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Confessioni di un RT

Ciao a tutti, mi chiamo Andrea, ho 25 anni e vivo in provincia di Verona, ma ho origini emiliane. La mia “carriera”, se così possiamo definirla, nel mondo delle revisioni è iniziata nel 2015 quando fui assunto come operaio generico presso un noto centro nella città di Reggio Emilia. Premetto che fortunatamente non sono un responsabile tecnico (o ispettore, come dir si voglia), e dico fortunatamente perché non invidio coloro che grazie ad un misero corso di 32 ore fanno il mio stesso lavoro con responsabilità penali. Sono un cosiddetto “operatore di linea”, figura professionale creata ad hoc per consentire agli imprenditori di sottopagare colui che materialmente svolge la revisione ministeriale.  Paradossalmente la mia posizione non aveva nulla da invidiare a quella dell’ispettore ministeriale regolarmente abilitato: la differenza di stipendio era minima (nell’ordine di 80€/mese netti), ma nessuno mi obbligava a prendere responsabilità sulla revisione di veicoli irregolari. Al pari dei dentisti senza laurea, vivevo con l’ansia di essere colto in fragrante dalla Motorizzazione Civile mentre operavo senza supervisione dell’ispettore responsabile, il pretesto per giustificare la mia assurda figura professionale. Non ero un semplice aiutante come volevano far credere: svolgevo l’intero ciclo della revisione ministeriale in completa autonomia, ma la firma – e quindi la responsabilità – era di un collega spesso assente durante il controllo ai veicoli. Dopo una settimana di lavoro avevo già compreso l’andazzo che mi ricordava molto l’esperienza alla scuola guida: durante la teoria due mani sul volante, indicatore di direzione all’uscita della rotatoria, limite di velocità di 50km/h nel centro abitato, poi nella pratica sappiamo tutti come va. Una cosa non comprendevo e non comprendo tutt’ora: per quale motivo i miei colleghi ispettori operavano con leggerezza rischiando conseguenze penali? Si sa, il titolare è l’unico ad avere vantaggi se il tecnico opera in maniera frivola guadagnando la simpatia e quindi la fiducia dei clienti (è assurdo, lo so, ma funziona così), ma a loro cosa veniva in tasca? Nessuno sapeva rispondere alla mia domanda, ma la passione per questo lavoro mi ha spinto ad ottenere il diploma che mi avrebbe permesso di partecipare al corso di abilitazione per la qualifica di responsabile tecnico. Pazzia? Molti direbbero di sì, ma ero stanco di operate abusivamente maturando un’esperienza che non avrei potuto riutilizzare nel settore. Il desiderio di mettermi in gioco e la determinazione mi hanno dato la forza per studiare nel poco tempo libero che avevo a disposizione conseguendo in breve la maturità di perito industriale, ma ormai era Luglio del 2018: corsi bloccati per effetto della direttiva europea. Mentirei se dicessi che inizialmente ero contrario al blocco della formazione, ma ho dovuto fare i conti con la mia coscienza mettendo da parte gli interessi personali per una buona causa. E vero, mi costerà una fortuna abilitarmi al ruolo, ma sono certo che nelle 300 ore di corso troverò spunti per migliorare ed operare con maggior consapevolezza. Per concludere, un consiglio rivolto a tutti i colleghi nella mia situazione: non abbiate paura delle responsabilità e seguite le vostre passioni, investite su voi stessi!

Confessioni di un RT

Buongiorno a tutti, mi chiamo Maurizio e sono un perito meccanico che nel 2010 ebbe la “brillante” idea di ottenere l’abilitazione come responsabile tecnico revisioni. Cominciai da subito a lavorare in Sicilia e mi resi conto che dalla teoria alla pratica passavano mari, monti e dimensioni parallele (Einstein avrebbe finalmente potuto applicare la teoria del relativismo). Ciò che per definizione era una una pratica atta a certificare lo stato di sicurezza del veicolo veniva considerata dal cittadino come un’inutile tassa mentre dal titolare come un pretesto per fare business senza scrupoli. Non ci volle molto a comprendere che la funzione della figura del responsabile tecnico era stata creata ad-hoc per un’esigenza del sistema: il settore dell’autoriparazione aveva finalmente l’opportunità di attirare nuovi clienti scaricando tutte le responsabilità penali su un dipendente. Credendo si trattasse di una questione puramente siciliana decisi di trasferirmi al nord con la speranza che l’andazzo fosse differente, ma mi sbagliavo di grosso. Dopo due anni di lavoretti occasionali finalmente arrivò un’opportunità di carriera come responsabile tecnico che si rivelò molto responsabile e poco tecnico vista la proposta economica ridicola che mi fecero, ma nonostante tutto accettai senza riserve. Presi in gestione un centro di revisioni in provincia di Parma, o meglio, ciò che ne restava in piena fase di transizione al protocollo MCTC Net2. Il mio predecessore non aveva retto le ore snervanti di attesa con i call center dell’assistenza, i computer che sul più bello andavano in blocco, gli errori di sistema e così via, ma posso comprenderlo, personalmente l’ho fatto unicamente per ottenere un miglioramento contrattuale in virtù del mio impegno. Cercai da subito di introdurre un metodo lavorativo molto elementare che venne visto come qualcosa di extraterrestre: che c’era di tanto strano a riparare i difetti riscontrati sui veicoli prima di effettuare la revisione ministeriale? Dovete sapere che il centro in cui lavoravo era dotato anche di autofficina e gommista, pertanto mi pareva abbastanza logico cooperare con gli altri settori dell’attività per migliorare il servizio (e far guadagnare di più il mio titolare). Feci il possibile anche per rivedere i rapporti con le altre officine offrendo come unico servizio il pre-controllo gratuito dei veicoli così da consentire anche a loro di aumentare la mole di lavoro. Pensate sia stato gradito questo modus operandi? Nossignore! Facevo la guerra con un sistema più grande di me: la revisione ministeriale era, è e sarà (purtroppo) sempre vista come un lasciapassare per circolare in regola su strada pubblica. Sicurezza stradale? Interessa a tutti finchè il veicolo difettoso o inquinante non è il proprio…ma siamo in Italia, non c’è da stupirsene. La situazione tutto sommato non era così malvagia, in due anni la produttività del centro era migliorata del 20% e finalmente era giunta l’ora di chiedere un aumento retributivo che naturalmente mi fu negato. Ricordo ancora quando un clienti si complimentò per la mia professionalità dicendo che un lavoro così non lo avrebbe fatto nemmeno per 3000€ al mese viste le responsabilità penali connesse all’esercizio. Bene, io l’ho fatto per due anni a poco più di un terzo di quella cifra, ma ora basta, sono in attesa di una nuova avventura in un altro centro revisioni. Che dire, dalle due esperienza passate ho appreso che per fare il responsabile tecnico in Italia devi accettare di essere sottopagato oppure devi revisionare con esito regolare veicoli gravemente pericolosi. Mi prendereste per pazzo se vi dicessi che sono terrorizzato per la nuova esperienza? La speranza è l’ultima a morire (dicono), ma per quanto mi riguarda è defunta dal 2010 poco dopo quella “brillante” idea.

Confessioni di un RT

Buongiorno a tutti, mi chiamo Gianluca e questa è la mia esperienza ventennale come responsabile tecnico revisioni in provincia di Chieti. Iniziai a lavorare in autofficina come accettatore nel Febbraio 1997, ma presto la mia carriera migliorò grazie all’art. 80 del C.d.s. che autorizza le sedi private a svolgere revisioni ministeriali. Nel Marzo dell’anno successivo il mio ex-titolare mi propose il ruolo di responsabile delle revisioni: accettai con piacere e partecipai a tutti i corsi per ottenere l’abilitazione. In quegli anni la Motorizzazione era sovraffollata a causa del cambio di periodicità del collaudo (da decennale all’attuale sistema “quattroduedue”) e nel caos mancarono completamente assistenza e supporto. Non fu per nulla semplice muovere i primi passi in un settore totalmente nuovo, ma grazie ai libri di testo disponibili in commercio riuscii autonomamente a colmare le gravi lacune della “formazione”, se così possiamo definirla. Ricordo fin dal principio le pressioni dell’ex-titolare che voleva influenzare le mie decisione sull’esito dei controlli, ma tutto sommato la situazione era sopportabile in quanto la mole di lavoro era talmente elevata da lasciare poco spazio alle discussioni. Nel Giugno del 2000, a malincuore, cambiai posto di lavoro per avvicinarmi a casa: il più grande errore della mia vita. Per essere precisi, i nuovi titolari erano all’incirca una trentina, tutti autoriparatori che, per suddividere l’ingente investimento necessario per aprire un centro di revisioni, fondarono un consorzio. Gli unici dipendenti eravamo io ed il figlio di un consorziato che da sempre veniva trattato in maniera privilegiata, ma inizialmente non diedi peso alla cosa. Sia chiaro, se la natura della preferenza fosse stata legata al grado di  parentela non ci sarebbe stato nessun problema, ma a quanto pare il collega era un po’ più leggero nell’assegnazione degli esiti ai controlli. Passarono gli anni ed i rapporti con i consorziati si incrinarono a causa dei continui scontri: quella che per loro era una semplice “strizzatina di occhio” , per me era una certificazione falsa di veicoli pericolosi, per la legge invece era (ed è tutt’ora) falsità ideologica in atto pubblico, un reato penale. Tra un esercito di titolari che mi imponevano un modo di lavorare scorretto ed un collega accondiscendente, l’unico spiraglio di salvezza per me era la Motorizzazione Civile alla quale in più occasione segnalai i veicoli difformi revisionati con esito “regolare”. Le comunicazioni andavano in porto, ma i tempi eccessivamente lunghi dei controlli a campione vanificarono il mio intento poichè al momento del richiamo il veicolo sospetto era già stato rottamato o riparato per la circostanza. Dal “pignolo di turno” si arrivò rapidamente agli insulti veri e propri e dagli insulti alle minacce. Mi son sempre chiesto perchè in tutti i settori se sei bravo e conosci il tuo mestiere riesci a fare un’ottima carriera con grandi soddisfazioni, mentre in questo vieni etichettato come incompetente e poco collaborativo. Ad ogni modo, ho sempre avuto le spalle grosse, lavoravo secondo le mie competenze e secondo la mia coscienza, ma il 16 Marzo 2018 ricevetti da parte di un funzionario del tribunale una lettera (immagine). Ero abbastanza tranquillo della mia buona condotta in generale, pensavo si trattasse di un errore, ma a quanto pare mi sbagliavo: licenziamento in tronco. Da quel giorno ad ora sono senza lavoro, ho una moglie casalinga, due figli ed un mutuo da pagare: com’è possibile che non riesco a reinserirmi in questo settore? Ho forse troppa esperienza? Fa più comodo un ragazzino incosciente e sottopagato? Sicuramente sì, ma ciò che mi abbatte maggiormente è che che di fronte ad un regolamento europeo (2014/45EU) che prevederebbe l’innalzamento degli standard qualitativi del settore le associazioni di categoria remano contro: non vedo vie d’uscita.