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Tra qualche giorno ricorrerà il primo mese dal crollo del ponte Morandi di Genova, una tragedia che ha causato, ad oggi, 43 morti. Il contenuto di questo articolo è in fase di elaborazione dal giorno stesso della strage, ma l’estremo rispetto nei confronti delle vittime mi ha bloccato al punto tale da cancellare più e più volte la bozza. Pazzesco, ciò che prima mi inibiva è la principale ragione per cui ora scrivo: per rispettare le vittime è necessario dare un senso a questo martirio, facendo sì che questo esempio negativo segni la svolta per tutti. È vero, 43 decessi simultanei fanno impressione, ma quante vittime della negligenza si possono contare ogni giorno in Italia? Si sente spesso parlare di incidenti sul lavoro, incidenti domestici, incidenti stradali e chi più ne ha più ne metta, ma il più delle volte la realtà si discosta dall’evento inatteso che interrompe un regolare svolgimento*. Tutto ciò che è prevenibile non può essere inatteso, pertanto il più delle volte è scorretto parlare di incidente.

*(definizione letterale di “incidente”)

  • Il viadotto che crolla a causa di un terremoto imprevisto è un incidente.
  • Il viadotto che crolla a causa del pessimo stato di manutenzione in cui versava non è un incidente.
  • Il sinistro stradale causato da un malore improvviso del conducente è un incidente.
  • Il sinistro stradale causato dall’inefficienza del veicolo non è un incidente.

L’incidente non ha colpevoli, negli altri casi c’è una (o più) responsabilità, e a tal proposito la prima analogia. A poche ore dalla tragedia la giuria popolare (e ahimè, politica) aveva già emesso li proprio verdetto: –è colpa dei Benetton-, i principali azionisti di Atlantia e quindi di Autostrade per l’Italia.  Non è mia intenzione soffermarmi sulle imputazioni, ma colgo l’occasione per evidenziare un aspetto che mi è molto familiare –è proprio vero, cambiano i settori, ma le circostanze restano invariate-. C’è veramente qualcuno che crede di vedere dietro alle sbarre un membro della famiglia Benetton (sempre ammesso che la responsabilità sia loro)?  Non scherziamo, l’Italia è una repubblica fondata sui prestanome, e non sto alludendo alla malavita organizzata. Visto dall’esterno il mondo del lavoro (o più in piccolo l’organico di una multinazionale) appare come un meccanismo perfetto in cui tutti gli ingranaggi quali responsabili della sicurezza, della manutenzione e così via operano indisturbati, ma dove finisce il loro raggio d’azione? Per quale motivo un tecnico addetto alla salvaguardia della sicurezza dovrebbe svolgere approssimativamente la propria mansione? Negligenza personale? Dubito fortemente. Un qualsiasi operatore con le mani legate (per assurdo dipendente diretto dell’azienda che dovrebbe moderare) in fin dei conti è solo un prestanome, una firma utile principalmente quando serve un colpevole.

Da circa 9 anni opero come ispettore nell’ambito della revisione ministeriale dei veicoli, un settore tristemente noto per gli innumerevoli casi di cronaca che periodicamente animano l’opinione pubblica. Al tavolo degli imputati spicca sempre il responsabile tecnico (ispettore ai sensi del D.M. 214 del 19/5/2017), ovvero colui che svolge materialmente le operazioni di controllo sui veicoli detenendo tutte le responsabilità penali connesse all’esercizio. È bene non farsi illudere dai titoli attribuiti all’operatore: dietro all'”ispettore”, al “responsabile tecnico” si cela un semplice operaio con buste paga da tale, ma responsabilità ben superiori. Lo stipendio dell’ispettore non è il focus di questo articolo, ma ragioniamo: considerati i rischi concreti a cui vanno incontro, per quale motivo i circa 20000 addetti alla revisione ministeriale dovrebbero operare negativamente? Corruzione? Potrebbe anche essere, ma è utile ricordare che il business che gira intorno al mondo delle revisioni (2,95 Miliardi di euro secondo Autopromotec per il 2017) è interesse principalmente degli 8700 titolari dei centri di controllo autorizzati in Italia. Tutti delinquenti? Assolutamente no, ma purtroppo in questo mercato chi opera rispettando la legge viene scartato a priori dalla maggior parte degli automobilisti incoscienti (e disinformati) minando gravemente i bilanci. Dall’Europa una buona occasione per rivoluzionare il settore: la direttiva 2014/45UE prevede il principio di terzietà per ridurre i conflitti di interesse, ma i decreti di recepimento italiani D.M. 214 e D.D 211 sembrano fuggire dal confronto con la realtà: forse qualcuno teme di perdere il controllo sui responsabili tecnici (o ispettori)? Nel frattempo, come se non bastasse, è in fase di approvazioni presso Senato e Camera un’ulteriore proroga al D.M. 214 in apparente disaccordo con i termini imposti della normativa europea: fino a quando la sicurezza stradale dovrà aspettare?

La seconda analogia riguarda il tema delle concessioni. Non ho le competenze per parlare di infrastrutture e non conosco i termini della concessione ad Autostrade per l’Italia, ma ricordo molto bene il grido alla nazionalizzazione che talvolta riecheggia anche nel settore a cui appartengo. Con 27 anni di esperienza da cittadino italiano, mi dispiace dirlo, ma rabbrividisco solo al pensiero del “pubblico” che a primo impatto mi ricorda inefficienza, sprechi e corruzione. La concorrenza è il motore dell’economia e in quanto tale va salvaguardata, ma attenzione, se si tratta di concessioni ministeriali la moderazione dello Stato non può mancare. Il comma 10 dell’articolo 80 del Codice della Strada testualmente reca: Il Ministero dei trasporti – Direzione generale della M.C.T.C. effettua periodici controlli sulle officine delle imprese di cui al comma 8 e controlli, anche a campione, sui veicoli sottoposti a revisione presso le medesime[..]. Il successivo comma 11 integra: “Nel caso in cui, nel corso dei controlli, si accerti che l’impresa non sia più in possesso delle necessarie attrezzature, oppure che le revisioni siano state effettuate in difformità dalle prescrizioni vigenti, le concessioni relative ai compiti di revisione sono revocate.” Anche l’articolo 14 del più recente D.M. 214, nonchè l’allegato V dello stesso normano la supervisione alle imprese, ma fino ad oggi i controlli sono stati molto blandi se non assenti. Carenza di personale? Insufficienza di fondi? Comprensibile, ma in più occasioni i responsabili tecnici/ispettori hanno cercato di semplificare l’onere delle autorità segnalando veicoli difformi alla circolazione e revisionati con esito regolare presso altre sedi. Il progetto si chiama Targa Alert e probabilmente non diventerà mai realtà poichè, a quanto pare, viola la privacy dei delinquenti che, pur sapendo di avere un veicolo pericoloso per la circolazione, circolano ugualmente.

Per concludere una provocazione: abbiamo, anzi, 43 persone in particolare e una città hanno sperimentato sulla propria pelle le conseguenze della cattiva gestione di una concessione statale che operava indisturbata in monopolio. Come vi immaginate le 8700 autorizzazioni alla revisione ministeriale in regime di concorrenza spietata? Lo Stato non può lavarsene le mani.