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Per gli operatori

2014/45UE: per molti speranza, per altri terrore. Anzi, per tanti – tantissimi – terrore, per pochi speranza. La 2014/45UE è la direttiva europea che abroga la precedente direttiva 96/96CE, il fondamento degli ultimi venticinque anni di revisioni ministeriali, o controlli tecnici per utilizzare un termine più europeo. No, non è colpa della 96/96CE se in Italia è andato tutto a rotoli: le basi erano buone, ma nel bel paese non hanno attecchito (o non le hanno volutamente fatte attecchire). Prima di addentrarci nella questione però, è utile spendere un paio di paroline su cosa sono le direttive comunitarie e sul perchè vengono promulgate, tanto per evitare i soliti avvocati da social network.

Marcatura UNECE (E3) su fanale posteriore Fiat 500

Uno dei principi fondanti dell’Unione Europea è la libera circolazione di persone e merci – quindi veicoli – che per essere attuata concretamente presuppone un processo di uniformazione delle omologazioni di veicoli, dei controlli tecnici, delle norme sulla circolazione stradale e via dicendo. Questo iter ha già raggiunto uno stadio avanzato, basti pensare che già negli anni anni 70 le auto erano equipaggiate con dispositivi approvati dall’UE oppure dall’UNECE, la Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite. Quanto al termine “direttiva”, abusato e snaturato, attenzione a non farsi ingannare dal significato secondo il vocabolario italiano: direttiva, seguito dall’aggettivo europea, non significa certo “linea guida dall’Europa”. E’ una fonte di diritto, è legge, che però acquisisce valore giuridico dopo il recepimento mediante atti nazionali, un passaggio obbligatorio per ogni Stato membro entro un termine prefissato. Il meccanismo è questo, da sempre, ma ciò che si è evoluto negli anni è l’entità e la portata delle norme. E’ ragionevole: se in principio era sufficiente fissare qualche semplice regola comune, come ad esempio frequenza ed oggetto dei controlli, con la progressiva armonizzazione si punta sempre più in alto, aggiungendo obbiettivi più specifici ed ambiziosi. Per avere una proporzione, la prima direttiva volta ad uniformare il controllo tecnico fra stati membri (77/143CEE del 29 Dicembre 1976) contava 5 pagine, la 96/96CE del 20 Dicembre 1996 19 mentre la 2014/45UE del 3 Aprile 2014 78. Le pagine introduttive, quelle dei cosiddetti “considerando”, non hanno valenza giuridica in quanto giustificano la norma definendone gli obbiettivi a breve – lungo termine. Obbiettivi che fanno paura, soprattutto agli imprenditori che hanno la sfortuna (o fortuna?) di aver fatto impresa in uno Stato che non si è mai curato minimamente del resto dell’Unione.

Nel 1976 si parlava di “attuare una politica comune di trasporti”, “di migliorare le condizioni dei veicoli circolanti in territorio UE”, “di armonizzare scadenze e metodi di controllo”…tutte finalità dai termini indefiniti e dalla sostanza quasi utopica. Il grande sogno dell’UE: a chi non piacerebbe un’Europa senza frontiere, di pace e prosperità? Bello, davvero bello, finchè i nodi non arrivano al pettine. E arrivano senz’altro quando unisci sotto un’unica bandiera paesi con differenze abissali dal punto di vista culturale. Eccoci arrivata agli albori della 96/96CE, quando l’Italia truffò l’Unione Europea grazie alla spinta delle lobby degli autoriparatori e dei rispettivi amici in politica. – No, non è complottismo, è andata esattamente così. –  

“Il controllo tecnico previsto dalla presente direttiva deve essere effettuato dallo Stato a da organismi a vocazione pubblica incaricati di tale compito oppure da organismi o impianti da esso designati, di natura eventualmente privata, debitamente autorizzati e che agiscono sotto la sua diretta sorveglianza. Quando impianti designati quali centri di controllo tecnico dei veicoli operano anche come officine per la riparazione dei veicoli, gli Stati membri si adoperano in modo particolare affinché siano garantite l’obiettività e l’elevata qualità di tali controlli.” [Direttiva 96/96CE – Art.2]

Il legislatore fu abile nello sventare agilmente ogni possibilità di rendere il controllo tecnico qualcosa di socialmente utile, redditizio per le casse dello Stato e soprattutto efficiente, nell’interesse di tutta la comunità. Potenziare il servizio pubblico oppure regalare un business agli amici privati? Non c’è nemmeno da pensare: la B senza ombra di dubbio, nel modo più spudorato. Un’opzione sì contemplata dall’UE, ma con riserva: masochismo puro, soprattutto per la stabilità delle imprese nel tempo. La strada della privatizzazione era infatti subordinata alla vigilanza pubblica, in particolar modo se l’attività fosse associata all’officina, un requisito che l’ordinamento italiano fissa per l’apertura del centro revisioni. Una scelta poco lungimirante, nel perfetto stile nazionale, della serie – finche si può mangiare mangiamo, poi si vedrà -. Ampiamente prevedibile, prima o poi, un ulteriore inasprimento delle regole fissate dall’Unione Europea, un rischio concreto se si considera il modello scelto in partenza, già di per se borderline. E il conto da pagare arriva sempre: ecco la direttiva 2014/45UE che al considerando n.34 reca testuali parole:

“È opportuno che gli ispettori, durante l’effettuazione dei controlli, agiscano in modo indipendente e che il loro giudizio non sia condizionato da conflitti di interesse, compresi quelli di natura economico o personale. È opportuno che il compenso degli ispettori non sia direttamente collegato ai risultati dei controlli tecnici. Gli Stati membri dovrebbero poter prescrivere requisiti in materia di separazione delle attività o autorizzare un organismo privato a effettuare i controlli tecnici e le riparazioni di veicoli, anche sullo stesso veicolo, qualora l’organo di controllo abbia accertato positivamente che resta mantenuto un elevato livello di obiettività.”

Blackout generale. Chiunque si è reso conto dell’inattuabilità del principio di terzietà nel sistema revisioni nazionale, ma ancora una volta si ragiona all’italiana. Il “considerando”, come premesso, non ha valenza giuridica e questo escamotage viene cavalcato per mantenere lo status-quo, ma per quanto ancora si potrà fare finta di niente? Dopo la mobilitazione iniziale la questione è infatti finita nell’oblio, complice un decreto di recepimento nazionale insipido e la totale mancanza di decreti attuativi. Ancora una volta, in perfetto stile italiano, nessuno vuole assumersi la responsabilità della distruzione del sistema revisioni che ad oggi conta più di 9000 imprese. Siamo nel 2021 e nulla è cambiato, ma in ambiente UE si parla ancora una volta di indipendenza. In data 27 Aprile 2021 il Parlamento Europeo ha infatti approvato, quasi all’unisono, la risoluzione che ha come oggetto “l’attuazione degli aspetti di sicurezza stradale del pacchetto controlli tecnici”(link) . Di seguito il punto 19:

“19.  ribadisce la necessità di adottare misure volte a garantire l’indipendenza degli ispettori e degli organismi di controllo dal settore del commercio, della manutenzione e della riparazione dei veicoli, al fine di evitare conflitti di interesse finanziari, anche per quanto riguarda il controllo delle emissioni, fornendo nel contempo maggiori garanzie in termini di responsabilità civile per tutte le parti;”

La risoluzione UE non ha valenza giuridica, ma si può considerare una manifestazione di intento per i futuri regolamenti e direttive. Una sorta di punto della situazione tra le fila del parlamento europeo, una fra le più importanti istituzioni a livello comunitario. Rimane da capire per quanto ancora il Ministero dei Trasporti, che cambia continuamente nome ma non sostanza, voglia fare orecchie da mercante, disinteressandosi di 9000 imprese, di oltre 20000 ispettori e, soprattutto, della sicurezza stradale collettiva. Il conto, prima o poi, lo pagheremo tutti: più passa il tempo, più sarà salato.

Confessioni di un RT

Gentili lettori di Revisioniautoblog, mi presento: sono Gianni, anche se in realtà non sono Gianni. Avete presente l’omino di spalle, al buio, con un berretto di lana per non farsi riconoscere? Voce elettronica, sottotitoli e quant’altro? Ecco, sono io, quindi chiamatemi Gianni.

 Gianni si sente un po’ come Giulio Cesare nel “De bello Gallico” e da questo momento parlerà in terza persona per conferire una patina di oggettività alla narrazione.

Gianni lavora in un centro di controllo perfetto sotto numerosi aspetti quali attrezzatura, locali, organizzazione e pulizia. Inoltre, in ottemperanza alla normative di allora, l’attività eroga tutti e quattro i servizi di autoriparazione comunemente conosciuti come “le quattro categorie” – ora 3 -, ovvero meccatronica, carrozzeria e gommista. 

 Gianni in azienda ricopre il ruolo di Ispettore, in teoria, ma cosa comporta questa mansione? Gianni gestisce clienti e fornitori anche per gli altri comparti dell’attività, si occupa di accettazione, vendita, amministrazione, fatturazione, gestisce il sito web e i rapporti diretti con l’amministrazione. Insomma, tutti quegli incarichi extra che ti consentono di guadagnare 1250€ mensili per 49 ore settimanali, nel nord Italia, a 50 anni e rotti.

Che Gianni effettua anche revisioni ministeriale è sottointeso, vero?

 Gianni svolge scrupolosamente la propria mansione di ispettore in senso stretto, senza supporto da parte di nessun altro dipendente dell’azienda, tanto meno del titolare. La revisione inizia con la stretta di mano col cliente, ricordo dell’era pre-Covid, e termina con l’emissione dello scontrino fiscale o fattura seguita da un’ulteriore stretta di mano, quando va bene…(chi è del settore può capire cosa si intende). Il tempo richiesto per questo insieme di operazioni è di circa 40/50 minuti, nei quali è bene precisare rientra la spiegazione della domanda di revisione, il controllo dell’eventuale delega, documentazioni varie, ispezione del veicolo sul ponte sollevatore ed altre chicche che dovrebbero essere la normalità per tutti i centri di controllo in Italia. “Normalità” nel senso che chi lavora diversamente non è anomalo, bensì illegale, ma questo è un altro discorso. Ad ogni modo, secondo il titolare ci mette troppo, è lento, troppo preciso.

 Capita anche che Gianni, colto da un minimo di bonarietà, indichi preventivamente al cliente le carenze che comprometterebbero il buon esito della revisione ministeriale. Al titolare però non va bene, come non va bene la riparazione del veicolo in officina, nonostante lo faccia guadagnare, o l’esito ripetere, che gli farebbe incassare due volte la tariffa. I clienti vanno accontentati, fine della storia. Ancora una volta, è bene precisare che “accontentare i clienti”, nell’ambito della revisione ministeriale, significa operare illegalmente certificando sotto la propria responsabilità – non quella del titolare – come “regolare” un veicolo potenzialmente pericoloso. Altro che “accontentare i clienti”…

 Dopo anni di questioni, il titolare decide di scendere in campo come fece il Cav nel lontano 1994, ma gli si presenta immediatamente un ostacolo: il titolo di studio. Con la licenza media non si poteva accedere al ruolo di “Responsabile Tecnico”, ma per fortuna aveva ancora amici nella regione natia, a 1000km di distanza in direzione Sud. Diploma quinquennale in tre mesi, non è fantastico? Scemo Gianni che ha sprecato 5 anni della sua vita frequentando il Liceo Scientifico e 3 anni per la Laurea breve…a saperlo! Siamo in Italia d’altronde, questi avvenimenti sono all’ordine del giorno, anche ai piani alti (vedasi le vicende del “Trota”, ad esempio). Una volta ogni tanto però si è manifestato il Karma, o la Divina Provvidenza a seconda dell’orientamento religioso. Fatto sta che a Settembre 2018 i corsi da Responsabile Tecnico sono stati sospesi per effetto del Decreto Dirigenziale 211, uno degli atti di recepimento della Direttiva Europea 2014/45ue. Che gioia, il diploma-express non è servito a nulla.

Il Titolare tuttavia anche in questo caso aveva un asso nella manica. D’altronde è un uomo tutto d’un pezzo, una vera capa tosta D.O.C. in grado di trovare sempre una soluzione, anche quando non esiste. Sempre dalla regione natia recluta un “ragazzo di fiducia” già abilitato al ruolo di responsabile tecnico, diploma ottenuto anni addietro e mai impiegato nell’ambito lavorativo. In questo modo è finalmente arrivato il supporto al buon Gianni, così da velocizzare le operazioni di revisione. Il “ragazzo di fiducia” viene immediatamente assunto con contratto a tempo indeterminato, ma senza essere inserito nella lista provinciale dei responsabili tecnici abilitati ad operare nell’azienda. In sostanza, poteva svolgere all’atto pratico le operazioni di revisione ministeriale sui veicoli, ma esclusivamente sotto la supervisione dell’ispettore che firma il referto ufficiale, ovvero Gianni.

Gianni aveva bisogno di tutt’altro tipo di supporto, ma non importa. Da buon collega inizia a familiarizzare con il “ragazzo di fiducia” e ad affiancarlo durante lo svolgimento delle revisioni ministeriali. In fin dei conti avrebbe dovuto certificare il suo operato, funziona così in Italia: qualcuno crede ancora alla favolette dell’ispettore che presenzia con le mani in tasca al lavoro dell’operatore di linea? Macchè. Nessuna azienda pagherebbe due persone per il lavoro di una, quella di Gianni tanto meno. Ad ogni modo, l’affiancamento diventa sempre più interessante giorno dopo giorno. Alcune domande della serie: “cosa cambia tra un veicolo M1 o N1” o cose del genere fanno sorgere qualche sano dubbio a Gianni il quale, scherzosamente, gli chiede come abbia ottenuto l’abilitazione. Suspense, se ne parlerà in seguito.

I rapporti con il titolare si incrinano definitivamente quando a Gianni viene diagnosticata una cardiomiopatia dilatativa degenerativa: il cuore funziona come quello di un uomo di ottant’anni, ma Gianni ne ha poco più della metà. Durante il periodo di malattia prescritto dal medico l’attività del centro di controllo prosegue grazie al “ragazzo di fiducia”, che tuttavia non può certificare le revisioni svolte autonomamente (e chissà come). Come fosse un diritto, il titolare chiede a Gianni di firmare tutti i referti delle revisioni svolte in sua assenza, una follia alla quale decide di non piegarsi. Tali pratiche rimangono tutt’ora senza un responsabile, come in una sorta di limbo fino alla decorrenza delle stesse dopo 5 anni, sperando che nessuno se ne accorga. Naturalmente, Gianni si augura il contrario.

Si era parlato della tenacia del titolare vero? Bene, perchè vale la pena ribadire il concetto: non si ferma davanti a nulla. A Maggio 2020, per dare un senso al diploma-express ottenuto con tanta fatica, decide di partecipare ai nuovi corsi di formazione per ispettore, quelli da 296 ore per intenderci. Gianni è stupito, ma non aveva dubbi relativamente all’ente di formazione, lo stesso che ha abilitato il “ragazzo di fiducia” nella regione natale del titolare. Chi l’avrebbe mai detto? Lezioni telematiche a distanza, in ottemperanza alle norme anti-Covid, ed esame per accedere al modulo successivo online. Nulla in contrario all’e-learning, ma è normale che ad un paio di giorni dalla prova venga recapitata tramite whatsapp la sequenza delle risposte ai quiz a scelta multipla (A,B,B,C,A,C e così via). Ti piace vincere facile eh?

Dal canto suo Gianni, animato da una sincera curiosità, è riuscito a prendere contatti con l’ente formativo fingendosi un titolare di centro revisioni a caccia di informazioni. A dire il vero, più che informazioni era in cerca di certezze: con 3500€ + IVA, il costo del corso, l’abilitazione è certa? La risposta è la seguente: “dobbiamo vederci per parlarne di persona, via telefono è rischioso“.

Da Gianni è tutto, a voi la linea Revisioniautoblog!