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Per gli operatori

In data 17 Aprile 2019, dopo una lunga bagarre alla conferenza Stato-regioni, è stato pubblicato il testo unico contenente i criteri per la nuova formazione degli ispettori addetti alla revisione ministeriale (testo integrale). Il documento ha generato qualche malumore tra le fila di coloro che hanno sempre considerato il sistema revisioni come una mangiatoria per lucrare all’inverosimile, ma fortunatamente la gran parte del settore ha accolto positivamente questa provvidenziale novità attesa da cinque lunghissimi anni. Per comprendere a fondo le ragioni del braccio di ferro di queste ultime settimane, è opportuno tornare al lontano 1992, anno in cui è stata disciplinata per la prima volta la figura del responsabile del centro revisioni. L’art. 240 del regolamento di attuazione del Codice della Strada (testo integraleprescrive i seguenti requisiti per il cosiddetto responsabile tecnico:

“a) avere raggiunto la maggiore età;
b) non essere e non essere stato sottoposto a misure restrittive di sicurezza personale o a misure di prevenzione;
c) non essere e non essere stato interdetto o inabilitato o dichiarato fallito ovvero non avere in corso procedimento per dichiarazione di fallimento;
d) essere cittadino italiano o di altro stato membro della Comunità Europea, ovvero di uno Stato anche non appartenente alla Comunità Europea, con cui sia operante specifica condizione di reciprocità;
e) non avere riportato condanne per delitti, anche colposi e non essere stato ammesso a godere dei benefici previsti dall’articolo 444 del codice di procedura penale e non essere sottoposto a procedimenti penali;
f) essere fisicamente idoneo all’esercizio dell’attività in base a certificazione rilasciata dal competente organo sanitario del Comune di esercizio dell’attività;
g) aver conseguito un diploma di perito industriale, di geometra o un diploma di maturità scientifica ovvero un diploma di laurea in ingegneria [..]”

Per farla breve, un qualsiasi cittadino per bene in possesso di diploma ad indirizzo tecnico poteva accedere alla professione ricoprendo il ruolo richiesto dalla normativa. Molti meccanici titolari di centri di revisione furono esclusi dalla qualifica per mancanza del titolo di studio, ma mantennero comunque il controllo sulle operazioni grazie al comma 2 del medesimo articolo:

Il responsabile tecnico deve inoltre essere dipendente dell’impresa che ha richiesto la concessione e deve svolgere la propria attività in maniera continuativa presso l’officina per la quale e’ stata rilasciata la concessione stessa. Il responsabile tecnico non può operare in più di un’officina che effettui il servizio di revisione.”

Difficile immaginare un lavoratore subordinato con pieno potere decisionale e totale libertà d’azione, ma non è questo il nocciolo della questione, almeno per ora. Siamo ad inizio millennio, i centri di revisione rappresentavano una realtà con tutti i requisiti per funzionare correttamente: mercato in espansione e regime di quasi monopolio – almeno a livello locale -, gli affari non potevano che andare a gonfie vele. Nonostante ciò arrivarono le prime revoche per coloro che miravano unicamente ad incrementare il fatturato in barba alla alla legge: il fenomeno delle revisioni facili esisteva sin dal principio ed andava disincentivato immediatamente. Urgeva innanzitutto più chiarezza: quali erano i compiti del misterioso “responsabile tecnico”? Con il D.p.r 360 del 5 Giugno 2001 (testo integraleviene integrato il già citato articolo 240 del regolamento di attuazione del Codice della Strada con due capisaldi oggi nell’occhio del ciclone – formazione e responsabilità:

“[..] b) dopo la lettera g) del comma 1, e’ aggiunta la seguente: “h) aver superato un apposito corso di formazione organizzato secondo le modalità stabilite dal Dipartimento dei trasporti terrestri.[..];

c) il comma 2 e’ sostituito dal seguente: “2. Il responsabile tecnico deve inoltre svolgere la propria attività in maniera continuativa presso la sede operativa dell’impresa o presso il consorzio cui e’ stata rilasciata la concessione stessa. Il responsabile tecnico non può operare presso più di una sede operativa di impresa o presso più di un consorzio che effettui il servizio di revisione ed e’ tenuto a presenziare e certificare personalmente tutte le fasi delle operazioni di revisione che si riferiscono alla sua responsabilità.”

Ora è tutto più chiaro: il responsabile tecnico non era un semplice requisito obbligatorio per l’avvio di un centro revisioni, ma era l’operatore che materialmente eseguiva le revisioni ministeriali sotto la propria responsabilità. Un ruolo così importante non poteva che essere affidato esclusivamente a personale qualificato che avesse superato il corso di formazione definito dal successivo accordo Stato-regioni del 12 Giugno 2003 (testo integrale). La durata obbligatoria delle lezioni era di 30 ore per l’abilitazione al controllo di tutti i veicoli di massa inferiore a 35 q.li – 24 per i soli motoveicoli -, ma in fin dei conti si trattava di un aggiornamento mirato alla professionalizzazione di  coloro che operavano già da tempo nel settore. Nonostante ciò, non era assolutamente scontato ottenere l’idoneità all’esercizio del ruolo: i corsi erano organizzati in stretta collaborazione con la Motorizzazione Civile che non aveva nessun interessa a “svendere” le licenze. Non esisteva nemmeno troppa concorrenza fra enti di formazione in quanto gli evidenti limiti del mercato scoraggiavano gli imprenditori a caccia di rendite sicure, ma le previsioni si sbagliavano. Negli anni successivi le richieste di iscrizione per i corsi superarono di gran lunga le aspettative contro ogni logica legata al buonsenso: è l’inizio del business della formazione, la principale rovina del settore. Sicuramente il fenomeno è correlato alla proliferazione incontrollata dei centri di revisione illustrata nel grafico sottostante (fonte Osservatorio Revisione Veicoli), ma i conti comunque non tornavano; le abilitazioni erano nettamente superiori al fabbisogno effettivo.  

LE CAUSE

Il primo modulo obbligatorio del corso di formazione trattava la disciplina giuridica nel servizio revisioni con particolare attenzione alle responsabilità civili e penali derivanti dall’esercizio della funzione. Quanti ex-meccanici, ex-gommisti o ex-carrozzieri ingolositi dalla nuova professione avevano messo in conto il rischio di finire in tribunale macchiando indelebilmente la fedina penale? Sia chiaro, non occorreva essere truffatori o delinquenti: era sufficiente un piccolo errore di distrazione per compromettere una vita di lavoro onesto. Ne valeva veramente la pena? Esercitare la funzione di responsabile tecnico del centro revisioni era (ed è tutt’ora) un po’ come giocare a mosca cieca in autostrada. La normativa di riferimento è sempre poco chiara e difficilmente reperibile: l’unica soluzione per rimanere sempre aggiornati è la sottoscrizione di abbonamenti con fornitori di servizi automotive o associazioni di categoria. Se vuoi lavorare correttamente devi pure pagare, ma forse è il minore dei mali. L’automobilista medio è disposto a tutto pur di ottenere l’attestazione di “revisione regolare” per il veicolo di proprietà senza spendere soldi in riparazioni, ma fa parte del gioco: se l’uomo non fosse negligente, probabilmente non esisterebbe l’obbligo del controllo ministeriale periodico. L’unico problema insormontabile, ingiustificabile ed inaccettabile è la tendenza ad assecondare le folli richieste dei clienti da parte dei titolari dei centri di revisione. Il mercato delle revisione in pochi anni era cambiato e gli effetti devastanti della concorrenza minavano i bilanci delle imprese:  prima c’era spazio per tutti, ora non più. Chi voleva mantenere la professione doveva obbligatoriamente scendere a compromessi con il datore di lavoro sobbarcandosi le responsabilità dell’accordo invisibile che egli aveva stretto con i propri clienti, ovvero chiudere un occhio su eventuali difetti dei veicoli. Molti scelsero coscienziosamente di abbandonare il ruolo a favore di mansioni meno rischiose e meglio retribuite, ma la cosa non segnò minimamente il settore: morto un papa se ne faceva un altro. La continua richiesta di responsabili tecnici di ricambio è stata per anni la fortuna degli enti di formazione che erogavano corsi no-stop utilizzando strategia di marketing degne dei più fantomatici venditori di fumo che infestano il web. “Soddifatti o rimborsati”, “99% di promossi”, “promo”… ma di cosa stiamo parlando?

LE CONSEGUENZE

Pur non avendo potere decisionale, i primi responsabili tecnici potevano vantare una solida esperienza in autofficina che li rendeva quantomeno consapevoli del proprio operato, ma chi sono i loro successori? Il responsabile tecnico 2.0 ha la stessa funzione del parafulmine durante il temporale, è un semplice pretesto per consentire al centro revisioni di lavorare in apparente ottemperanza alle normative vigenti scaricando sul malcapitato ogni eventuale conseguenza legale. Inutile dire che il neodiplomato era la miglior risorsa per questa mansione: giovane, incosciente e low-cost, ma soprattutto facilmente manipolabile. In quattro giorni con circa 500€ si poteva ottenere la valida alternativa al responsabile tecnico assunto da diversi anni che magari cominciava ad avanzava qualche pretesa di troppo sulla base del’esperienza maturata. Meglio stendere un velo pietoso sulla qualità dei controlli: l’addetto alle revisioni non imparava a controllare il veicolo, bensì eseguiva una serie di operazioni per produrre nel più breve tempo possibile l’etichetta attestante la revisione regolare. Degno di nota anche il responsabile tecnico 3.0, il prestanome a tutti gli effetti: mogli, figli e parenti del titolare del centro revisioni assunti unicamente per far figurare agli atti la presenza dell’addetto ai controlli. E la sicurezza stradale? In italia la revisione ministeriale non ha nulla a che vedere con la sicurezza stradale.

SUBENTRA L’EUROPA – FINE DELLA PACCHIA

In data 3 Aprile 2014 viene emessa dal Parlamento europeo la direttiva 2014/45ue (testo integrale), oltre 70 pagine di capitolato relativo ai controlli tecnici periodici dei veicoli a motore. Il principale obbiettivo della normativa è quello di azzerare le vittime della circolazione stradale innalzando gli standard qualitativi della revisione ministeriale partendo dell’operatore che materialmente esegue i controlli. Il responsabile tecnico diventa ispettore ai sensi del nuovo regolamento, ma non ha nulla a che vedere con la precedente figura professionale. Se per alcuni nazioni non è stato un problema il recepimento delle disposizioni europee, per l’Italia la situazione era tragica: solo nel preambolo della direttiva erano presenti elementi a sufficienza per distruggere l’intero sistema revisioni nazionale.

“[..](33) Gli standard elevati dei controlli tecnici richiedono che il personale che effettua i controlli possieda un livello elevato di capacità e di competenze. È opportuno quindi introdurre un sistema di formazione che comprenda una formazione iniziale e corsi periodici di aggiornamento o un esame appropriato. Dovrebbe essere definito un periodo transitorio per consentire il passaggio senza difficoltà del personale attuale addetto ai controlli a un regime di formazione periodico o di esame. Al fine di assicurare standard elevati in materia di formazione, competenze e controllo, agli Stati membri dovrebbe essere consentito di prescrivere competenze supplementari e corrispondenti requisiti in materia di formazione.

(34)È opportuno che gli ispettori, durante l’effettuazione dei controlli, agiscano in modo indipendente e che il loro giudizio non sia condizionato da conflitti di interesse, compresi quelli di natura economico o personale. È opportuno che il compenso degli ispettori non sia direttamente collegato ai risultati dei controlli tecnici. Gli Stati membri dovrebbero poter prescrivere requisiti in materia di separazione delle attività o autorizzare un organismo privato a effettuare i controlli tecnici e le riparazioni di veicoli, anche sullo stesso veicolo, qualora l’organo di controllo abbia accertato positivamente che resta mantenuto un elevato livello di obiettività.[..]”

Com’è possibile tutto ciò in un paese dove l’ispettore viene assunto direttamente dal centro revisioni che il più delle volte coincide con l’autofficina che esegue i lavori da certificare? “Livello elevato di capacità e di competenze” per 32 ore di corso obbligatorie? Andiamo oltre. Entro il 20 Maggio 2017 gli stati membri dovevano pubblicare le disposizioni legislative necessarie al recepimento della direttiva sopra citata e l’Italia emette ad un giorno dal termine il Decreto Ministeriale 214 (testo integrale). I requisiti minimi relativi alla competenza e formazione degli ispettori vengono definiti nell’allegato IV (testo integrale) del presente decreto, ma si arriva alla scadenza per l’applicazione delle nuove disposizioni con un nulla di fatto per quanto riguarda i nuovi corsi di formazione. In data 18 Maggio 2018 viene emesso il decreto dirigenziale n.211 (testo integrale) che mediante l’articolo 7 blocca definitamente i corsi per la qualifica di responsabile tecnico fuori norma:

“I responsabili tecnici già autorizzati o abilitati alla data del 20 maggio 2018 continuano ad operare come previsto dall’art. 13 comma 2 del D.M.
A partire dal 20 maggio 2018 gli ispettori dei centri di controllo privati dovranno soddisfare i requisiti minimi di cui all’art. 13 del D.M.
In attuazione del sopracitato articolo è in corso di definizione il previsto provvedimento del Ministero, da adottarsi nel rispetto delle competenze tra enti amministrativi e tenuto conto delle disposizioni da impartire ai sensi dell’art. 14 del D.M.
I candidati che hanno partecipato ai corsi secondo le modalità previgenti e che si concluderanno entro il 20 maggio 2018, dovranno effettuare l’esame entro il 31 agosto 2018.”

Il 20 Maggio 2018 segna la fine del business della formazione e l’inizio della rivalsa dei responsabili tecnici ormai ispettori, ma è subito #allarmesicurezzastradale*. Le associazioni di categoria delle autofficine/centri di revisione iniziano a diffondere massivamente allarmismi sulla presunta necessità di figure professionali regolarmente abilitate attribuendo responsabilità catastrofiche alle direttive europee, ma questa fandonia non attacca. Ci provano anche con l’ausilio della politica promuovendo all’interno del Decreto milleproroghe D.L. n.91 del 25 Luglio 2018 (testo integrale) un’integrazione all’articolo 13 del Decreto ministeriale n.214 per posticipare l’entrata in vigore delle disposizioni europee, ma il direttore generale della Motorizzazione Civile non si esprime: i corsi rimangono bloccati. Non rimaneva altro che attendere l’emissione del testo unico contente i criteri per la formazione dei futuri ispettori frutto della collaborazione tra le varie associazioni di categoria ed il Ministero dei Trasporti, e questo è quanto: 296 ore di corso per i diplomati + 3 anni di tirocinio e 176 ore per gli ingegneri + 6 mesi di tirocinio (testo integrale). –Follia! Ricorso al TAR! – D’ora in poi come faranno i titolari dei centri di revisione a sostituire con semplicità l’ispettore dipendente che gli è costato 5000€ di formazione? E se il corso fosse autofinanziato dalla risorsa accetterebbe di lavorare per uno stipendio da miseria ed un inquadramento da comune operaio? Come potranno gli enti di formazione lucrare sulla sventurata condizione del responsabile tecnico? RICORSO AL TAR!

*#allarmesicurezzastradale – riferimento ironico all’hashtag utilizzato dalle associazioni di categoria della autofficina per le campagne di (dis)informazione.

Confessioni di un RT

Buongiorno a tutti, mi chiamo Gianluca e questa è la mia esperienza ventennale come responsabile tecnico revisioni in provincia di Chieti. Iniziai a lavorare in autofficina come accettatore nel Febbraio 1997, ma presto la mia carriera migliorò grazie all’art. 80 del C.d.s. che autorizza le sedi private a svolgere revisioni ministeriali. Nel Marzo dell’anno successivo il mio ex-titolare mi propose il ruolo di responsabile delle revisioni: accettai con piacere e partecipai a tutti i corsi per ottenere l’abilitazione. In quegli anni la Motorizzazione era sovraffollata a causa del cambio di periodicità del collaudo (da decennale all’attuale sistema “quattroduedue”) e nel caos mancarono completamente assistenza e supporto. Non fu per nulla semplice muovere i primi passi in un settore totalmente nuovo, ma grazie ai libri di testo disponibili in commercio riuscii autonomamente a colmare le gravi lacune della “formazione”, se così possiamo definirla. Ricordo fin dal principio le pressioni dell’ex-titolare che voleva influenzare le mie decisione sull’esito dei controlli, ma tutto sommato la situazione era sopportabile in quanto la mole di lavoro era talmente elevata da lasciare poco spazio alle discussioni. Nel Giugno del 2000, a malincuore, cambiai posto di lavoro per avvicinarmi a casa: il più grande errore della mia vita. Per essere precisi, i nuovi titolari erano all’incirca una trentina, tutti autoriparatori che, per suddividere l’ingente investimento necessario per aprire un centro di revisioni, fondarono un consorzio. Gli unici dipendenti eravamo io ed il figlio di un consorziato che da sempre veniva trattato in maniera privilegiata, ma inizialmente non diedi peso alla cosa. Sia chiaro, se la natura della preferenza fosse stata legata al grado di  parentela non ci sarebbe stato nessun problema, ma a quanto pare il collega era un po’ più leggero nell’assegnazione degli esiti ai controlli. Passarono gli anni ed i rapporti con i consorziati si incrinarono a causa dei continui scontri: quella che per loro era una semplice “strizzatina di occhio” , per me era una certificazione falsa di veicoli pericolosi, per la legge invece era (ed è tutt’ora) falsità ideologica in atto pubblico, un reato penale. Tra un esercito di titolari che mi imponevano un modo di lavorare scorretto ed un collega accondiscendente, l’unico spiraglio di salvezza per me era la Motorizzazione Civile alla quale in più occasione segnalai i veicoli difformi revisionati con esito “regolare”. Le comunicazioni andavano in porto, ma i tempi eccessivamente lunghi dei controlli a campione vanificarono il mio intento poichè al momento del richiamo il veicolo sospetto era già stato rottamato o riparato per la circostanza. Dal “pignolo di turno” si arrivò rapidamente agli insulti veri e propri e dagli insulti alle minacce. Mi son sempre chiesto perchè in tutti i settori se sei bravo e conosci il tuo mestiere riesci a fare un’ottima carriera con grandi soddisfazioni, mentre in questo vieni etichettato come incompetente e poco collaborativo. Ad ogni modo, ho sempre avuto le spalle grosse, lavoravo secondo le mie competenze e secondo la mia coscienza, ma il 16 Marzo 2018 ricevetti da parte di un funzionario del tribunale una lettera (immagine). Ero abbastanza tranquillo della mia buona condotta in generale, pensavo si trattasse di un errore, ma a quanto pare mi sbagliavo: licenziamento in tronco. Da quel giorno ad ora sono senza lavoro, ho una moglie casalinga, due figli ed un mutuo da pagare: com’è possibile che non riesco a reinserirmi in questo settore? Ho forse troppa esperienza? Fa più comodo un ragazzino incosciente e sottopagato? Sicuramente sì, ma ciò che mi abbatte maggiormente è che che di fronte ad un regolamento europeo (2014/45EU) che prevederebbe l’innalzamento degli standard qualitativi del settore le associazioni di categoria remano contro: non vedo vie d’uscita.

 

Per gli operatoriPer gli utenti

La sera del 23 Dicembre si sente nuovamente parlare di revisioni ministeriali a Striscia la notizia, ma con una grande novità poichè per la prima volta viene nominato il “responsabile tecnico” . La causa dell’oscuramento di questa figura professionale negli anni è tanto semplice quanto amara: il responsabile tecnico non esiste, o meglio, fa comodo pensarla così. Partendo dal principio, la figura del responsabile tecnico di operazioni di revisione periodica dei veicoli a motore e loro rimorchi è normata dall’art. 80 del Codice della Strada, più precisamente dal regolamento di attuazione art. 240 che descrive in otto punti i requisiti necessari per avere l’abilitazione ad esercitare la professione .L’unico ostacolo degno di nota per ottenere il riconoscimento è l’ottavo punto che prevede il superamento “di un apposito corso di formazione organizzato secondo le modalita’ stabilite dal Dipartimento dei trasporti terrestri”. Questo vincolo è stato introdotto in un secondo momento (art. 2 D.P.R. 05.06.2001) perchè dopo soli 5 anni di revisioni ministeriali concesse ai privati in modo confusionario è parso doveroso formare coloro che fisicamente controllano i veicoli (per approfondimento leggi l’articolo Chi è veramente “quello delle revisioni?”). I corsi di formazione solitamente hanno una durata di 30 ore e si concludono con un esame teorico e pratico che in caso di esito positivo abilita a tutti gli effetti. Ricapitoliamo. Chi è il responsabile tecnico? -Un cittadino maggiorenne di uno stato membro della comunità europea idoneo all’esercizio dell’attività con la fedina penale pulita, un diploma alla portata di tutti e l’attestato del corso di una settimana-. Sebbene i requisiti richiesti non sono particolarmente restrittivi, le responsabilità che seguono sono tutt’altro che frivole. Tra le pagine del manuale del corso di formazione sono descritte in modo esaustivo le responsabilità penali che comporta l’esercizio dell’attività e la qualifica di pubblico ufficiale legata al fatto che l’operatore rappresenta lo Stato nell’azienda privata in cui presta servizio. Questo apparente potere viene eclissato dalla condizione del responsabile tecnico che il più delle volte è un lavoratore subordinato. Può un lavoratore dipendente agire senza pressioni da parte del titolare? Sicuramente si, ma il caso del servizio di Striscia purtroppo la dice lunga. –Va beh dai, abbiamo capito, rappresentate lo Stato, avete parecchie responsabilità.. Siete dei professionisti!Questa affermazione non corrisponde al vero dato che il responsabile tecnico è professionista nei doveri, ma non nei diritti vista l’inesistenza di un inquadramento adeguato nel contratto collettivo nazionale del lavoro. Per definizione, il titolare di una piccola impresa quale può essere l’autofficina o il centro di revisioni ha un ruolo complesso  perchè, tra i tanti incarichi, deve curare l’aspetto della soddisfazione del cliente e far quadrare i conti, mentre l’operatore si limita a svolgere la propria mansione senza conflitti d’interesse.  Tralasciando il banale aspetto remunerativo, è necessario il riconoscimento da parte dello Stato di questa categoria fantasma per gestire nell’interesse della sicurezza stradale collettiva il contrasto tra l’operaio-responsabile tecnico ed il datore di lavoro.  Questo obbiettivo comune è all’origine della nascita dell’Associazione ICC (Associazione Ispettori Centri di Controllo) che è supportata anche da parecchi titolari  di centri di revisione consapevoli del fatto che una maggior disciplina nell’ambito delle revisioni ministeriali porterebbe a maggiori introiti. Il presidente dell’associazione Gianluca Massa nel servizio chiede pubblicamente un confronto con il Ministero dei Trasporti e la risposta non tarda: Il direttore generale della Motorizzazione Civile Stefano Baccarini convoca con una lettera ufficiale l’associazione ai tavoli di lavoro.