Nella prima parte dell’articolo (link) abbiamo identificato i duecento firmatari del ricorso al Tar contro l’accordo Stato-regioni del 19/4/2019 (link) relativo ai corsi di formazione per la qualifica di ispettore addetto alla revisione ministeriale, ora cercheremo di comprendere le ragioni che hanno spinto questo gruppo eterogeneo ad unire le forze. Le possibilità sono due considerando l’evidente conflitto d’interessi di natura commerciale (es. aziende del settore in regime di concorrenza) e fisiologica (es. centri di revisione – rivenditori di attrezzatura oppure centri di revisione nella figura del titolare – ispettore dipendente) fra categorie nettamente contrapposte:
- A) L’accordo Stato-regioni mina, seppur in diversa misura e modalità, gli interessi economici di tutti.
- B) L’accordo Stato-regioni contiene delle gravi irregolarità oggettive che vanno denunciate all’unisono.
La prima avvisaglia pubblica del ricorso, ovvero il sondaggio lanciato il 17 Maggio dagli admin del gruppo Facebook “Cra – Centro Revisioni Auto – Supporto tecnico” rivolto ad operatori ed imprenditori del settore (immagine di destra), avvalora senza ombra di dubbio l’ipotesi A). Il testo dell’inchiesta è stato redatto strategicamente per ottenere il risultato prefissato ponendo, fra le righe, il seguente quesito: “A te conviene il nuovo piano di formazione considerando il notevole esborso e le numerose ore di corso previste?” Contrariamente ai pronostici, i favorevoli asfaltano i contrari (112 sì contro 27 no), una statistica in linea con la nostra indagine (prima parte dell’articolo) nella quale si dimostra la minima percentuale di ricorrenti appartenenti al sistema revisioni (16% centri di revisione – 2% ispettori). Come mascherare i reali interessi che alimentano questa azione legale?
Sulle ragioni si possono solo formulare ipotesi, ma una cosa è certa: il ricorso al Tar è la manifestazione del malcontento dei rivenditori di attrezzatura (40% sul totale dei firmatari), ma una protesta indipendentemente non sarebbe stata presa in considerazione in quanto evidentemente indotta da secondi fini commerciali. Che titolo avrebbero per contestare il monte ore, nonchè il costo dei corsi di formazione per accedere alla qualifica di ispettore? Che legami hanno con la formazione? Domande apparentemente senza risposta, o forse troppo insidiose: occorreva una strategia per guadagnare credibilità e al contempo placare gli animi degli operatori delusi da questa iniziativa che non li rappresenta minimamente. Ci pensa Tecnostrada Formazione, in calcio d’angolo, pubblicando un comunicato sulla pagina Facebook ufficiale: l’obbiettivo del ricorso passa dalla “riduzione del monte ore del corso di formazione per ispettore” (CRA-Supporto tecnico 22/5/2019) alla “giustizia sociale per il candidato alla figura di ispettore” (Tecnostrada 24/05/2019) (immagine sotto). L’ipotesi iniziale A) lascia il posto alla B), una tattica pericolosa poichè mette in discussione il lavoro – e quindi le competenze – di tutte le associazioni di categoria che hanno contribuito alla stesura del piano relativo alla formazione, della direzione del Ministero dei Trasporti e dei delegati regionali che hanno discusso a più riprese il progetto in commissione. Dal punto di vista etico, è senza ombra di dubbio una strategia meschina: strumentalizzare la finta morale per mascherare i propri interessi economici è un’espediente degno dei peggiori politici, ma siamo in democrazia ed ognuno è libero di interpretare questa mossa a proprio piacimento. Va tuttavia riconosciuto che le alternative erano poche: “ricorso al Tar per tutelare il mercato dei rivenditori di attrezzatura che considerano l’inasprimento dei corsi di formazione come un ostacolo alla proliferazione dei centri di revisione potenziali clienti” suonava decisamente male, così come “ricorso al Tar per boicottare l’evoluzione dell’addetto alla revisione ministeriale che diventerebbe una figura scomoda se difficilmente sostituibile”.

Bando alle ciance, è giunto il momento di analizzare nel dettaglio il testo del ricorso al Tar. Già nella “premessa di fatto”, la tanto acclamata giustizia sociale va a farsi benedire: vengono innanzitutto ribadite le procedure particolarmente gravose e manifestamente sproporzionate per accedere alla professione di ispettore addetto alla revisione ministeriale, una situazione che rischierebbe di danneggiare la funzionalità dei centri di revisione ed il libero accesso al mercato del lavoro e dell’occupazione. Avete capito bene? Il principio fondamentale non è la salvaguardia della sicurezza stradale, bensì la salvaguardia delle imprese che nascono grazie allo Stato per garantire questo principio. Le suddette attività assolvono all’obbligo sociale che le legittima prima di pretendere ulteriori diritti? Andiamo oltre. La principale violazione citata a più riprese nel ricorso è il presunto inasprimento del decreto attuativo nazionale rispetto ai requisiti minimi previsti dalla direttiva comunitaria 2014/45ue (link), in particolare dal relativo allegato IV:
“[..]Prima di autorizzare un candidato a occupare la posizione di ispettore abilitato a effettuare controlli tecnici periodici, gli Stati membri o le autorità competenti verificano che tale persona:
a) abbia una conoscenza e una comprensione certificate relative ai veicoli stradali nelle seguenti aree:
- meccanica
- dinamica
- dinamica del veicolo
- motori a combustione
- materiali e lavorazione dei materiali
- elettronica
- componenti elettronici dei veicoli
- applicazioni IT
b) abbia almeno tre anni di esperienza documentata o equivalente quale mentoraggio o studi documentati e una formazione appropriata nelle aree succitate riguardanti i veicoli stradali di cui sopra. [..]”
Nell’accordo Stato – regioni, sia il requisito a) che il requisito b) vengono considerati egualmente indispensabili per accedere al vero e proprio corso abilitante di 176 ore (modulo B), ma nel testo del ricorso al Tar viene impugnato il principio di alternatività. Di conseguenza, i candidati con tre anni di esperienza nel settore sarebbero svincolati dall’obbligo di conseguire il modulo teorico A di 120 ore riducendo drasticamente il monte ore complessivo previsto per i corsi, il reale scopo di questa azione legale. Un aspetto resta poco chiaro, ma probabilmente a causa delle nostre scarse competenze in materia legale: quali sarebbero le basi per avanzare tale obiezione? Nel testo originale della normativa comunitaria precedentemente citata non esistono nè congiungioni (e), nè disgiunzioni (o), quindi l’interpretazione del testo spettava di diritto dell’Autorità competente che ha optato per l’innalzamento degli standard qualitativi della revisione ministeriale, una scelta che può non piacere – e qui potremmo aprire una parentesi sulla buona fede dei principali ricorrenti –, ma non può sicuramente essere definita illegittima. L’argomentazione prosegue citando il seguito dell’allegato IV della 2014/45ue (link):
“2. Formazione iniziale e di aggiornamento
Gli Stati membri o le autorità competenti provvedono affinché gli ispettori ricevano una formazione iniziale e di aggiornamento appropriata o sostengano un esame appropriato, inclusi gli elementi teorici e pratici, per essere autorizzati a effettuare controlli tecnici.[..]”
Nel testo del ricorso, sulla base della disgiunzione presente fra le parole “appropriate” e “sostengano“, si ritiene opportuno comprovare l’idoneità del candidato con la semplice partecipazione ad un corso senza profitto, oppure previo superamento di un di esame “a freddo”. Solo un incompetente in materia potrebbe pensare che un aspirante ispettore abbia qualche possibilità di superare un esame così specifico senza avere alle spalle un solido percorso di formazione, ma questa è una semplice considerazione. Sta di fatto che il punto 4) del preambolo alla tanto citata – naturalmente solo all’occorrenza – direttiva 2014/45ue reca testualmente: “Agli Stati membri dovrebbe essere concessa la facoltà di stabilire norme più rigorose di quelle previste dalla presente direttiva.”, concetto tra l’altro ribadito all’art.13 comma 1 della stessa: “[..] Gli Stati membri possono introdurre requisiti supplementari specifici in materia di competenza e formazione.” Ancora una volta, nessuna irregolarità, ma solo sterili lamentele per la legittima interpretazione dalla normativa comunitaria considerata troppo stringente. Peccato che, per ignoranza o forse per comodità, non si fa mai alcuna menzione al recepimento della normativa negli altri stati membri: nell’immagine di destra, ad esempio, il corso di formazione organizzato da Dekra in Francia per accedere alla qualifica di controleur tecnique debutant VL, (ispettore addetto al controllo dei veicoli leggeri) – 315 ore a cui ne vanno aggiunte 14 per il controllo di automobili con alimentazione GPL/CNG – 415 ore per i poids lourds (PL), (veicoli pesanti) (tutti i dettagli cliccando qui) . Andiamo oltre. L’aspetto più grave di questo ricorso, chiaramente secondo il nostro punto di vista, è il duro attacco all’art.7) dell’accordo Stato – regioni:
“Art. 7 (registrazione):
- L’Organismo di supervisione [..], valutato positivamente l’esame di merito, chiede all’autorità competente [..] di provvedere alla registrazione dell’ispettore.
- Nella registrazione sono indicate le categorie di veicoli per il quale l’ispettore è abilitato
- L’ispettore non può operare in assenza della registrazione o conferma della stessa.”
È evidente l’intento di bloccare sul nascere le basi per la creazione della vera e propria categoria degli ispettori addetti alla revisione ministeriale, ma sta di fatto che contestando questa disposizione si inibisce la possibilità di introdurre un po’ di chiarezza nel settore. Chi è legalmente autorizzato dallo Stato a controllare i veicoli? Un albo renderebbe più agevole la ricerca di personale e l’attività di vigilanza da parte della Motorizzazione Civile, un po’ come avviene oggigiorno per i tecnici abilitati alla taratura ed installazione delle attrezzature. Avete capito bene: una buona parte dei firmatari del ricorso al tar gode del privilegio di avere i propri operatori registrati nell’archivio omologazioni del C.S.R.P.A.D. (link), un semplice pretesto per monopolizzare il settore dell’assistenza.

Selezionando prima la ragione sociale di un qualsiasi produttore di attrezzatura, poi il nome commerciale del macchinario, si ottiene “l’elenco dei tecnici autorizzati dall’Amministrazione” (immagine sotto): anche in questo caso è contestabile l’istituzione di una vera e propria professione regolamentata in maniera illegittima?

Per concludere, l’elemento più scandaloso del ricorso, ovvero il tentativo di screditare la mansione dell’ispettore per giustificare corsi più blandi e meno onerosi:
(TESTUALI PAROLE) “L’ispettore infatti, per eseguire la revisione, procede all’inserimento dei dati contenuti nella carta di circolazione del veicolo [..] e successivamente [..] si sposta nella zona di “controllo” laddove è collocata l’entità informatica denominata PC Stazione. Si tratta di attività eseguite per la quasi totalità da apposite apparecchiature dotate di sistemi di misurazione immodificabili e che emettono un referto informatico inalterabile. A ciò si aggiunga, che l’Italia è l’unico paese della Comunità Europea il quale ha introdotto dal 2015 l’obbligo nei “centri di revisione” del protocollo informatico denominato MCTC/NET 2, con cui si preclude all’operatore qualunque ingerenza sui dati delle prove (rendendo di fatto l’ispettore un operatore tecnico di sistemi informatici).[..]”
- Nessuna menzione alle responsabilità penali connesse all’esercizio della professione.
- Nessuna menzione alla qualifica di pubblico ufficiale.
- Nessuna menzione alle responsabilità dell’ispettore sul corretto funzionamento dei macchinari. Nei manuali per la formazione del responsabile tecnico – ora ispettore – vengono descritte le procedure per diagnosticare eventuali anomalie sui macchinari che devono essere individuate grazie all’esperienza maturata sul campo dall’operatore che esegue la revisione, l’unico responsabile del referto complessivo di revisione (es. Valore di opacità tendente a 0 per un veicolo diesel euro 0? Non è colpa del macchinario, ma dell’operatore che avrebbe dovuto verificare la probabile presenza di una piega sul tubo flessibile della sonda o, in alternativa, avrebbe dovuto sospettare un malfunzionamento dell’opacimetro. Efficienza frenante anomala? Non è colpa del software che misura questo valore, ma dell’operatore che, sulla base delle conoscenze relative alla massa dei principali veicoli, dovrebbe intervenire per ricalibrare la pesa ecc..).
- Nessuna menzione ai controlli visivi sul veicolo accuratamente descritti nell’allegato I della direttiva 2014/45ue, l’elemento chiave per una buona revisione ministeriale: i ricorrenti conoscono la corretta procedura per il controllo tecnico di un veicolo? A quanto pare no. Nella tabella sottostante, ad esempio, alcuni dei controlli fondamentali per valutare accuratamente un sistema frenante, un’analisi che non può limitarsi all’esecuzione del test con l’ausilio del “banco freni”. la prova-freni strumentale è regolare se l’efficienza frenante registrata dal software risulta nella norma e lo squilibrio sotto i limiti consentiti, ma il veicolo potrebbe egualmente essere considerato pericoloso perchè valutato a rischio di rotture imminenti relative all’impianto frenante. Quale macchinario in dotazione ai centri di revisione esamina lo stato di usura dei tubi idraulici flessibili o misura lo spessore dei dischi? Eppure le principali cause di mancato arresto del veicolo sono riconducibili ai particolari appena citati, componenti che sfuggono inesorabilmente al test strumentale. Lo stesso ragionamento si potrebbe estendere a ammortizzatori, bracci oscillanti, pneumatici, ma siamo in democrazia, ognuno è libero di avere il proprio concetto di sicurezza stradale… Sia chiaro, ognuno poi farà i conti con la propria coscienza.

Per concludere, si rinnova per la controparte l’invito alla pubblicazione del testo integrale del ricorso per smentire eventuali inesattezze contenute in questo articolo.
edit (24/07/2019)
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