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“La revisione ministeriale in Italia è una farsa”, un dato di fatto che ormai, arrivati a questo punto, non richiede più nemmeno argomentazioni. Almeno una volta qualcuno si indignava a seguito di affermazioni del genere, ed era molto divertente udire lo stridio delle unghie che grattavano sui vetri nel vano tentativo di difesa dell’indifendibile. Persino una delle principali associazione di categoria del settore, nota per l’arrampicata acrobatica sugli specchi, ha fatto marcia indietro a questo proposito: su Quattroruote di Luglio 2020 viene infatti pubblicato uno speciale intitolato “alla faccia della sicurezza”(link), con chiaro riferimento alla revisione periodica. Quattro veicoli vengono appositamente resi inefficienti e pericolosi ai fini della circolazione stradale per poi essere sottoposti a controllo tecnico: solo due centri su sei individuano le carenze bocciando la revisione.  “Sono il 10-15% del totale dei centri, ma, se si aggiunge chi chiude un occhio, si arriva al 30%” dichiara il presidente della suddetta associazione per fornire una proporzione del fenomeno delle imprese che operano illegalmente, ma, se la matematica non è un’opinione, la percentuale relativa al campione sotto esame supera il 60%. Non importa, almeno su una cosa siamo d’accordo: “C’è un numero eccessivo di pecore nere”. Prima erano mele marce, ora pecore nere:  mai una volta che vengono chiamati con il nome corretto, ovvero delinquenti o truffatori dello Stato. E che dire del compagno di merende, quello che lancia l'”allarme sicurezza stradale” sui notiziari locali per il recepimento della normativa europea, ma non perchè nella “sua” Genova ormai le revisioni costano 50€ e vengono superate da qualsiasi veicolo. Sia chiaro, non è un problema circoscritto alla città: è così da nord a sud, isole comprese. Ed infine il cosiddetto dagli haters “sindacato degli ispettori”, che al grido di “rivoluzione del settore” e “tutela e rappresentanza della figura professionale” ha fatto tremare l’intero comparto, salvo poi accogliere al proprio interno un numero imprecisato di titolari di centro revisioni. Certo, trattasi pur sempre di figure ibride, ovvero proprietari di impresa e al contempo operatori, ma è naturale che gli interessi prevalenti siano quella imprenditoriale. Tutte persone per bene, al pari dei soci di qualsivoglia associazione di categoria: il cambiamento è auspicato da tutti, ma nessuno è disposto a cambiare. Normale, anzi, sarebbe anomalo il contrario: l’errore è alla radice, al pari di uno stabile senza fondamenta al quale viene continuamente tinteggiata la facciata e sostituiti i serramenti. Tempo perso, è destinato a crollare, e la tanto citata – naturalmente solo all’occorrenza – “sicurezza stradale” non ha nulla a che vedere con tutto ciò. Un sistema senza supervisione bastato sulla proliferazione incontrollata di centri di controllo in regime di concorrenza spietata non può funzionare in alcun modo, inutile ripeterlo. Il numero pro-capite di revisioni annue diminuisce vertiginosamente al pari della qualità dei controlli sui veicoli: occorre fare cassa e di conseguenza revisionare qualsiasi mezzo, anche quelli gravemente pericolosi ai fini della circolazione stradale. Ecco il nocciolo della questione, un problema che va ben oltre al sovraffollamento di centri e l’assenza di controlli da parte del Ministero. Limitare il numero delle imprese abilitate sarebbe un attentato alla libera concorrenza (anche se naturalmente è la direzione prediletta dai titolari di impresa, per ovvi motivi) e pretendere controlli da regime comunista comporterebbe costi insostenibili per lo Stato. Come in natura, un sistema che funziona correttamente deve auto-bilanciarsi e l’unica soluzione per equilibrare il settore revisioni è con l’introduzione del principio di terzietà. Chi effettua i controlli non deve essere nè titolare del centro, nè dipendente della struttura, bensì un esterno assegnato quotidianamente su richiesta da organismi terzi. Il meccanismo per il quale “più baro – più lavoro e di conseguenza più guadagno” deve finire quanto prima, altrimenti è inutile parlare di formazione, professionalità e riconoscimento della categoria. Ciò che sembra fantascienza nel settore dei leggeri, è la base per le revisione dei cosiddetti “pesanti”, e non si pensi che la privatizzazione tanto voluta dai titolari di flotte di autotrasporto sia vista di buon occhio dagli imprenditori dell’autoriparazione. Già, “imprenditori”, un titolo difficoltoso da attribuire ai meccanici di auto generici, nonchè titolari di centro di controllo, con la mentalità da bottegai. Fortunatamente esistono esempi virtuosi che ritengono vantaggiosa la soluzione della terzietà , sia per svincolarsi dagli oneri dei dipendenti, che per lavorare più liberamente senza compromessi. L’indipendenza del giudizio è il principio base per qualsiasi certificazione: cosa stiamo aspettando?