La sera del 23 Dicembre si sente nuovamente parlare di revisioni ministeriali a Striscia la notizia, ma con una grande novità poichè per la prima volta viene nominato il “responsabile tecnico” . La causa dell’oscuramento di questa figura professionale negli anni è tanto semplice quanto amara: il responsabile tecnico non esiste, o meglio, fa comodo pensarla così. Partendo dal principio, la figura del responsabile tecnico di operazioni di revisione periodica dei veicoli a motore e loro rimorchi è normata dall’art. 80 del Codice della Strada, più precisamente dal regolamento di attuazione art. 240 che descrive in otto punti i requisiti necessari per avere l’abilitazione ad esercitare la professione .L’unico ostacolo degno di nota per ottenere il riconoscimento è l’ottavo punto che prevede il superamento “di un apposito corso di formazione organizzato secondo le modalita’ stabilite dal Dipartimento dei trasporti terrestri”. Questo vincolo è stato introdotto in un secondo momento (art. 2 D.P.R. 05.06.2001) perchè dopo soli 5 anni di revisioni ministeriali concesse ai privati in modo confusionario è parso doveroso formare coloro che fisicamente controllano i veicoli (per approfondimento leggi l’articolo Chi è veramente “quello delle revisioni?”). I corsi di formazione solitamente hanno una durata di 30 ore e si concludono con un esame teorico e pratico che in caso di esito positivo abilita a tutti gli effetti. Ricapitoliamo. Chi è il responsabile tecnico? -Un cittadino maggiorenne di uno stato membro della comunità europea idoneo all’esercizio dell’attività con la fedina penale pulita, un diploma alla portata di tutti e l’attestato del corso di una settimana-. Sebbene i requisiti richiesti non sono particolarmente restrittivi, le responsabilità che seguono sono tutt’altro che frivole. Tra le pagine del manuale del corso di formazione sono descritte in modo esaustivo le responsabilità penali che comporta l’esercizio dell’attività e la qualifica di pubblico ufficiale legata al fatto che l’operatore rappresenta lo Stato nell’azienda privata in cui presta servizio. Questo apparente potere viene eclissato dalla condizione del responsabile tecnico che il più delle volte è un lavoratore subordinato. Può un lavoratore dipendente agire senza pressioni da parte del titolare? Sicuramente si, ma il caso del servizio di Striscia purtroppo la dice lunga. –Va beh dai, abbiamo capito, rappresentate lo Stato, avete parecchie responsabilità.. Siete dei professionisti!–
Questa affermazione non corrisponde al vero dato che il responsabile tecnico è professionista nei doveri, ma non nei diritti vista l’inesistenza di un inquadramento adeguato nel contratto collettivo nazionale del lavoro. Per definizione, il titolare di una piccola impresa quale può essere l’autofficina o il centro di revisioni ha un ruolo complesso perchè, tra i tanti incarichi, deve curare l’aspetto della soddisfazione del cliente e far quadrare i conti, mentre l’operatore si limita a svolgere la propria mansione senza conflitti d’interesse. Tralasciando il banale aspetto remunerativo, è necessario il riconoscimento da parte dello Stato di questa categoria fantasma per gestire nell’interesse della sicurezza stradale collettiva il contrasto tra l’operaio-responsabile tecnico ed il datore di lavoro. Questo obbiettivo comune è all’origine della nascita dell’Associazione ICC (Associazione Ispettori Centri di Controllo) che è supportata anche da parecchi titolari di centri di revisione consapevoli del fatto che una maggior disciplina nell’ambito delle revisioni ministeriali porterebbe a maggiori introiti. Il presidente dell’associazione Gianluca Massa nel servizio chiede pubblicamente un confronto con il Ministero dei Trasporti e la risposta non tarda: Il direttore generale della Motorizzazione Civile Stefano Baccarini convoca con una lettera ufficiale l’associazione ai tavoli di lavoro.

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