AICA, ALPI e Cartesio a rappresentare gli interessi di costruttori e taratori e a “indirizzare” decisioni della Direzione Generale della MCTC che ci hanno condotto fino alla situazione odierna.

La Storia di questi 23 anni di revisioni esercitate dalle officine private ha offerto episodi pittoreschi sin dall’inizio quasi a disegnarne le contraddizioni strutturali. La prima inchiesta in assoluto che raccontava questa “privatizzazione” di un servizio pubblico in salsa italiana, metteva già in risalto episodi che testimoniavano la tendenza di base degli automobilisti di considerare la revisione un adempimento da “aggirare” piuttosto che da affrontare con lo spirito di chi è consapevole che una corretta manutenzione incide sulla sicurezza stradale. Come dimenticare, infatti, il famoso cartello fotografato in quell’articolo a firma Maurizio Caprino del 1998 su Quattroruote: “Fittasi Gomme per Revisioni”? Un cartello a suo modo rassicurante in quanto sicuramente in quella zona dove il cartello campeggiava presso un gommista, operava un centro di revisione privato che le “gomme” le controllava tanto che chi presentava il veicolo a revisione doveva adeguarle almeno per il tempo del controllo. Tuttavia la precipitosità con la quale ci si era affrettati a rilasciare le concessioni, aveva fatto perdere di vista tanti aspetti importanti sebbene questi fossero ben presenti ai dirigenti degli uffici provinciali in periferia. Fenomeni, già presenti anteriormente alla privatizzazione, di revisioni con la sola carta di circolazione, erano destinati adesso ad amplificarsi con la nascita di veri e propri “etichettifici” a cui bastava uno sbiadito fax in bianco e nero (sembra la preistoria della comunicazione via telefono) per poter avviare un’operazione virtuale che si concludeva con la stampa di un bollino in arrivo da un CED al quale internet era ancora sconosciuto ed al quale ci si collegava via ISDN. Si era a cavallo di un millennio e l’Italia non aveva ancora conosciuto l’Euro quando, per porre rimedio ad un malcostume ormai tangibile, si partorì il primo protocollo MCTC NET che necessitò di alcuni anni (Marzo 2004) prima di vedere le prime applicazioni di apparecchiature in rete con la grande felicità delle case costruttrici di apparecchiature che dopo una prima ondata di apparecchiature per l’apertura, si ritrovarono a poter vendere gli aggiornamenti (che in molti casi non furono possibili e si dovette procedere alla rottamazione del vecchio strumento p.es. molti fonometri Bruel & Kjaer prima versione). Pur nella sua imperfezione e vulnerabilità (era facilissimo taroccare i files delle revisioni) il sistema garantì una sorta di tracciamento delle informazioni di prova lasciando agli operatori la sensazione che un “Grande Fratello” potesse osservare il loro lavoro. Nel contempo le officine continuavano a crescere di numero anche sotto la spinta e per la felicità dei venditori di apparecchiature. Dal primo MCTC NET ad MCTC NET2, altro rinnovo globale di apparecchiature per la felicità di chi le rivende, passeranno poi dieci anni di “nulla”, con una MCTC sempre più in affanno nel suo organico e sempre più di rado presente nei centri privati per i controlli. Su come la creazioni di nuovi sistemi sia del tutto inutile se non accompagnata da una volontà di controllo puntuale, saremo più espliciti nel dossier specifico. Come detto, la dinamica del Sistema Revisioni creato nel 1997 risentì inizialmente dell’inerzia di ciò che avveniva nelle sedute della Motorizzazione. L’atteggiamento dell’utenza (clienti automobilisti o, più spesso, intermediari come autoriparatori ed agenzie automobilistiche) era lo stesso consolidatosi negli anni precedenti. Di base c’era una sorta di timore reverenziale ed un rispetto per chi svolgeva l’operazione che aveva, quindi, una notevole autorevolezza nell’esigere il puntuale rispetto della normativa ovvero la piena conformità del veicolo al dettato del CdS. Questo imprinting iniziale durò giusto il tempo per capire i mutati “rapporti di forza”. Nel momento in cui i centri cominciarono a prolificare, l’utenza si trovò a poter scegliere tra centro e centro, e le officine cominciarono a vedere calare i numeri iniziali, cominciò la spirale al peggioramento continuo. In un contesto privo di cultura della sicurezza stradale e della collegata piena efficienza del proprio veicolo, ciò che contava maggiormente era: 1) non avere problemi per ottenere il bollino”Regolare”; 2) averlo al minor prezzo possibile. La seconda, in fondo, riassorbe anche la prima in quanto la “revisione facile” è una revisione che fa risparmiare tempo e denaro (per eventuali riparazioni/ripristini necessari che non vengono effettuati). A fine 1999 con un numero complessivo di revisioni effettuate di poco oltre 10 milioni, i centri erano circa 3950 con 9,50 auto per centro come media giornaliera e 2650 come media annua (Dati tratti da documenti elaborati da AIRA CNA sulla base di dati forniti dal Ministero dei Trasporti). Da allora ad oggi l’incremento è stato più lento ma progressivo con un numero di officine raddoppiato. Accade così che, tralasciando tutte quelle che ci sono state durante questi 20 anni, un’inchiesta di inizio anni 2000 ed una di 20 anni dopo si assomiglino in tutto e per tutto a testimonianza di una fenomenologia identica.

Auto Oggi del Settembre 2001 e Quattroruote del Luglio 2020. Crediamo non ci sia bisogno di alcun altro commento. Si può ancora parlare di episodi, mele marce e pecore nere di fronte a fatti identici da venti anni e diffusi su tutto il territorio nazionale?

I PROBLEMI OGGI

Sconti – Altrove si approfondiranno meglio tutte le discrasie che presenta oggi il Sistema delle Revisioni. Ne anticipiamo qui alcune. Il fenomeno degli sconti sulla revisione è ingovernabile. E del resto la scienza economica insegna che è il “mercato” a fissare il prezzo con la dinamica regolata dall’andamento dell’offerta/domanda. Va da sé che per offrire un basso prezzo garantendosi un margine sufficiente occorra tagliare i costi. In questo contesto è difficile che a non averne conseguenze sia la qualità del servizio che viene offerto, tanto più se la qualità scadente è un fattore competitivo importante. Sconti ed omaggi che nascondono, non di rado, un riutilizzo di incassi a nero dal momento che la fatturazione viene fatta per la tariffa in vigore. Chi ha intesse a fatturare € 66,88 e prendere € 20 in meno e perché? E’ accettabile che un autorizzato di servizio pubblico operi con tale commistione fiscale?

Come gli automobilisti vedono la revisione oggi: #larevisione non serve…ed è solo una tassa – Il modo in cui l’automobilista concepisce ormai il controllo di revisione è parte di una disfatta. Ormai nella mente di molti si è fata strada la convinzione che in fondo #LAREVISIONENONSERVE e sia l’ennesima tassa. #LAREVISIONENONSERVE è un hashtag provocatorio ed ironico del blog RevisioniAutoBlog col quale si vogliono portare alla luce le testimonianze degli addetti ai lavori che ogni giorno fanno i conti con i veicoli pericolosi di clienti disinformati o menefreghisti. La revisione ministeriale da sempre viene vista di cattivo occhio dalla gran parte degli automobilisti. L’utente premuroso, certo della massima efficienza del proprio veicolo, vede nel collaudo un’inutile perdita di tempo, mentre l’instancabile polemico lo considera come l’ennesima tassa superflua imposta dallo Stato. Queste visioni distorte, alimentate da anni di cronaca in cui la revisione viene associata alle truffe (ahinoi vere), sottovalutano la professionalità dei tecnici in grado di rilevare anomalie difficilmente riscontrabili nei check periodici. Qui una rapida carrellata, sicuramente non esaustiva degli “orrori” pericolosissimi che bravi Ispettori individuano e segnalano cercando di far capire all’automobilista l’importanza della manutenzione. https://www.facebook.com/hashtag/larevisionenonserve

Revisioni facili – Le inchieste di cui sopra disegnano una realtà ormai ineludibile. Nonostante MCTC NET 2, telecamera e strumentazioni in rete, i modi di aggirare i controlli e non effettuare tutto ciò che richiede il controllo tecnico periodico sono troppi. Al netto degli errori in buona fede sempre possibili, è evidente che il sistema presenta delle vulnerabilità tanto più evidenti se manca anche il controllo e la supervisione su degli indizi che suggeriscono almeno la presenza di malfunzionamenti se non di dolo. Ma qualsiasi sia il sistema di controllo automatico tali problemi non si risolverebbero con l’implementazione di un MCTC NET 3. La domanda è: si può imporre la professionalità per legge? La risposta è che l’unico modo per evitare aggiramenti è la presenza di due elementi fondamentali: un sistema di controlli e di coercizione (sanzioni); un sistema di formazione/educazione. Se del primo, e di come meglio si può esercitare (segnalando i modi di aggirare i controlli e come leggerli dai dati salvati in MCTC NET), non d meno è importante il secondo che deve inculcare negli attori di questo sistema una convinta cultura del controllo e della sicurezza.

ANALISI DELLE CAUSE

Problemi sistematici e non episodici – Innanzitutto è bene chiarire che la tentazione della rimozione e di raccontare realtà diverse è il motivo principale dell’incancrenimento dei problemi: il medico migliore non è quello che ci dice che tutto va bene quanto piuttosto quello che ci aiuta a capire che c’è una malattia e a curarla. Pertanto, il primo step per risolvere i problemi è riconoscere che essi esistano e che sono da affrontare senza avere l’illusione che i malfunzionamenti siano per occasionali cause esterne o elementi estranei al nostro sistema e che, quindi, in fondo non ci competano. Il passo successivo è che il problema sia ben posto, ovvero che la sua formulazione sia corretta: come ben sanno i matematici un problema ben posto ha già metà soluzione in tasca. Tutto quanto precede, quindi, dovrebbe sgomberare il campo da qualsiasi equivoco circa l’esistenza e la natura dei problemi che affliggono il Sistema delle Revisioni in Italia. Si tratta di problemi di tipo “sistemico” addebitabili a carenze strutturali di come esso è stato prima concepito sin dall’origine e poi gestito, comprese le contromisure che negli anni pur si sono messe in campo. Continuare a parlare da ormai 20 anni di “episodi”, di “mele marce” e di “pecore nere” oltre che ipocrita e falso è semplicemente ridicolo e privo di qualsivoglia approccio oggettivo alla realtà: chi lo fa, spingendo alla rimozione dei problemi, vuole procrastinare questo stato di cose difendendo l’indifendibile senza risolvere ma, anzi, aggravando le problematiche. Quali sono le cause sistemiche? 1) La mancanza di sorveglianza sui centri è un dato di fatto. La Sorveglianza informatica postulata dai sistemi MCTC NET è una chimera. L’illusione per cui con telecamere e sistemi informatici si poteva tracciare ogni cosa che accade su una linea revisione è in primis falsa, in quanto esistono sistemi per eluderla, ed in secondo luogo inutile se i dati che vengono raccolti non sono controllati ed analizzati. 2) La mancanza di terzietà, palese e sfacciata in tanti casi, genera poi dinamiche distorte. All’invito delle norme europee al non innescarsi di rapporti di “dipendenza” (non intesa come rapporto di lavoro ma proprio come dipendenza funzionale) la realtà espone situazioni in cui l’Ispettore di fatto non decide l’esito della revisione, soggiogato dalla necessità: bere (accettare la decisione altrui) o affogare (licenziamento e mobbing). Che terzietà può esserci in situazioni del genere? E che oggettività ed imparzialità può esserci in ciò?; Appare chiaro che a cause sistemiche possono solo corrispondere soluzioni sistemiche. Pensare che i problemi di un Sistema (Esecutivo) possano essere risolti da un altro Sistema (Giudiziario) appartiene ad un approccio tipicamente italiano e storicamente fallimentare: avere paglia e fuoco l’uno accanto all’altro e dire che la soluzione è chiamare i pompieri significa non aver capito il problema e di conseguenza neanche la soluzione. L’aspetto coercitivo/educativo ed un controllo efficace da parte dell’istituendo Organismo di Supervisione sono indubbiamente parte di una soluzione sistemica a patto che esso esista e funzioni in tal senso. Senza alcuna retorica dell’intransigenza e della mascella quadrata, basterebbero un serio controllo periodico e puntuale sui centri ed un sistema sanzionatorio come quelli già previsti dalla normativa, per mutare la sostanziale atmosfera di anarchia ormai dilagante. Ma la principale causa di problemi è la mancanza di terzietà e controlli. Un piccolo inciso meritano coloro che, di fronte all’evidente sfacelo della realtà, continua a giustificarla con la pretesa di situazione episodiche e limitate e non sistemiche. Chi lo fa “nell’interesse della categoria che rappresenta” addita chi invece scopre il velo sull’ipocrisia come un “traditore”, come coloro che remano contro perché “infangando la categoria” impediscono che alle officine siano concessi ulteriori servizi dalla MCTC. Noi pensiamo che sia la menzogna a fare danni alla sicurezza stradale, all’economia, all’immagine e finanche ai conti di cittadini ed operatori perbene. Infine, in una proposta di un modello pregevole e funzionale, una parentesi la merita la revisione dei mezzi pesanti ed il meccanismo attuale della Legge 870 ex art. 19.

La legge 870/86 art.19: un esempio pregevole – Infine, in una proposta di un modello pregevole e funzionale, una parentesi la merita la revisione dei mezzi pesanti ed il meccanismo attuale della Legge 870 ex art. 19. Facciamo un excursus storico e formuliamo una tesi che per la gran parte degli operatori del settore è un dato di fatto: “Quando le revisioni le faceva la Motorizzazione le Officine Meccaniche lavoravano di più alla preparazione del veicolo alla revisione” E’ una verità insindacabile. Eppure i controlli della Motorizzazione avvenivano con il “Lancia e Frena” e duravano pochi minuti rispetto all’attuale revisione. Cosa accadeva per rendere tanto più efficace la revisione effettuata dalla MCTC? E’ vero che i veicoli andavano a revisione dopo dieci anni e necessitavano spesso di una profonda manutenzione, ma ciò giustifica il netto cambio di passo rispetto ad oggi? La nostra risposta è no. C’era un elemento decisivo: La Terzietà. Il meccanismo della legge 870 è, a nostro avviso, un esempio di qualcosa che funziona. Nella complessità di intervenire per i veicoli sotto i 35 quintali rivoltando il sistema, di certo consigliamo alla MCTC di non ripetere l’errore commesso riproponendolo per i veicoli pesanti. Va, a nostro avviso, potenziata la legge 870 o “privatizzare” sulla falsariga di quello che è avvenuto con ASL ed ISPESL dove Organismi accreditati ISO 17020 che utilizzano professionisti indipendenti, terzi e competenti, forniscono servizi come la verifica della Messa a Terra degli impianti elettrici piuttosto che di verifica degli apparecchi di sollevamento (gru, piattaforme aeree) o a pressione (Serbatoi). Non è accettabile, invece, che si autorizzi l’officina di una ditta di autotrasporti che poi, in maniera più o meno elusiva della terzietà, verifica i propri stessi mezzi.

LE NOSTRE PROPOSTE

“Chi salva una vita salva il mondo intero”Questa frase tratta dal Talmud è stata conosciuta soprattutto grazie al film di Spielberg su Oskar Schindler che durante la seconda guerra mondiale salvò 1100 ebrei polacchi.  Il film si conclude con la scena del dono a Schindler di un anello d’oro da parte dei “suoi” ebrei, in cui c’è incisa questa frase e con il protagonista che si dispera nella consapevolezza che avrebbe potuto fare di più. Sappiamo che gli incidenti per cause tecniche sono solo una parte residuale di una totalità che vede in primo piano i comportamenti del conducente dell’autoveicolo. Ma parte residuale non significa Zero. (vedi statistica sotto) Per quanto una percentuale ridotta,le cause tecniche che possono essere riscontrabili in sede di revisione del veicolo e che causano sinistri mortali (o che causano lesioni serie) ci sono e la revisione può salvare quelle vite. Possiamo, dunque, fare di più? Possiamo “salvare una vita e quindi il Mondo Intero”? Noi riteniamo di si e che le nostre proposte vadano in quella direzione.

  • Sorveglianza sui centri – Non si tratta di una proposta ma, come abbiamo visto in precedenza, della attivazione più puntuale di quanto è già previsto dalla normativa. Come detto MCTC NET e la potenziale sorveglianza informatica, avevano dato l’illusione che potesse bastare eseguire i controlli da remoto. Non è così. Al di là di una sorveglianza informatica mai veramente attivata (esiste un team a livello di uffici provinciali, territoriali o ministeriali addetto all’analisi dei file “*.rev” completi di immagini che provengono dai centri di revisione?) l’assenza di sorveglianza ha indotto una sensazione di relativa anarchia. In mancanza di puntuale vigilanza da parte della MCTC, si sono avute inchieste di organi di Polizia (Polizia Stradale o Guardia di Finanza) o media (Quattroruote, Striscia la Notizia) che periodicamente mostrano la continuità e diffusione di certi fenomeni. Pertanto attendiamo fiduciosi l’istituzione dell’Organismo di Supervisione che anche a questo deve essere deputato.
  • Controllo a campione in tempo reale con “Targa Alert” – Se ne parla in una relazione specifica. E’ la nostra proposta principale per una sorveglianza mirata sui centri di revisione e smascherare frodi e dolo anche per quei controlli in cui la verifica dei dati non lascia alcuna traccia oggettiva.
  • Registro ispettori – Come previsto in una circolare della DG MCTC del Dicembre ultimo scorso, è istituendo il registro delli Ispettori dei Centri di Controllo presso il CSRPAD. Tale istituzione ha la finalità di:

    a) identificazione dell’ispettore anche in forma digitale;

    b) controllo della rispondenza dei veicoli controllati all’autorizzazione ricevuta;

    c) monitoraggio delle attività di formazione obbligatorie;

    d) archivio delle annotazioni disciplinari e delle sanzioni.

    La sua implementazione è urgente anche perchè propedeutica ad una serie di azioni efficaci sul Versante dei controlli.

  • Organismo di supervisione ed esame ispettori – Uno degli aspetti mancati sin dal concepimento del Sistema Revisione ai Privati, è stato il momento della “investitura” ai soggetti che andavano a svolgere un ruolo così importante. Il Patto tra gli attori di questa privatizzazione di Servizio Pubblico non è mai esistito ancorché il Codice della Strada reciti chiaramente che la Revisione dei veicoli a motore ed i loro rimorchi ha la finalità di accertare che sussistano in essi le condizioni di sicurezza per la circolazione e la limitazione sull’impatto ambientale: In sostanza la tutela della sicurezza stradale, della Salute e dell’Ambiente è alla base di questo controllo. Questo patto, ancorché nello spirito nelle norme, non è mai stato comunicato in maniera “ufficiale” né all’inizio vi è stato un percorso educativo (ed in qualche maniera selettivo) che riguardasse sia le imprese sia i soggetti destinati ad assumersi la responsabilità di decretare la conformità alla circolazione dei veicoli. In maniera parziale e raffazzonata negli anni scorsi si è posto rimedio creando un momento di formazione di un numero di ore limitato. Oggi, con l’applicazione della Direttiva 45/2014, la partenza dei corsi e la necessità di successivi esami, si ha l’opportunità, attraverso l’istituendo Organismo di Supervisione, di recuperare questo momento di investitura e responsabilizzazione. C’è bisogno però che questo organismo di Supervisione sia istituito e che esso possa funzionare in maniera efficace.

ALTRE PROPOSTE

  • Dematerializzazione libretti metrologici –
  • Truffa del chilometraggio – I chilometri percorsi da una autovettura sono tradizionalmente considerati dai consumatori come il fattore decisivo per l’acquisto dell’usato: la soglia critica è 100.000 Km, concetto nato negli anni ’60 quando in effetti questo valore era il limite della possibilità di durata di un veicolo, a meno di costosi interventi meccanici. Oggi le auto sono diverse, i 100.000 Km si fanno in 4-5 anni, ma restano un limite psicologico difficilmente superabile dal consumatore medio. E così, ora come allora, il commerciante senza scrupoli sa come ringiovanire la vettura, facendo apparire un valore di percorrenza che ritiene “di sicurezza” per vendere al meglio. Con lo sviluppo delle flotte a noleggio, poi, il fenomeno è diventato virale e gli artigiani che hanno imparato i trucchi per soddisfare la domanda non temono crisi. La proposta è quella di fare la revisione annuale delle auto a noleggio anche delle flotte a noleggio senza conducente per rilevare univocamente i chilometri.
  • Considerando (16) 45/2014 e armonizzazione UE – Il Considerando (16) della Direttiva 45/2014, recepita con DM 214 di Maggio 2017 incoraggia gli Stati a riconoscere centri di controllo in altri stati europei per il controllo sui propri veicoli. In considerazione della presenza dei tanti veicoli bulgari, polacchi o romeni, ma anche tedeschi o svizzeri, circolanti in Italia sarebbe decisamente opportuno stringere rapporti con le autorità di questi paesi ed aiuterebbe molto anche gli organi di polizia stradale. Il problema dei veicoli immatricolati nell’Est Europa per motivi fiscali e privi di qualsiasi controllo sulla loro sicurezza è oggi un problema ENORME.
  • Il COC (certificato di conformità) e le Informazioni Tecniche dai Costruttori –  Le ultime normative europee obbligano le case costruttrici a rilasciare le informazioni tecniche necessarie per eseguire il controllo tecnico periodico di revisione. Alcune di esse (p.es. Gruppo Volkswagen) hanno dei siti informativi dove (a pagamento!!!) si possono scaricare dette informazioni. Fatto salvo che l’ideale è il COC (Certificato di Conformità) del veicolo, chiediamo di avere a disposizione una banca dati di COC gratuita. Essi sono indispensabili per realizzare un controllo completo ma al tempo stesso è inaccettabile che tali informazioni ci debbano arrivare a pagamento per un servizio pubblico realizzato nell’interesse della collettività.
  • Contatto tecnico diretto con la MCTC – Come professionisti del controllo di conformità, chiediamo punti di riferimenti univoci e continui in seno all’amministrazione che siano capaci di rispondere in maniera pronta ed univoca alle possibili problematiche operative che si pongono agli ispettori. C’è bisogno di punti di riferimento autorevoli e competenti che garantiscano uniformità operativa da Nord a Sud.

UNA RETE DI PROFESSIONISTI E CENTRI PROVA TECNICI: C’è DI BUONO IN QUESTO SISTEMA

La disponibilità degli ispettori – In questo Sistema c’è del buono. Ci sono quei colleghi che segnalano nella sezione #larevisionenonserve di Revisioniautoblog ed in cui evidenziano come invece serva, come ci siano problemi seri che vengono fuori durante il controllo. C’è del buono per la presenza di imprese che hanno impiantato linee di prova. Ma, come abbiamo visto, lasciare alle imprese il palcoscenico per essere l’attore di riferimento, mostra limiti sin dal 1997 per tutto quanto abbiamo elencato sopra. Occorre, dunque, porre al centro l’Ispettore e la sua professionalità, come del resto fa l’Europa nella Direttiva 45/14 e concepirlo come “Professionista dl Testing Automotive”.

La vigilanza del mercato prevista dal regolamento UE 858/2018 – Il regolamento 858/2018 recita testualmente: “Il presente regolamento dovrebbe rafforzare il quadro di omologazione UE vigente, in particolare mediante l’introduzione di disposizioni in materia di vigilanza del mercato. La vigilanza del mercato nel settore automobilistico dovrebbe essere introdotta specificando gli obblighi degli operatori economici nella catena di fornitura, le responsabilità delle autorità preposte all’applicazione della legge negli Stati membri e le misure da adottare quando si rilevano sul mercato prodotti automobilistici che costituiscono gravi rischi per la sicurezza o l’ambiente, compromettono la tutela dei consumatori o non sono conformi alle prescrizioni di omologazione. Non ritenete che i PTI (Periodical Technical Control) possano essere occasione per individuare prodotti automobilistici sul mercato che costituiscono gravi rischi? Perché non dare modo a oltre 10000 tecnici dell’Automotive di concorrere con la loro professionalità e conoscenza ad un obiettivo tanto importante? Le norme sulla vigilanza del mercato dell’Unione e sul controllo dei prodotti che entrano nel mercato dell’Unione stabilite nel regolamento (CE) n. 765/2008 si applicano ai veicoli a motore e ai loro rimorchi, nonché ai sistemi, ai componenti e alle entità tecniche indipendenti destinati a tali veicoli. Tali norme non impediscono agli Stati membri di scegliere le autorità competenti che devono svolgere tali compiti. La vigilanza del mercato è una competenza che può essere condivisa tra diverse autorità nazionali per tener conto dei sistemi nazionali di vigilanza del mercato degli Stati membri istituiti ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008. Un coordinamento e un monitoraggio efficaci a livello di Unione e nazionale dovrebbero garantire l’applicazione del nuovo quadro di omologazione e di vigilanza del mercato da parte delle autorità di omologazione e delle autorità di vigilanza del mercato. È di particolare importanza che le autorità nazionali e la Commissione considerino le prove e le ispezioni relative alla conformità in servizio dei veicoli parte della loro verifica della conformità. La scelta dei veicoli da sottoporre a tale verifica della conformità dovrebbe essere basata su un’adeguata valutazione del rischio che tenga conto della gravità dell’eventuale non conformità, della probabilità che si verifichi e di altri possibili indicatori, quali l’introduzione di veicoli dotati di nuova tecnologia, eventuali precedenti o rapporti di non conformità, i risultati di prove di telerilevamento e le preoccupazioni espresse da terzi riconosciuti. Alla luce di tutto ciò appare davvero un’occasione imperdibile che un patrimonio di professionalità come quello degli Ispettori per le Ispezioni Tecniche Periodiche possa essere speso anche nella direzione della Vigilanza del Mercato. La disponibilità ad integrare la propria formazione e di sottoporsi ad un percorso selettivo non mancano a chi vede nella professionalità non un’apparenza da proiettare verso terzi ma un’esigenza sostanziale del proprio completamento come essere umano e cittadino. E’ questo l’orizzonte in cui si proiettano gli Ispettori dei Centri di Controllo: professionisti obiettivi del testing automotive senza legami e conflitti di interesse con nessuno. Garantiscono forse le officine che effettuano riparazione una mancanza di conflitto di interessi? C’è un legame con i clienti abituali quando non addirittura coi veicoli del proprietario stesso del centro di controllo che inficia una qualsiasi parvenza di obiettività già in partenza. E questo avviene qualsiasi sia l’operazione tecnica da compiere: Revisioni oltre 35 quintali, Revisione Macchine Agricole, Collaudi Impianti Alimentazione a Gas, Collaudi Ganci Traino etc. La Motorizzazione, nel suo ruolo di Autorità, ha bisogno di tecnici obiettivi ed indipendenti.

 

Dedichiamo questo lavoro di approfondimento volto a migliorare il sistema di controllo di revisione dei veicoli, alle vittime della Strage di Acqualonga di cui cade oggi, 28 Luglio 2020, il settimo triste anniversario.

 

Per gli utentiPer gli operatori

La cosiddetta revisione ministeriale è il controllo periodico del veicolo imposto dallo Stato per garantire la salvaguardia della sicurezza stradale e la tutela dell’ambiente. La natura di questo obbligo è molto semplice e chi è convinto che si tratti semplicemente di un modo come un altro per fare cassa ha una visione decisamente limitata: allo Stato non interessa racimolare 9,90€ di IVA e 10,20€ di bollettino postale a revisione, bensì assicurarsi di non avere spese extra a proprio carico. Già, perchè un invalido a vita a seguito di incidente stradale è una grosso costo per l’INPS, così come un intervento operatorio o un malato di cancro a causa dell’inquinamento prodotto da veicoli lo è per il SSN (Sistema Sanitario Nazionale). Anche la civiltà di un paese in parte si misura con il numero di vittime di incidenti stradali, quindi è abbastanza comprensibile la ragione per cui lo Stato non si affida al buonsenso dei cittadini, ma prescrive un obbligo di questo genere. A dire la verità sarebbe nell’interesse di tutti avere la certezza e la garanzia di circolare su un veicolo sicuro, ma purtroppo, come abbiamo constatato in questi anni “sul campo”, non è così. Andiamo oltre.

Il primo controsenso del settore revisioni è proprio la natura di chi effettivamente svolge i controlli sui veicoli. Abbiamo parlato di obbligo imposto dallo Stato, quindi sarebbe ragionevole pensare a soggetti pubblici come la Motorizzazione Civile, ma in Italia dal 1997 funziona diversamente. Con il cambio della periodicità del controllo ministeriale da decennale alla formula attuale “4+2+2”, le strutture pubbliche non sono più state in grado di gestire l’ingente nuova mole di lavoro, quindi hanno delegato i centri di revisione privati ad esercitare sul territorio questa funzione. Privato/pubblico, un ossimoro a tutti gli effetti. Coloro che fino al giorno prima smontavano pneumatici, sostituivano frizioni e riparavano motori sono improvvisamente diventati funzionari dello Stato a tutti gli effetti, senza però avere alle spalle un adeguato percorso formativo ed un sistema in grado di funzionare correttamente. La revisione ministeriale diviene così business, un servizio come un altro erogato da autofficine e centri di revisione, ma con il valore aggiunto di poter indurre il cliente ad eseguire altri lavori presso la propria struttura. – I pneumatici sono troppo usurati per poter superare la revisione ministeriale, sono da sostituire – Già, ma la sostituzione degli pneumatici viene imposta per “garantire la salvaguardia della sicurezza stradale” o per il compenso? La riposta potrebbe anche essere “entrambi” in questo caso, ma è ineccepibile il principio per cui un giudizio veritiero ed affidabile deve necessariamente essere libero ed imparziale: in questo caso non lo è. E se la riparazione andasse oltre alle competenze del meccanico o semplicemente non ci fosse il tempo materiale per eseguirla? Sia chiaro, l’intento di questo articolo non è quello di etichettare come disonesti o furbacchioni alcuni soggetti o determinate categorie, ma semplicemente portare alla luce semplici realtà sotto gli occhi di tutti. Se un privato decide di fare impresa in questo settore lo fa per guadagnare, non certo per diventare paladino della giustizia sociale: le imprese sono imprese, non o.n.l.u.s.

Guadagnare da una funzione pubblica in realtà non è un problema, ma se la natura del servizio viene intaccata dalla ricerca del guadagno lo diventa, eccome se lo diventa. Lo Stato opera in regime di monopolio, i privati in libera concorrenza: la revisione “pubblica” eseguita ad opera dei funzionari della Motorizzazione Civile segue un unico protocollo da Aosta a Palermo, quella privata invece è costruita a misura del cliente/automobilista. “Marco Revisioni garantisce revisioni in 15 minuti per i clienti frettolosi, Rossi Car Milano invece è noto per essere poco severo nel giudizio, ma non dimentichiamo Car Service SRL che sconta la tariffa ministeriale imposta dalla legge.”  Tutto questo non è sicuramente per cercare a tutti i costi di garantire il più possibile la sicurezza stradale e la salvaguardia dell’ambiente: sono affari, solo affari. Il disperato tentativo di accaparrarsi a tutti i costi nuovi clienti ha contribuito alla degenerazione del concetto di controllo tecnico del veicolo sminuendolo al punto tale che oggi la revisione ministeriale è rappresentata da un misero talloncino cartaceo con riportante la dicitura “revisione regolare” al costo di 66,88€. Questo è il frutto degli oltre vent’anni di mala educazione impartita ai cittadini dei primi centri di revisione attivi sul territorio e tutti ne pagano le conseguenze: il cliente ormai questo vuole ed in un modo o nell’altro lo ottiene. Un centro revisioni non è disposto a certificare come regolare un veicolo difforme? Nessun problema, un altro nel raggio di 5Km lo farà senz’altro per la gioia dell’automobilista ignaro che magari avrà la faccia tosta di recensire negativamente il primo centro. “1 stella su 5 – Dopo aver aspettato un ora mi hanno detto che la revisione non sarebbe stata regolare per il parabrezza rotto. Sono andato da un’altra parte e me l’hanno fatta in 5 minuti senza problemi. Sconsiglio vivamente”. Tutto ciò succede veramente, in Italia, nel 2020.

La parte più bizzarra di tutta questa vicenda è la modalità con cui la Pubblica Amministrazione ha cercato inutilmente di contrastare la giungla dei centri di revisione privati che sin dal principio hanno dimostrato di non essere all’altezza del ruolo sociale affidatogli dallo Stato. Alcune imprese effettuavano oltre cento revisioni al giorno quando il tempo medio per un controllo accurato è di circa 20/25 minuti mentre altre stampavano l’etichetta attestante la revisione regolare direttamente sui libretto senza neanche vedere il veicolo. Il sistema non funzionava, era un dato di fatto. Un buon architetto – ma anche un comunissimo muratore – non edificherebbe mai su una base poco solida, ma i direttori generali della Motorizzazione, in barba ad ogni logica, hanno letteralmente costruito una splendida cattedrale su fondamenta di cartapesta. I centri di revisione sono stati man mano equipaggiati di attrezzature informatizzate (Protocollo Mctc Net 1/2) per garantire il rispetto della normativa da parte degli operatori, ma ogni tipo di controllo è stato eluso con semplicità. È stata addirittura introdotta nel lontano 2003 una formazione obbligatoria per il “responsabile tecnico” – l’operatore addetto al controllo dei veicoli -, ma il più delle volte questa figura coincideva con un dipendente della struttura senza alcun potere decisionale: ora sapeva quello che doveva fare, ma non poteva comunque farlo. Dipendente o titolare poco cambia: i primi sono subordinati al titolare che a sua volta è subordinato alle logiche del mercato, i secondi sono semplicemente “schiavi” dei propri clienti e quindi del mercato. [Curiosità – Dal 2015 i centri di revisione sono stati dotati di fotocamera per certificare l’effettiva presenza del veicolo in sede. In alcune realtà è stato appurato che è il cliente stesso a fotografare la propria auto inviando l’immagine al centro revisioni che provvede a visualizzarla su un tablet posto davanti alla fotocamera ufficiale: viene immortalato un veicolo che di fatto, non ha mai eseguito il controllo ministeriale. Eppure l’etichetta afferma il contrario. Tutto questo sempre in Italia, nel 2020.]

Arrivati a questo punto, anche un idiota è in grado di comprendere che forse i problemi del settore vanno leggermente oltre alla questione dei macchinari e delle attrezzature. Finchè converrà, anzi, sarà necessario eludere il sistema per accaparrarsi i clienti non più per straguadagnare, ma semplicemente per tirare a campare, tutti i centri di revisione saranno costretti a farlo, chi più, chi meno. Già, perchè nel frattempo il business delle revisioni è stato fiutato da parecchie autofficine e le imprese abilitate sono cresciute a dismisura superando di gran lunga il fabbisogno effettivo: c’è troppa concorrenza e purtroppo a rimetterci è sempre più il concetto di “controllo tecnico del veicolo” e di conseguenza la sicurezza stradale. Come invertire la tendenza? Innanzitutto, occorre prendere atto della presenza di oltre 9000 imprese private che si occupano di revisioni ministeriali: non hanno avuto una buona condotta negli anni, ma non si può certo eliminarle o portarle al fallimento. Nell’interesse di tutti, titolare dei centri di revisione in primis, andrebbe svincolato da ogni conflitto d’interesse l’operatore che materialmente svolge il controllo sui veicoli garantendo così il principio di imparzialità che avvalora il giudizio. Non è fantascienza, ma si tratta del cosiddetto principio di terzietà previsto dalla normativa europea 2014/45eu che avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema delle revisioni ministeriali dal 2014 in poi, ma ad oggi in Italia siamo ancora vergognosamente fermi. Sicuramente da porre sotto analisi la situazione di alcune strutture private in cui la figura del titolare coincide con quella dell’operatore che esegue materialmente il controllo sul veicolo: possono considerarsi imparziali? Pare proprio di no.

Per gli operatori

Nella prima parte dell’articolo (link) abbiamo identificato i duecento firmatari del ricorso al Tar contro l’accordo Stato-regioni del 19/4/2019 (link) relativo ai corsi di formazione per la qualifica di ispettore addetto alla revisione ministeriale, ora cercheremo di comprendere le ragioni che hanno spinto questo gruppo eterogeneo ad unire le forze. Le possibilità sono due considerando l’evidente conflitto d’interessi di natura commerciale (es. aziende del settore in regime di concorrenza) e fisiologica (es. centri di revisione – rivenditori di attrezzatura oppure centri di revisione nella figura del titolare – ispettore dipendente) fra categorie nettamente contrapposte:

  • A) L’accordo Stato-regioni mina, seppur in diversa misura e modalità, gli interessi economici di tutti.
  • B) L’accordo Stato-regioni contiene delle gravi irregolarità oggettive che vanno denunciate all’unisono.

 

La prima avvisaglia pubblica del ricorso, ovvero il sondaggio lanciato il 17 Maggio dagli admin del gruppo Facebook “Cra – Centro Revisioni Auto – Supporto tecnico” rivolto ad operatori ed imprenditori del settore (immagine di destra), avvalora senza ombra di dubbio l’ipotesi A).  Il testo dell’inchiesta è stato redatto strategicamente per ottenere il risultato prefissato ponendo, fra le righe, il seguente quesito: “A te conviene il nuovo piano di formazione considerando il notevole esborso e le numerose ore di corso previste?”  Contrariamente ai pronostici, i favorevoli asfaltano i contrari (112 sì contro 27 no), una statistica in linea con la nostra indagine (prima parte dell’articolo) nella quale si dimostra la minima percentuale di ricorrenti appartenenti al sistema revisioni  (16% centri di revisione – 2% ispettori). Come mascherare i reali interessi che alimentano questa azione legale?  Sulle ragioni si possono solo formulare ipotesi, ma una cosa è certa: il ricorso al Tar è la manifestazione del malcontento dei rivenditori di attrezzatura (40% sul totale dei firmatari),  ma una protesta indipendentemente non sarebbe stata presa in considerazione in quanto evidentemente indotta da secondi fini commerciali. Che titolo avrebbero per contestare il monte ore, nonchè il costo dei corsi di formazione per accedere alla qualifica di ispettore? Che legami hanno con la formazione? Domande apparentemente senza risposta, o forse troppo insidiose: occorreva una strategia per guadagnare credibilità e al contempo placare gli animi degli operatori delusi da questa iniziativa che non li rappresenta minimamente. Ci pensa Tecnostrada Formazione, in calcio d’angolo, pubblicando un comunicato sulla pagina Facebook ufficiale: l’obbiettivo del ricorso passa dalla “riduzione del monte ore del corso di formazione per ispettore(CRA-Supporto tecnico 22/5/2019) alla “giustizia sociale per il candidato alla figura di ispettore(Tecnostrada 24/05/2019) (immagine sotto). L’ipotesi iniziale A) lascia il posto alla B), una tattica pericolosa poichè mette in discussione il lavoro – e quindi le competenze – di tutte le associazioni di categoria che hanno contribuito alla stesura del piano relativo alla formazione, della direzione del Ministero dei Trasporti e dei delegati regionali che hanno discusso a più riprese il progetto in commissione. Dal punto di vista etico, è senza ombra di dubbio una strategia meschina: strumentalizzare la finta morale per mascherare i propri interessi economici è un’espediente degno dei peggiori politici, ma siamo in democrazia ed ognuno è libero di interpretare questa mossa a proprio piacimento. Va tuttavia riconosciuto che le alternative erano poche: “ricorso al Tar per tutelare il mercato dei rivenditori di attrezzatura che considerano l’inasprimento dei corsi di formazione come un ostacolo alla proliferazione dei centri di revisione potenziali clienti”  suonava decisamente male, così come “ricorso al Tar per boicottare l’evoluzione dell’addetto alla revisione ministeriale che diventerebbe una figura scomoda se difficilmente sostituibile”.

Bando alle ciance, è giunto il momento di analizzare nel dettaglio il testo del ricorso al Tar. Già nella “premessa di fatto”, la tanto acclamata giustizia sociale va a farsi benedire: vengono innanzitutto ribadite le procedure particolarmente gravose e manifestamente sproporzionate per accedere alla professione di ispettore addetto alla revisione ministeriale, una situazione che rischierebbe di danneggiare la funzionalità dei centri di revisione ed il libero accesso al mercato del lavoro e dell’occupazione. Avete capito bene? Il principio fondamentale non è la salvaguardia della sicurezza stradale, bensì la salvaguardia delle imprese che nascono grazie allo Stato per garantire questo principio. Le suddette attività assolvono all’obbligo sociale che le legittima prima di pretendere ulteriori diritti? Andiamo oltre. La principale violazione citata a più riprese nel ricorso è il presunto inasprimento del decreto attuativo nazionale rispetto ai requisiti minimi previsti dalla direttiva comunitaria 2014/45ue (link), in particolare dal relativo allegato IV:

“[..]Prima di autorizzare un candidato a occupare la posizione di ispettore abilitato a effettuare controlli tecnici periodici, gli Stati membri o le autorità competenti verificano che tale persona:

a) abbia una conoscenza e una comprensione certificate relative ai veicoli stradali nelle seguenti aree:

  • meccanica
  • dinamica
  • dinamica del veicolo
  • motori a combustione
  • materiali e lavorazione dei materiali
  • elettronica
  • componenti elettronici dei veicoli
  • applicazioni IT

b)  abbia almeno tre anni di esperienza documentata o equivalente quale mentoraggio o studi documentati e una formazione appropriata nelle aree succitate riguardanti i veicoli stradali di cui sopra. [..]”

Nell’accordo Stato – regioni, sia il requisito a) che il requisito b) vengono considerati egualmente indispensabili per accedere al vero e proprio corso abilitante di 176 ore (modulo B), ma nel testo del ricorso al Tar viene impugnato il principio di alternativitàDi conseguenzai candidati con tre anni di esperienza nel settore sarebbero svincolati dall’obbligo di conseguire il modulo teorico A di 120 ore riducendo drasticamente il monte ore complessivo previsto per i corsi, il reale scopo di questa azione legale. Un aspetto resta poco chiaro, ma probabilmente a causa delle nostre scarse competenze in materia legale: quali sarebbero le basi per avanzare tale obiezione? Nel testo originale della normativa comunitaria precedentemente citata non esistono nè congiungioni (e), nè disgiunzioni (o), quindi l’interpretazione del testo spettava di diritto dell’Autorità competente che ha optato per l’innalzamento degli standard qualitativi della revisione ministeriale,  una scelta che può non piacere – e qui potremmo aprire una parentesi sulla buona fede dei principali ricorrenti –, ma non può sicuramente essere definita illegittima. L’argomentazione prosegue citando il seguito dell’allegato IV della 2014/45ue (link):

“2.   Formazione iniziale e di aggiornamento

Gli Stati membri o le autorità competenti provvedono affinché gli ispettori ricevano una formazione iniziale e di aggiornamento appropriata o sostengano un esame appropriato, inclusi gli elementi teorici e pratici, per essere autorizzati a effettuare controlli tecnici.[..]”

Nel testo del ricorso, sulla base della disgiunzione presente fra le parole “appropriate” e “sostengano“, si ritiene opportuno comprovare l’idoneità del candidato con la semplice partecipazione ad un corso senza profitto, oppure previo superamento di un di esame “a freddo”. Solo un incompetente in materia potrebbe pensare che un aspirante ispettore abbia qualche possibilità di superare un esame così specifico senza avere alle spalle un solido percorso di formazione, ma questa è una semplice considerazione. Sta di fatto che il punto 4) del preambolo alla tanto citata – naturalmente solo all’occorrenza – direttiva 2014/45ue reca testualmente: “Agli Stati membri dovrebbe essere concessa la facoltà di stabilire norme più rigorose di quelle previste dalla presente direttiva.”, concetto tra l’altro ribadito all’art.13 comma 1 della stessa: “[..] Gli Stati membri possono introdurre requisiti supplementari specifici in materia di competenza e formazione.” Ancora una volta, nessuna irregolarità, ma solo sterili lamentele per la legittima interpretazione dalla normativa comunitaria considerata troppo stringente. Peccato che, per ignoranza o forse per comodità, non si fa mai alcuna menzione al recepimento della normativa negli altri stati membri: nell’immagine di destra, ad esempio, il corso di formazione organizzato da Dekra in Francia per accedere alla qualifica di controleur tecnique debutant VL, (ispettore addetto al controllo dei veicoli leggeri) – 315 ore a cui ne vanno aggiunte 14 per il controllo di automobili con alimentazione GPL/CNG – 415 ore per i poids lourds (PL), (veicoli pesanti) (tutti i dettagli cliccando qui) . Andiamo oltre. L’aspetto più grave di questo ricorso, chiaramente secondo il nostro punto di vista, è il duro attacco all’art.7) dell’accordo Stato – regioni:

“Art. 7 (registrazione):

  1. L’Organismo di supervisione [..], valutato positivamente l’esame di merito, chiede all’autorità competente [..] di provvedere alla registrazione dell’ispettore.
  2. Nella registrazione sono indicate le categorie di veicoli per il quale l’ispettore è abilitato
  3. L’ispettore non può operare in assenza della registrazione o conferma della stessa.”

È evidente l’intento di bloccare sul nascere le basi per la creazione della vera e propria categoria degli ispettori addetti alla revisione ministeriale, ma sta di fatto che contestando questa disposizione si inibisce la possibilità di introdurre un po’ di chiarezza nel settore. Chi è legalmente autorizzato dallo Stato a controllare i veicoli? Un albo renderebbe più agevole la ricerca di personale e l’attività di vigilanza da parte della Motorizzazione Civile, un po’ come avviene oggigiorno per i tecnici abilitati alla taratura ed installazione delle attrezzature. Avete capito bene: una buona parte dei firmatari del ricorso al tar gode del privilegio di avere i propri operatori registrati nell’archivio omologazioni del C.S.R.P.A.D. (link), un semplice pretesto per monopolizzare il settore dell’assistenza.

Selezionando prima la ragione sociale di un qualsiasi produttore di attrezzatura, poi il nome commerciale del  macchinario, si ottiene “l’elenco dei tecnici autorizzati dall’Amministrazione” (immagine sotto): anche in questo caso è contestabile l’istituzione di una vera e propria professione regolamentata in maniera illegittima?

Per concludere, l’elemento più scandaloso del ricorso, ovvero il tentativo di screditare la mansione dell’ispettore per giustificare corsi più blandi e meno onerosi:

(TESTUALI PAROLE)L’ispettore infatti, per eseguire la revisione, procede all’inserimento dei dati contenuti nella carta di circolazione del veicolo [..] e successivamente [..] si sposta nella zona di “controllo” laddove è collocata l’entità informatica denominata PC Stazione. Si tratta di attività eseguite per la quasi totalità da apposite apparecchiature dotate di sistemi di misurazione immodificabili e che emettono un referto informatico inalterabile. A ciò si aggiunga, che l’Italia è l’unico paese della Comunità Europea il quale ha introdotto dal 2015 l’obbligo nei “centri di revisione” del protocollo informatico denominato MCTC/NET 2, con cui si preclude all’operatore qualunque ingerenza sui dati delle prove (rendendo di fatto l’ispettore un operatore tecnico di sistemi informatici).[..]”

  • Nessuna menzione alle responsabilità penali connesse all’esercizio della professione.
  • Nessuna menzione alla qualifica di pubblico ufficiale.
  • Nessuna menzione alle responsabilità dell’ispettore sul corretto funzionamento dei macchinari. Nei manuali per la formazione del responsabile tecnico – ora ispettore – vengono descritte le procedure per diagnosticare eventuali anomalie sui macchinari che devono essere individuate grazie all’esperienza maturata sul campo dall’operatore che esegue la revisione, l’unico responsabile del referto complessivo di revisione (es. Valore di opacità tendente a 0 per un veicolo diesel euro 0? Non è colpa del macchinario, ma dell’operatore che avrebbe dovuto verificare la probabile presenza di una piega sul tubo flessibile della sonda o, in alternativa, avrebbe dovuto sospettare un malfunzionamento dell’opacimetro. Efficienza frenante anomala? Non è colpa del software che misura questo valore, ma dell’operatore che, sulla base delle conoscenze relative alla massa dei principali veicoli, dovrebbe intervenire per ricalibrare la pesa ecc..).
  • Nessuna menzione ai controlli visivi sul veicolo accuratamente descritti nell’allegato I della direttiva 2014/45ue, l’elemento chiave per una buona revisione ministeriale: i ricorrenti conoscono la corretta procedura per il controllo tecnico di un veicolo? A quanto pare no. Nella tabella sottostante, ad esempio, alcuni dei controlli fondamentali per valutare accuratamente un sistema frenante, un’analisi che non può limitarsi all’esecuzione del test con l’ausilio del “banco freni”. la prova-freni strumentale è regolare se l’efficienza frenante registrata dal software risulta nella norma e lo squilibrio sotto i limiti  consentiti, ma il veicolo potrebbe egualmente essere considerato pericoloso perchè valutato a rischio di rotture imminenti relative all’impianto frenante. Quale macchinario in dotazione ai centri di revisione esamina lo stato di usura dei tubi idraulici flessibili o misura lo spessore dei dischi? Eppure le principali cause di mancato arresto del veicolo sono riconducibili ai particolari appena citati, componenti che sfuggono inesorabilmente al test strumentale. Lo stesso ragionamento si potrebbe estendere a ammortizzatori, bracci oscillanti, pneumatici, ma siamo in democrazia, ognuno è libero di avere il proprio concetto di sicurezza stradale… Sia chiaro, ognuno poi farà i conti con la propria coscienza.

Per concludere, si rinnova per la controparte l’invito alla pubblicazione del testo integrale del ricorso per smentire eventuali inesattezze contenute in questo articolo.

edit (24/07/2019)

RICORSO RESPINTO! Ha vinto il buon senso! Per consultare il testo integrale dell’ordinanza cautelare clicca (qui) / Clic su “Decisioni e Pareri (in alto a destra) /  Inserisci: Tipo Provvedimento: Ordinanza – Sede: ROMA –  Anno e numero provvedimento: 2019 04927 / Cerca

Confessioni di un RT

Ciao a tutti, mi chiamo Andrea, ho 25 anni e vivo in provincia di Verona, ma ho origini emiliane. La mia “carriera”, se così possiamo definirla, nel mondo delle revisioni è iniziata nel 2015 quando fui assunto come operaio generico presso un noto centro nella città di Reggio Emilia. Premetto che fortunatamente non sono un responsabile tecnico (o ispettore, come dir si voglia), e dico fortunatamente perché non invidio coloro che grazie ad un misero corso di 32 ore fanno il mio stesso lavoro con responsabilità penali. Sono un cosiddetto “operatore di linea”, figura professionale creata ad hoc per consentire agli imprenditori di sottopagare colui che materialmente svolge la revisione ministeriale.  Paradossalmente la mia posizione non aveva nulla da invidiare a quella dell’ispettore ministeriale regolarmente abilitato: la differenza di stipendio era minima (nell’ordine di 80€/mese netti), ma nessuno mi obbligava a prendere responsabilità sulla revisione di veicoli irregolari. Al pari dei dentisti senza laurea, vivevo con l’ansia di essere colto in fragrante dalla Motorizzazione Civile mentre operavo senza supervisione dell’ispettore responsabile, il pretesto per giustificare la mia assurda figura professionale. Non ero un semplice aiutante come volevano far credere: svolgevo l’intero ciclo della revisione ministeriale in completa autonomia, ma la firma – e quindi la responsabilità – era di un collega spesso assente durante il controllo ai veicoli. Dopo una settimana di lavoro avevo già compreso l’andazzo che mi ricordava molto l’esperienza alla scuola guida: durante la teoria due mani sul volante, indicatore di direzione all’uscita della rotatoria, limite di velocità di 50km/h nel centro abitato, poi nella pratica sappiamo tutti come va. Una cosa non comprendevo e non comprendo tutt’ora: per quale motivo i miei colleghi ispettori operavano con leggerezza rischiando conseguenze penali? Si sa, il titolare è l’unico ad avere vantaggi se il tecnico opera in maniera frivola guadagnando la simpatia e quindi la fiducia dei clienti (è assurdo, lo so, ma funziona così), ma a loro cosa veniva in tasca? Nessuno sapeva rispondere alla mia domanda, ma la passione per questo lavoro mi ha spinto ad ottenere il diploma che mi avrebbe permesso di partecipare al corso di abilitazione per la qualifica di responsabile tecnico. Pazzia? Molti direbbero di sì, ma ero stanco di operate abusivamente maturando un’esperienza che non avrei potuto riutilizzare nel settore. Il desiderio di mettermi in gioco e la determinazione mi hanno dato la forza per studiare nel poco tempo libero che avevo a disposizione conseguendo in breve la maturità di perito industriale, ma ormai era Luglio del 2018: corsi bloccati per effetto della direttiva europea. Mentirei se dicessi che inizialmente ero contrario al blocco della formazione, ma ho dovuto fare i conti con la mia coscienza mettendo da parte gli interessi personali per una buona causa. E vero, mi costerà una fortuna abilitarmi al ruolo, ma sono certo che nelle 300 ore di corso troverò spunti per migliorare ed operare con maggior consapevolezza. Per concludere, un consiglio rivolto a tutti i colleghi nella mia situazione: non abbiate paura delle responsabilità e seguite le vostre passioni, investite su voi stessi!

Per gli operatori

In data 17 Aprile 2019, dopo una lunga bagarre alla conferenza Stato-regioni, è stato pubblicato il testo unico contenente i criteri per la nuova formazione degli ispettori addetti alla revisione ministeriale (testo integrale). Il documento ha generato qualche malumore tra le fila di coloro che hanno sempre considerato il sistema revisioni come una mangiatoria per lucrare all’inverosimile, ma fortunatamente la gran parte del settore ha accolto positivamente questa provvidenziale novità attesa da cinque lunghissimi anni. Per comprendere a fondo le ragioni del braccio di ferro di queste ultime settimane, è opportuno tornare al lontano 1992, anno in cui è stata disciplinata per la prima volta la figura del responsabile del centro revisioni. L’art. 240 del regolamento di attuazione del Codice della Strada (testo integraleprescrive i seguenti requisiti per il cosiddetto responsabile tecnico:

“a) avere raggiunto la maggiore età;
b) non essere e non essere stato sottoposto a misure restrittive di sicurezza personale o a misure di prevenzione;
c) non essere e non essere stato interdetto o inabilitato o dichiarato fallito ovvero non avere in corso procedimento per dichiarazione di fallimento;
d) essere cittadino italiano o di altro stato membro della Comunità Europea, ovvero di uno Stato anche non appartenente alla Comunità Europea, con cui sia operante specifica condizione di reciprocità;
e) non avere riportato condanne per delitti, anche colposi e non essere stato ammesso a godere dei benefici previsti dall’articolo 444 del codice di procedura penale e non essere sottoposto a procedimenti penali;
f) essere fisicamente idoneo all’esercizio dell’attività in base a certificazione rilasciata dal competente organo sanitario del Comune di esercizio dell’attività;
g) aver conseguito un diploma di perito industriale, di geometra o un diploma di maturità scientifica ovvero un diploma di laurea in ingegneria [..]”

Per farla breve, un qualsiasi cittadino per bene in possesso di diploma ad indirizzo tecnico poteva accedere alla professione ricoprendo il ruolo richiesto dalla normativa. Molti meccanici titolari di centri di revisione furono esclusi dalla qualifica per mancanza del titolo di studio, ma mantennero comunque il controllo sulle operazioni grazie al comma 2 del medesimo articolo:

Il responsabile tecnico deve inoltre essere dipendente dell’impresa che ha richiesto la concessione e deve svolgere la propria attività in maniera continuativa presso l’officina per la quale e’ stata rilasciata la concessione stessa. Il responsabile tecnico non può operare in più di un’officina che effettui il servizio di revisione.”

Difficile immaginare un lavoratore subordinato con pieno potere decisionale e totale libertà d’azione, ma non è questo il nocciolo della questione, almeno per ora. Siamo ad inizio millennio, i centri di revisione rappresentavano una realtà con tutti i requisiti per funzionare correttamente: mercato in espansione e regime di quasi monopolio – almeno a livello locale -, gli affari non potevano che andare a gonfie vele. Nonostante ciò arrivarono le prime revoche per coloro che miravano unicamente ad incrementare il fatturato in barba alla alla legge: il fenomeno delle revisioni facili esisteva sin dal principio ed andava disincentivato immediatamente. Urgeva innanzitutto più chiarezza: quali erano i compiti del misterioso “responsabile tecnico”? Con il D.p.r 360 del 5 Giugno 2001 (testo integraleviene integrato il già citato articolo 240 del regolamento di attuazione del Codice della Strada con due capisaldi oggi nell’occhio del ciclone – formazione e responsabilità:

“[..] b) dopo la lettera g) del comma 1, e’ aggiunta la seguente: “h) aver superato un apposito corso di formazione organizzato secondo le modalità stabilite dal Dipartimento dei trasporti terrestri.[..];

c) il comma 2 e’ sostituito dal seguente: “2. Il responsabile tecnico deve inoltre svolgere la propria attività in maniera continuativa presso la sede operativa dell’impresa o presso il consorzio cui e’ stata rilasciata la concessione stessa. Il responsabile tecnico non può operare presso più di una sede operativa di impresa o presso più di un consorzio che effettui il servizio di revisione ed e’ tenuto a presenziare e certificare personalmente tutte le fasi delle operazioni di revisione che si riferiscono alla sua responsabilità.”

Ora è tutto più chiaro: il responsabile tecnico non era un semplice requisito obbligatorio per l’avvio di un centro revisioni, ma era l’operatore che materialmente eseguiva le revisioni ministeriali sotto la propria responsabilità. Un ruolo così importante non poteva che essere affidato esclusivamente a personale qualificato che avesse superato il corso di formazione definito dal successivo accordo Stato-regioni del 12 Giugno 2003 (testo integrale). La durata obbligatoria delle lezioni era di 30 ore per l’abilitazione al controllo di tutti i veicoli di massa inferiore a 35 q.li – 24 per i soli motoveicoli -, ma in fin dei conti si trattava di un aggiornamento mirato alla professionalizzazione di  coloro che operavano già da tempo nel settore. Nonostante ciò, non era assolutamente scontato ottenere l’idoneità all’esercizio del ruolo: i corsi erano organizzati in stretta collaborazione con la Motorizzazione Civile che non aveva nessun interessa a “svendere” le licenze. Non esisteva nemmeno troppa concorrenza fra enti di formazione in quanto gli evidenti limiti del mercato scoraggiavano gli imprenditori a caccia di rendite sicure, ma le previsioni si sbagliavano. Negli anni successivi le richieste di iscrizione per i corsi superarono di gran lunga le aspettative contro ogni logica legata al buonsenso: è l’inizio del business della formazione, la principale rovina del settore. Sicuramente il fenomeno è correlato alla proliferazione incontrollata dei centri di revisione illustrata nel grafico sottostante (fonte Osservatorio Revisione Veicoli), ma i conti comunque non tornavano; le abilitazioni erano nettamente superiori al fabbisogno effettivo.  

LE CAUSE

Il primo modulo obbligatorio del corso di formazione trattava la disciplina giuridica nel servizio revisioni con particolare attenzione alle responsabilità civili e penali derivanti dall’esercizio della funzione. Quanti ex-meccanici, ex-gommisti o ex-carrozzieri ingolositi dalla nuova professione avevano messo in conto il rischio di finire in tribunale macchiando indelebilmente la fedina penale? Sia chiaro, non occorreva essere truffatori o delinquenti: era sufficiente un piccolo errore di distrazione per compromettere una vita di lavoro onesto. Ne valeva veramente la pena? Esercitare la funzione di responsabile tecnico del centro revisioni era (ed è tutt’ora) un po’ come giocare a mosca cieca in autostrada. La normativa di riferimento è sempre poco chiara e difficilmente reperibile: l’unica soluzione per rimanere sempre aggiornati è la sottoscrizione di abbonamenti con fornitori di servizi automotive o associazioni di categoria. Se vuoi lavorare correttamente devi pure pagare, ma forse è il minore dei mali. L’automobilista medio è disposto a tutto pur di ottenere l’attestazione di “revisione regolare” per il veicolo di proprietà senza spendere soldi in riparazioni, ma fa parte del gioco: se l’uomo non fosse negligente, probabilmente non esisterebbe l’obbligo del controllo ministeriale periodico. L’unico problema insormontabile, ingiustificabile ed inaccettabile è la tendenza ad assecondare le folli richieste dei clienti da parte dei titolari dei centri di revisione. Il mercato delle revisione in pochi anni era cambiato e gli effetti devastanti della concorrenza minavano i bilanci delle imprese:  prima c’era spazio per tutti, ora non più. Chi voleva mantenere la professione doveva obbligatoriamente scendere a compromessi con il datore di lavoro sobbarcandosi le responsabilità dell’accordo invisibile che egli aveva stretto con i propri clienti, ovvero chiudere un occhio su eventuali difetti dei veicoli. Molti scelsero coscienziosamente di abbandonare il ruolo a favore di mansioni meno rischiose e meglio retribuite, ma la cosa non segnò minimamente il settore: morto un papa se ne faceva un altro. La continua richiesta di responsabili tecnici di ricambio è stata per anni la fortuna degli enti di formazione che erogavano corsi no-stop utilizzando strategia di marketing degne dei più fantomatici venditori di fumo che infestano il web. “Soddifatti o rimborsati”, “99% di promossi”, “promo”… ma di cosa stiamo parlando?

LE CONSEGUENZE

Pur non avendo potere decisionale, i primi responsabili tecnici potevano vantare una solida esperienza in autofficina che li rendeva quantomeno consapevoli del proprio operato, ma chi sono i loro successori? Il responsabile tecnico 2.0 ha la stessa funzione del parafulmine durante il temporale, è un semplice pretesto per consentire al centro revisioni di lavorare in apparente ottemperanza alle normative vigenti scaricando sul malcapitato ogni eventuale conseguenza legale. Inutile dire che il neodiplomato era la miglior risorsa per questa mansione: giovane, incosciente e low-cost, ma soprattutto facilmente manipolabile. In quattro giorni con circa 500€ si poteva ottenere la valida alternativa al responsabile tecnico assunto da diversi anni che magari cominciava ad avanzava qualche pretesa di troppo sulla base del’esperienza maturata. Meglio stendere un velo pietoso sulla qualità dei controlli: l’addetto alle revisioni non imparava a controllare il veicolo, bensì eseguiva una serie di operazioni per produrre nel più breve tempo possibile l’etichetta attestante la revisione regolare. Degno di nota anche il responsabile tecnico 3.0, il prestanome a tutti gli effetti: mogli, figli e parenti del titolare del centro revisioni assunti unicamente per far figurare agli atti la presenza dell’addetto ai controlli. E la sicurezza stradale? In italia la revisione ministeriale non ha nulla a che vedere con la sicurezza stradale.

SUBENTRA L’EUROPA – FINE DELLA PACCHIA

In data 3 Aprile 2014 viene emessa dal Parlamento europeo la direttiva 2014/45ue (testo integrale), oltre 70 pagine di capitolato relativo ai controlli tecnici periodici dei veicoli a motore. Il principale obbiettivo della normativa è quello di azzerare le vittime della circolazione stradale innalzando gli standard qualitativi della revisione ministeriale partendo dell’operatore che materialmente esegue i controlli. Il responsabile tecnico diventa ispettore ai sensi del nuovo regolamento, ma non ha nulla a che vedere con la precedente figura professionale. Se per alcuni nazioni non è stato un problema il recepimento delle disposizioni europee, per l’Italia la situazione era tragica: solo nel preambolo della direttiva erano presenti elementi a sufficienza per distruggere l’intero sistema revisioni nazionale.

“[..](33) Gli standard elevati dei controlli tecnici richiedono che il personale che effettua i controlli possieda un livello elevato di capacità e di competenze. È opportuno quindi introdurre un sistema di formazione che comprenda una formazione iniziale e corsi periodici di aggiornamento o un esame appropriato. Dovrebbe essere definito un periodo transitorio per consentire il passaggio senza difficoltà del personale attuale addetto ai controlli a un regime di formazione periodico o di esame. Al fine di assicurare standard elevati in materia di formazione, competenze e controllo, agli Stati membri dovrebbe essere consentito di prescrivere competenze supplementari e corrispondenti requisiti in materia di formazione.

(34)È opportuno che gli ispettori, durante l’effettuazione dei controlli, agiscano in modo indipendente e che il loro giudizio non sia condizionato da conflitti di interesse, compresi quelli di natura economico o personale. È opportuno che il compenso degli ispettori non sia direttamente collegato ai risultati dei controlli tecnici. Gli Stati membri dovrebbero poter prescrivere requisiti in materia di separazione delle attività o autorizzare un organismo privato a effettuare i controlli tecnici e le riparazioni di veicoli, anche sullo stesso veicolo, qualora l’organo di controllo abbia accertato positivamente che resta mantenuto un elevato livello di obiettività.[..]”

Com’è possibile tutto ciò in un paese dove l’ispettore viene assunto direttamente dal centro revisioni che il più delle volte coincide con l’autofficina che esegue i lavori da certificare? “Livello elevato di capacità e di competenze” per 32 ore di corso obbligatorie? Andiamo oltre. Entro il 20 Maggio 2017 gli stati membri dovevano pubblicare le disposizioni legislative necessarie al recepimento della direttiva sopra citata e l’Italia emette ad un giorno dal termine il Decreto Ministeriale 214 (testo integrale). I requisiti minimi relativi alla competenza e formazione degli ispettori vengono definiti nell’allegato IV (testo integrale) del presente decreto, ma si arriva alla scadenza per l’applicazione delle nuove disposizioni con un nulla di fatto per quanto riguarda i nuovi corsi di formazione. In data 18 Maggio 2018 viene emesso il decreto dirigenziale n.211 (testo integrale) che mediante l’articolo 7 blocca definitamente i corsi per la qualifica di responsabile tecnico fuori norma:

“I responsabili tecnici già autorizzati o abilitati alla data del 20 maggio 2018 continuano ad operare come previsto dall’art. 13 comma 2 del D.M.
A partire dal 20 maggio 2018 gli ispettori dei centri di controllo privati dovranno soddisfare i requisiti minimi di cui all’art. 13 del D.M.
In attuazione del sopracitato articolo è in corso di definizione il previsto provvedimento del Ministero, da adottarsi nel rispetto delle competenze tra enti amministrativi e tenuto conto delle disposizioni da impartire ai sensi dell’art. 14 del D.M.
I candidati che hanno partecipato ai corsi secondo le modalità previgenti e che si concluderanno entro il 20 maggio 2018, dovranno effettuare l’esame entro il 31 agosto 2018.”

Il 20 Maggio 2018 segna la fine del business della formazione e l’inizio della rivalsa dei responsabili tecnici ormai ispettori, ma è subito #allarmesicurezzastradale*. Le associazioni di categoria delle autofficine/centri di revisione iniziano a diffondere massivamente allarmismi sulla presunta necessità di figure professionali regolarmente abilitate attribuendo responsabilità catastrofiche alle direttive europee, ma questa fandonia non attacca. Ci provano anche con l’ausilio della politica promuovendo all’interno del Decreto milleproroghe D.L. n.91 del 25 Luglio 2018 (testo integrale) un’integrazione all’articolo 13 del Decreto ministeriale n.214 per posticipare l’entrata in vigore delle disposizioni europee, ma il direttore generale della Motorizzazione Civile non si esprime: i corsi rimangono bloccati. Non rimaneva altro che attendere l’emissione del testo unico contente i criteri per la formazione dei futuri ispettori frutto della collaborazione tra le varie associazioni di categoria ed il Ministero dei Trasporti, e questo è quanto: 296 ore di corso per i diplomati + 3 anni di tirocinio e 176 ore per gli ingegneri + 6 mesi di tirocinio (testo integrale). –Follia! Ricorso al TAR! – D’ora in poi come faranno i titolari dei centri di revisione a sostituire con semplicità l’ispettore dipendente che gli è costato 5000€ di formazione? E se il corso fosse autofinanziato dalla risorsa accetterebbe di lavorare per uno stipendio da miseria ed un inquadramento da comune operaio? Come potranno gli enti di formazione lucrare sulla sventurata condizione del responsabile tecnico? RICORSO AL TAR!

*#allarmesicurezzastradale – riferimento ironico all’hashtag utilizzato dalle associazioni di categoria della autofficina per le campagne di (dis)informazione.

Per gli operatoriPer gli utenti

Nelle precedenti analisi (passato) (presente) si è parlato degli innumerevoli fallimenti imprenditoriali che hanno generato concorrenza sleale ai danni del sistema revisioni, ma non è corretto attribuire tutte le responsabilità allo Stato. Titolari di imprese senza scrupoli esistono in ogni settore, così come fornitori di attrezzature e servizi che fanno il proprio interesse, ma per completare il quadro è utile citare coloro che materialmente eseguono i controlli sui veicoli. Che si voglia chiamarli responsabili tecnici, ispettori, omini della revisione o meccanici poco cambia: la categoria degli operatori addetti alla revisione ministeriale non esiste e di questo passo non esisterà mai. Le problematiche connesse all’esercizio di questa professione sono molteplici, dall’assenza di un contratto nazionale dedicato alla mancanza di formazione adeguata, dal conflitto d’interessi con il proprio titolare all’assenza di supporto da parte della Motorizzazione Civile, ma perchè nessuno si adopera per migliorare la situazione? La speranza nella Divina Provvidenza fa parte della cultura dell’italiano medio ed il responsabile tecnico sposa perfettamente questa filosofia di vita, la breve storia di questo settore insegna. Negli anni sono nate diverse associazioni di categoria con lo scopo di valorizzare questa figura professionale (A.I.R.T.R.A., Vai Sicuro, A.R.T.I), ma l’indifferenza generale ha fatto tramontare ogni progetto. Da poco più di tre anni ha preso piede l’Associazione ICC (Ispettori Centri di Controllo) che grazie al notevole impegno del presidente Gianluca Massa e di tutto il team del direttivo sopravvive, ma non ottiene sicuramente il seguito che meriterebbe considerando l’obbiettivo raggiunto della convocazione al tavolo tecnico del Ministero dei Trasporti. La gran parte degli operatori lamenta situazioni estremamente gravi, ma per quale motivo accettano di lavorare in condizioni di sfruttamento, nell’illegalità e col rischio di conseguenze panali? Vittimismo e scarico di responsabilità, ecco altre due peculiarità all’italiana che in questo caso vengono espresse alla perfezione, ma la legge parla chiaro: il responsabile tecnico che accetta di scendere a compromessi è colluso al sistema marcio e non può nascondersi dietro alle pressioni del titolare. In fin dei conti chi per anni ha avuto un’occupazione fissa (comma 2 art 240 del c.d.s) svolgendo una mansione fisicamente leggera se confrontata agli altri lavori da autofficina non ha interesse a mettere a repentaglio la propria condizione “privilegiata”, questa è la realtà. Con la legge di bilancio 2019 (art. 1049-1050) lo Stato riserva a questa categoria la possibilità di ampliare il raggio d’azione ai veicoli di massa superiore a 35q.li esclusi quelli destinati al trasporto di merci pericolose o in regime di ATP (approfondimento tratto dal Dossier della Camera dei Deputati). Premio o punizione? Difficile a dirsi, ma in ogni caso va riconosciuto che la gran parte dei responsabili tecnici non possiede nemmeno le competenze minime per mantenere la professione come prescritto dalla normativa europea 2014/45ue (link) recepita in Italia con i decreti D.M. 214 (link) e D.D 211 (link). La fortuna di molti è il comma 2 dell’articolo 13 del D.M. 214: “gli ispettori già autorizzati o abilitati alla data del 20 Maggio 2018 sono esenti dal possesso dei requisiti”, ma saranno all’altezza della figura che dovranno rappresentare? Nel frattempo le anteprime di certificato di revisione che sarà obbligatorio dal 1° Aprile 2019 dimostrano chiaramente l’indipendenza dell’ispettore rispetto al centro in cui viene eseguito il controllo: è forse l’inizio di una netta separazione fra le due entità? Probabilmente sì, ma questo ruolo da protagonista  non piacerà agli inetti che per anni hanno mantenuto la professione perchè convinti di navigare in acque sicure: è l’inizio della selezione naturale. La centralità dell’ispettore che tanto spaventa i titolari dei centri di controllo e le relative associazioni di categoria potrebbe essere la soluzione a tutti i problemi del settore in quanto diminuirebbero le spese fisse a carico delle attività.  Abrogando il già citato comma 2 dell’art. 240 del c.d.s. le imprese sarebbero libere dall’obbligo di assumere come dipendente il responsabile tecnico che a sua volta sarebbe svincolato dal principio di esclusività verso un unico centro; le revisioni potrebbero essere gestite come quelle degli autocarri con ingegnere MCTC esterno e pagato a prestazione (no malattia, no ferie, no TFR, ma nemmeno compensi da operaio generico). I costi di formazione ed aggiornamento prescritti dal comma 2 dell’allegato IV (link) del D.M. 214 saranno l’ennesimo flagello per le imprese, ma solo ragionando secondo i vecchi schemi. Al pari di un libero professionista dovrebbe essere premura e onere dell’ispettore rendersi idoneo al mercato del lavoro in quanto maggiori competenze gli consentiranno di ottenere migliori opportunità. L’articolo 80 del c.d.s. andrebbe frazionato sulla base delle abilitazioni dell’ispettore e della attrezzature-locali dei centri di controllo, altrimenti affonderebbero il 50% delle imprese del settore. Le attrezzature prescritte dall’allagato III del D.M. 214 (link) (approfondimento) e obbligatorie entro il 20 Maggio 2023 lasciano intendere investimenti paragonabili a quelli relativi all’adeguamento per il protocollo MCTC Net 2 nel 2015: il Sig. Rossi citato nel precedente articolo potrà permettersi tutto ciò? I titolari di centri di controllo che non posseggono le dimensioni minime per esercitare la professione riusciranno a mettersi in regola con opere murarie o dovranno trasferire le proprie attività in locali idonei? L’alternativa non catastrofica potrebbe esistere, ma gli imprenditori dovranno rinunciare ad una fetta di mercato riequilibrando una volta per tutte il settore. Si potrebbe fare a meno del tanto odiato pedale pressometrico, ma il centro non sarebbe più autorizzato a revisionare veicoli sprovvisti di sistema antibloccaggio, ma non si tratterà di sole limitazioni. Perchè non estendere la revisioni dei veicoli di interesse storico e collezionistico immatricolati prima del 1960 ad ispettori che anno superato specifici corsi? Nel frattempo diventa sempre più concreta l’ipotesi della concessione di collaudi ad impianti GPL e ganci di traino ai privati vista e considerata l’evidente difficoltà della Motorizzazione Civile nel gestire queste pratiche (immagine sotto). Pura fantascienza? Staremo a vedere.

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Dopo aver analizzato il passato del settore revisioni (link articolo), è bene approfondire il presente per poter avanzare delle ipotesi attendibili sul futuro, ammesso che ci sia un futuro. Per cominciare, un fatto avvenuto circa un anno fa, un esempio delle migliaia di realtà esistenti sul territorio che esamineremo successivamente:

“18 Luglio 2018: Un cliente si presenta in officina chiedendo di carburare un vecchio motard anni 90 che a seguito di una revisione periodica era stato sospeso dalla circolazione per le emissioni inquinanti oltre i limiti di legge. Disponendo di  un analizzatore, prima di effettuare un qualsiasi intervento meccanico decido di testare a mia volta i gas di scarico simulando la prova che avviene durante il controllo ministeriale. Primo problema: la sonda generica di prelievo non entra correttamente nel terminale scarico a causa di un impedimento meccanico. Si può considerare veritiero il test? Assolutamente no, ma questa deduzione è frutto di una conoscenza che va ben oltre il “verde-regolare, rosso bocciato*”, una conoscenza che dovrebbero avere tutti i tecnici abilitati dal Ministero dei Trasporti. Il referto complessivo della revisione conferma la mia ipotesi: la sonda di prelievo aspira aria oltre ai gas di scarico del veicolo alterando i valori della prova e compromettendo l’esito del controllo tecnico. Sicuramente il collega non conosceva il Decreto 20 Giugno 2003 – G.U. 145 15/6/2013 (link), in particolare i punti che definisco le diverse modalità di esecuzione del test a seconda del diametro interno del terminale di scarico: <<Accertare che lo scarico del veicolo sia a tenuta e che il sistema di controllo delle emissioni, se esiste, sia costituito dall’equipaggiamento previsto dal costruttore. Sono ammessi eventuali ingressi supplementari di aria se previsti dal costruttore.  Introdurre nella tubazione di scarico la sonda di prelievo dei gas da 6 mm per almeno 100 mm, con diametri interni dello scarico da 12 a 20 mm. Introdurre nella tubazione di scarico la sonda di prelievo dei gas da 10 mm per almeno 200 mm, con diametri interni dello scarico maggiori di 20 mm. Per la particolare conformazione della tubazione di scarico o con diametro interno inferiore a 12 mm o in alternativa alle condizioni precedenti occorre prolungare lo scarico attraverso l’uso di una prolunga metallica di almeno 400 mm (þ 5 mm) con diametro interno di 50 mm (þ 5 mm) (raggiunto in modo graduale) verificando che il collegamento sia a tenuta e che la sonda sia introdotta nella prolunga per almeno 300 mm.>> Benissimo, dopo aver appurato che il motociclo fosse a norma con le emissioni inquinanti, mi metto in contatto con il responsabile tecnico che ha eseguito la revisione per concordare il giorno del riesame. Con piacere scopro che si tratta di una ragazza, la Sig.rina Rossi**, figlia del titolare dell’impresa che si occupa di pneumatici e revisioni ministeriali. L’indomani mi presento all’appuntamento con il motociclo ed una copia della normativa precedentemente citata, pronto ad un confronto professionale con la collega. Contro ogni pronostico, dopo pochi scambi di opinione, il Sig. Rossi** si rende conto che la figlia si stava letteralmente arrampicando sugli specchi e ci interrompe: -5 minuti e arriva il ragazzo, è meglio se parli con lui-. Per chi non avesse inteso, l’organizzazione del centro era la seguente: l’operaio generico svolge materialmente la revisione ministeriale mentre l’impiegata d’ufficio firma i referti essendo l’unica in possesso dell’abilitazione. Molto probabilmente non sapevano dell’esistenza della circolare A33/99/MOT prot. n. 1928/FP3 (link), anzi, sicuramente, poichè un gommista ed un responsabile tecnico con alle spalle un misero corso di 32 ore non possono conoscere la normativa nel dettaglio:<<[..]Deve ritenersi non dato al responsabile tecnico di delegare ad altri anche semplici fasi del suo compito: egli deve presenziare e certificare personalmente tutte le fasi che si riferiscono alla sua responsabilità e che sono direttamente connesse alla sicurezza stradale del mezzo>>. Torniamo a noi. Dopo aver convinto l’operaio ad utilizzare l’attrezzatura congrua al motociclo (immagine sopra), finalmente viene avviato il controllo ministeriale: sono le ore 13:40. Tralasciando una serie di malfunzionamenti della linea revisioni di bassa qualità, la goffaggine dell’operatore e l’inesperienza con lo strumento che aveva da poco rispolverato, la revisione procedeva molto lentamente e non ero l’unico ad accorgermene. Alle ore 14:05 eravamo ancora in alto mare ed i clienti cominciavano a far pressione al Sig. Rossi che non poteva posizionare i veicoli sui ponti sollevatori in quanto la revisione in corso ostruiva l’unico accesso. Ore 14:25: finalmente si arriva al dunque e la regolare attività del gommista può riprendere, di corsa naturalmente vista la mole di lavoro accumulatasi nel frattempo. Ricordo molto bene le ultime parole del Sig. Rossi prima dei saluti: – Ma chi me l’ha fatto fare di aprire il centro revisioni? Dovessi tornare indietro…mai più!”-.

(*)Nei software che gestiscono la revisione ministeriale, solitamente i valori regolari vengono contrassegnate in verde mentre quelli irregolari in rossa. (**)Nome di fantasia.

A seguito di questo breve aneddoto, è interessante stimare la mole dei Sig. Rossi presenti sul territorio, ovvero gli autoriparatori che hanno acquistato una linea revisioni unicamente per dare un servizio aggiuntivo ai clienti. Per l’ennesima volta tornano utili i dati forniti da Osservatorio Revisione Veicoli, in particolar modo il grafico seguente:

Oltre il 50% dei centri di revisione non arriva a 1500 revisioni annue, una mole di lavoro che lascia intendere si tratti di imprese ibride che si occupano contemporaneamente di autoriparazione e controllo ministeriale. Siamo sicuri che questo allontanamento dal core business (fonte principale di guadagno di un’azienda) sia stato un buon investimento? Chi si occupa da anni di revisioni ministeriali è ben avvezzo alla semplicità con cui si perde clientela, ma un gommista, ad esempio, sarebbe disposto a perdere una flotta aziendale di dieci veicoli commerciali a cui sostituisce regolarmente gli pneumatici per una misera revisione (66,88€ contro migliaia di euro)? Le opzioni sono due, in entrambi i casi controproducenti: scendere a compromessi con le revisioni ministeriali rischiando guai penali oppure operare secondo il protocollo perdendo matematicamente preziosi clienti. Non si tratta di deduzione, ma è un dato di fatto: molti imprenditori sono coscienti di essersi immischiati in un settore che non riescono a gestire vista la radicale differenza con le dinamiche dall’autoriparazione in generale. Come se non bastasse, la scelta il più delle volte non è frutto di un business plan accurato, ma il meccanico si può definire vittima del marketing spietato dei venditori di strumentazioni che promettono facili guadagni senza menzionare tutte le problematiche del settore. Un po’ il commercialista che consiglia di acquistare attrezzatura per abbassare gli utili, un po’ i piani di ammortamento favorevoli che vengono proposti ultimamente, ed ecco che il Sig. Rossi firma la condanna a morte della propria piccola impresa. Da menzionare anche coloro che hanno aperto per necessità: l’autofficina con centro revisioni “di fiducia” a cui indirizzavano i propri clienti per il controllo ministeriale il più delle volte cercava di promuovere altri servizi generando un conflitto d’interessi (nell’immagine di destra un punto della campagna dell’associazione di categoria Asso.Car). Lo Stato darà una seconda chance ai vari Sig. Rossi o sarà il mercato a fare piazza pulita?

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Sono trascorsi oltre vent’anni dalla privatizzazione delle revisioni ministeriali per i veicoli di massa inferiore a 35q.li. (Art. 80 del nuovo codice della strada – D.L 285 del 30/04/1992) e la situazione è degenerata a punto che il settore ha perso credibilità agli occhi di tutti. La carenza di personale della Motorizzazione Civile e l’abbandono della supervisione nei confronti delle imprese addette al controllo dei veicoli è sfociata in un regime di totale anarchia ormai impossibile da recuperare. Le cosiddette mele marce, ovvero i centri di revisione irregolari considerati dalle Autorità come una minoranza, non erano poi un fenomeno di proporzioni trascurabili. Errata valutazione? Assolutamente no, sottostimare era l’unica soluzione per scrollarsi di dosso le evidenti responsabilità. Già, perchè se i frutti guasti fossero una minima parte si potrebbe pensare a vermi o parassiti, ma viste le circostanze probabilmente è l’albero ad essere gravemente malato. Al pari dei maxi-processi in cui lo Stato figura al banco degli imputati, anche in questo caso il problema principale è la natura dei presunti colpevoli e le conseguenze sull’opinione pubblica. Chi dirà agli imprenditori che il sistema fa acqua da tutte le parti e non c’è modo di rimediare se non con una rivoluzione generale del settore? L’errore di base è stato presentare il controllo ministeriale dei veicoli come un’accessorio dell’autoriparazione per ingolosire i meccanici ad investire risorse in questa nuova opportunità (è bene ricordare che questa gentile concessione deriva dall’impossibilità di gestire nelle strutture pubbliche la mole di lavoro dopo l’introduzione della periodicità dei controlli “4+2+2”). Questo concetto viene illustrato nell’art. 239 del regolamento di attuazione del nuovo codice della strada (link): “Le imprese di cui all’articolo 80, comma 8, del codice devono [..] essere iscritte in tutte le quattro sezioni del registro di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 122, ovvero in tutte e quattro le sezioni dello speciale elenco previsto dall’articolo 4 della medesima legge [..]” In parole povere, non solo i centri di revisione dovevano avere legami con l’autoriparazione, ma erano tenuti a dimostrare di essere contemporaneamente meccanici, gommisti, carrozzieri ed elettrauto (con legge n.224/2012 la categoria “meccanico” ed “elettrauto” sono state incorporate nella nuova sezione “meccatronica”). Chi dirà agli autoriparatori che hanno acquistato attrezzatura fittizia per ottenere le “categorie” che secondo la normativa europea il centro di controllo dovrebbe essere indipendente dall’autofficina per limitare ogni tipo di conflitto d’interesse? Di seguito un estratto del considerando 34) della direttiva 2014/45ue (link): “Gli Stati membri dovrebbero poter prescrivere requisiti in materia di separazione delle attività o autorizzare un organismo privato a effettuare i controlli tecnici e le riparazioni di veicoli, anche sullo stesso veicolo, qualora l’organo di controllo abbia accertato positivamente che resta mantenuto un elevato livello di obiettività.” “Fortunatamente” lo Stato italiano nei decreti attuativi ha camuffato goffamente questi “dettagli” cercando di mantenere invariato il regime, ma ciò che non potranno tralasciare è l’elemento centrale della normativa europea: l’ispettore. Chi dirà ai titolari dei centri di revisione che i requisiti minimi che dovrà rispettare l’operatore che materialmente esegue il controllo ministeriale non sono neanche lontanamente paragonabili a quelli previsti dall’art. 240 del regolamento di attuazione del c.d.s. (link)? Fino ad oggi era sufficiente un qualsiasi non pregiudicato che avesse superato un corso di 32 ore, ma ora si parla di aggiornamento costante, competenze comprovate e soprattutto libertà decisionale. Non è finita. Il già citato art. 239 del regolamento di attuazione del c.d.s. prevedeva le misure minime per i locali in cui avveniva il vero e proprio controllo del veicolo:  Le singole officine per le quali vengono rilasciati gli atti di concessione devono essere dotate di locali che, oltre a possedere le prescritte autorizzazioni amministrative, devono avere: a) superficie non inferiore a 120 m; b) larghezza non inferiore a 6 m; c) ingresso avente larghezza ed altezza rispettivamente non inferiori a 2,50 m e 3,50 m”. Le uniche indicazioni relative all’altezza sono le specifiche dell’ingresso, al fine di consentire il transito di tutti i veicoli di massa inferiore a 35 q.li. Una miriade di centri di revisione sono stata autorizzati con ambienti alti poco più di 3,50m, non considerando che il veicolo doveva essere sollevato sul ponte per la prova-giochi ad un altezza minima di 1,80m. Come dire agli imprenditori che i locali sono stati autorizzati irregolarmente dopo averli approvati qualche anno prima? Alcune attività sono state limitate a seguito di visite ispettive (immagine di destra), ma quante ancora faranno la stessa fine? Il problema è molto serio: la mancanza dell’altezza minima per eseguire i controlli è la prova chiare ed inconfutabile che le revisioni sono state eseguite solo parzialmente e di conseguenza sono in circolazione autocarri potenzialmente pericolosi. Come se non bastasse, l’intero settore sta vivendo un periodo di crisi, una recessione facilmente prevedibile che per secondi fini commerciali non è stata scongiurata. I grafici seguenti mostrano chiaramente la diminuzione del numero di revisioni pro-capite dovuta alla crescita incontrollata dei centri di revisione ben oltre il fabbisogno teorico (oggi sono circa 9000). Chi ha autorizzato tutto ciò? Chi ha venduto la sicurezza stradale ai produttori di attrezzature e agli enti che si occupano di formazione? 

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