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Per gli operatori

No, non c’entra nulla il buon Luigi Di Maio, ma questa celebre immagine satirica descrive perfettamente ciò che è avvenuto nel settore revisioni. Un uomo, all’apparenza buffo, che celebra senza contenersi una grandissima vittoria di proporzioni simili alla finale dei Mondiali di Calcio, oppure al premio Pulitzer o al Nobel per la pace. Peccato che siamo nell’ambito delle revisioni ministeriali, un comparto da poco più di 9000 anime, perlopiù destinate all’inferno. Potevamo brindare per l’abolizione degli sconti sulla tariffa di revisione, per l’abolizione delle “revisioni facili” oppure per un po’ di chiarezza, rispetto e considerazione da parte dello Stato… invece no. Festeggiamo per aver limitato l’utilizzo del pedale pressometrico durante la prova freni dei veicoli, un dispositivo da qualche migliaio di euro che non è mai stato visto di buon occhio da ispettori e titolari di centri di controllo, per una volta sullo stesso fronte. Tuttavia fossero i primi ad aver chiesto alla DG MCTC una variazione delle procedure di revisione la cosa avrebbe avuto senso, o quantomeno se ne poteva discutere, ma in questo caso i promotori dell’iniziativa sono gli alti ufficiali di Anara Confartigianato, una della associazioni degli “imprenditori” del settore. Tutto questo fermento per risparmiare due spicci  in manutenzione straordinaria e guadagnare – se va bene – 20 secondi a revisione,  ma nulla di nuovo: sono anni che perdura questa tiritera  e finalmente, per la gioia delle orecchie di tutti, ce l’hanno fatta, anzi, ci sono arrivati vicino. La circolare prot. U.0037014 del 22/12/2020 (link) con oggetto “Revisione autoveicoli, motoveicoli e ciclomotori – Utilizzo misuratore di sforzo al pedale/alla leva”  infatti non esclude il dispositivo dalla lista delle attrezzature obbligatorie per i centri di controllo, ma ne limita l’utilizzo. E a proposito di circolari, un brevissimo vademecum utile a profani. Quando il testo inizia con “Pervengono a questa direzione numerosi quesiti/segnalazioni in ordine a/in merito a/relativamente a” o premesse del genere, i “numerosi quesiti” in realtà sono le pressioni da parte di una singola associazione di categoria, ente riconosciuto o “persona importante”. Sarebbe interessante poter leggere queste “numerose richieste” oppure la relazione tecnica che giustifica l’istanza, ammesso che esista, ma forse è meglio cambiare discorso ed entrare nel merito della nuova regola.

La ratio della circolare, o quantomeno la giustificazione pubblica, è l’adeguamento al progresso delle procedure di revisione ministeriale. Sorge spontanea una domanda: che ci facciamo ancora con gli opacimetri basati su una tecnologia anni 80? Ogni test di opacità effettuato su veicoli diesel classificati EURO 4 (o superiori) ha come risultato 0,0: misuriamo, anzi, quantifichiamo a spanne, il particolato su veicoli muniti di filtri anti-particolato: che senso ha? – Nessuno, ma in questo caso un adeguamento al nuovo millennio comporterebbe dei costi per i centri di revisione, quindi a tutti va bene così… – Andiamo oltre.  Il pedale pressometrico fu  introdotto con la circolare 88/95 del 22 Maggio 1995, il documento contenente tutte le prescrizioni relative alle attrezzature in dotazione ai centri di controllo privati. Il piccolo strumento, nientemeno che un dinamometro elettronico, misura l’energia muscolare impiegata dall’automobilista per ottenere l’arresto del veicolo azionando il pedale del freno. Il rilievo è fondamentale per determinare l’interruzione del test: il valore di efficienza frenante misurato al raggiungimento del limite di sforzo viene considerato l’efficienza massima del veicolo (o del singolo asse). Questo perchè una decelerazione ottenuta mediante una pressione sovrumana sul pedale del freno, all’atto pratico, sarebbe comunque impossibile da sfruttare durante una situazione di emergenza. Con l’introduzione del servofreno, o meglio con la diffusione su larga scala del dispositivo sul parco circolante, i valori di sforzo frenante rilevati in condizioni normali durante i test di si è notevolmente abbassato a tal punto da non raggiungere neanche lontanamente il limite di 500 N per gli autoveicoli. Per tale ragione, secondo il legislatore, la misurazione dello sforzo frenante può essere omessa. E in situazioni anomale? Ma soprattutto, in situazioni ambigue?

Ancora una volta è stato denaturato il concetto di revisione ministeriale: da controllo tecnico periodico a semplice esame promosso/bocciato, ON/OFF, verde regolare – rosso “ripetere”. Il referto complessivo – o certificato di revisione – dovrebbe fungere da indice, sia per l’automobilista, che per il meccanico di fiducia, per monitorare il buon funzionamento del veicolo e pianificare gli interventi di riparazione da effettuare a breve/medio/lungo termine. Un indurimento progressivo del pedale del freno che si traduce in valori crescenti di sforzo frenante nel corso degli anni potrebbe rappresentare il deterioramento di uno qualsiasi dei componenti dell’impianto frenante. Meglio intervenire preventivamente o attendere che qualche elemento ceda recando danni al resto dell’impianto o, alla peggio, provocando un incidente stradale? In Italia purtroppo la revisione ministeriale è lontana anni luce da ciò che dovrebbe rappresentare a livello teorico, un servizio per la comunità. Come dare torto a coloro che sostengono sia un furto legalizzato dallo Stato [per la modica cifra di 79,02€ a brevissimo]?

Sempre meno ispettori, sempre più #schiacciatasti.

In conclusione si riportano integralmente le modifiche pratiche alle procedure di revisione in vigore non oltre il 30 Marzo 2021 (Circolare U.0037014  22/12/2020 – Paragrafo 5.0)

” [..] Si potrà sempre omettere l’uso del misuratore di sforzo al pedale e alla leva nella prova dell’efficienza dell’impianto frenante dei veicoli ad eccezione dei seguenti casi:
Veicoli sprovvisti di servofreno;
Veicoli anche se dotati di servofreno ma immatricolati da oltre 35 anni dall’anno della revisione (da non considerare né il giorno, né il mese) in considerazione dell’effettiva vetustà dell’impianto;
Veicoli quattro ruote motrici, se sottoposti alla prova mediante banco prova freni a rulli;
Motoveicoli a 2, 3 e 4 ruote;
Veicoli muniti di freno di stazionamento non elettrico per la verifica dell’efficienza del freno di stazionamento.”
[..]

Per gli operatoriPer gli utenti

Dal tool “Rivaluta” disponibile gratuitamente sul sito dell’ISTAT (clicca sull’immagine) è possibile calcolare la rivalutazione monetaria negli anni. 500€ nel 2001, ad esempio, equivalgono a 663€ del 2020.

Una premessa per iniziare, onde evitare la riscossa dei lettori-economisti-moralisti che posseggono un centro revisioni. Il titolo dell’articolo è improprio, ma d’altronde doveva essere user-friendly. A onor del vero la tariffa di revisione non è banalmente “aumentata”, bensì è stata aggiornata su base ISTAT: tecnicamente c’è una bella differenza. Per chi non lo sapesse, l’adeguamento ISTAT è, molto brevemente, il ricalcolo dei prezzi eseguito periodicamente dell’Istituto Nazionale di Statistica sulla base della rivalutazione monetaria. Tale indice è fondamentale per determinare i corrispettivi non soggetti alla normale contrapposizione del libero marcato fra domanda ed offerta: il compenso per la revisione ministeriale rientra fra questi. Se un commerciante generico è libero di incrementare i prezzi a propria discrezione, i centri di controllo devono obbligatoriamente attenersi alle direttive emanate dal Ministero dei Trasporti, l’ultima della quali risaliva al 2 Agosto 2007 (Decreto n.161) e fissava la tariffa a 45€ + IVA e diritti postali, corrispettivo stabilito nell’Ottobre 2004. La revisione ministeriale tuttavia, pur essendo un servizio pubblico, viene erogata da privati che nell’ultimo decennio hanno subito inesorabilmente l’incremento del costo della vita, del lavoro, delle tasse, meno che del proprio onorario. Se il dibattito dunque riguarda l’eticità o meno dell’adeguamento beh, c’è poco da dire: i consumatori lo considereranno sempre e comunque un furto legalizzato dallo Stato mentre le imprese del settore un atto dovuto, e non gli si può dare torto. Vallo a spiegare agli automobilisti che la revisione ministeriale non è una tassa, che i centri di controllo sono costantemente vessati dallo Stato eccetera eccetera: soliti di discorsi che ormai hanno la consistenza dell’aria fritta, al pari del dilemma fra giusto o sbagliato per questa nuova misura. La domanda oggi da porsi è una, ed è la seguente: l’adeguamento ISTAT, che al netto di tutto è un’aumento a tutti gli effetti, gioverà ai centri di revisione? L’etica lasciamola nei libri di filosofia, la rivalutazione monetaria in quelli di economia.

Bei tempi quando articoli di questo calibro spettavano esclusivamente all’illustre Andrea Da Lisca che con  Osservatorio Revisione Veicoli ci avrebbe deliziato con i suoi grafici, stime e proiezioni. E proprio dall’ormai rarissimo cartaceo di un suo testo, “Revisione Veicoli: il Mercato come nessuno te lo ha mai raccontato”, alcuni utili spunti di riflessione, nonchè dati certi per un’analisi a grandi linee. Innanzitutto il primo indice da tenere in considerazione, il potenziale massimo di mercato. Se nella maggior parte dei settori tale calcolo è frutto di stime, indagini ed analisi di marketing anche molto complesse, per quanto concerne la revisione ministeriale non si può sbagliare: il potenziale massimo di mercato coincide con il parco circolante regolarmente immatricolato e chiamato a revisione nell’anno corrente. Tutti i veicoli sono soggetti all’obbligo di revisione ministeriale, la prima volta a quattro anni dalla data di prima immatricolazione, poi ogni due.

Il grafico è aggiornato al 2015, ma da Osservatorio Autopromotec è possibile estrapolare i dati mancanti:

Nel 2016 sono stati revisionati 13.949.808 autoveicoli, nel 2017 14.217.864, nel 2018 13.959.706 e nel 2019 14.348.718. Il 2020 naturalmente, causa Covid-19, non fa testo.

Il trend si è mantenuto stabilizzandosi a 14.000.000 circa revisioni di autoveicoli all’anno mentre la differenza tra revisionato degli anni pari e dispari è sempre meno accentuata.

L’altro dato utile alla determinazione del numero di revisioni pro capite è la concentrazione delle imprese sul territorio, ovvero il numero dei centri di revisione, imprese nate ufficialmente nel lontano 1997. Le tabelle di Osservatorio Revisione Veicoli sono disponibili a partire dal 2007 fino al 2015, ma per i dati mancanti sono state prese come riferimento altre fonti autorevoli dal web.

Un incremento fisiologico di circa 300 centri di revisione/anno ha fatto impennare le imprese abilitate da quota 4000 nel 1999 ad 8500 del 2016, una trend che non ha nulla a che vedere con il lievissimo incremento del potenziale di mercato, ormai quasi stabilizzato alle 14.000.000 unità annue. Se la torta rimane sempre la stessa, ma aumenta il numero di commensali, il risultato è scontato: le fette sono sempre più piccole. Ecco spiegato l’indice più importante per determinare la tendenza del settore, ovvero il numero di revisioni pro-capite, naturalmente inversamente proporzionale all’incremento dei centri di controllo.

Se nel 1999 ad ogni centro “spettavano” potenzialmente 2550 revisioni, nel 2007 2235 mentre nel 2015 1760. Un brusco calo che ha sicuramente ridotto i guadagni delle imprese riducendole al fatturato minimo per la sopravvivenza. Un parametro che però nessuno ha mai analizzato nella storia dei centri di revisione è il tempo effettivo impiegato per l’espletamento del numero di revisioni pro-capite che determinano il fatturato. 1500 revisioni all’anno, ad esempio, generano un fatturato di (45€ x 1500) 67500€ al quale naturalmente vanno sottratte tutte le spese (dipendenti, locali, attrezzatura, tasse). Tanto o poco che sia è relativo, ma si tenga presente del tempo impiegato dall’ispettore, dipendente o titolare che sia, per effettuare le 1500 operazioni. La durata di una singola revisione ministeriale, ipotizzando che il tecnico la gestisca dalla A alla Z (dall’accettazione del cliente al pagamento) si aggira intorno ai 30 minuti variabili in base alla qualità del servizio. 1500 revisioni all’anno sono 125 revisioni al mese e circa 6 al giorno, quindi 3 ore effettive di lavoro. Il problema dunque non è tanto la tariffa ministeriale inadeguata, bensì le linee produttive che per la maggior parte della giornata rimangono inattive. Eppure una linea produttiva che lavora al 75% del proprio potenziale, un centro revisioni da 3000 revisioni all’anno, con gli stessi costi fissi fattura 135000€, mica spicci. Con l’adeguamento ISTAT introdotto dalla Legge di Bilancio 2021 tale fatturato schizzerà a 164.700€ (82350 per i centri da 1500 revisioni/anno), un + 20% che rischia di minare pericolosamente gli equilibri di questi ultimi 5 anni. Nonostante l’assenza di dati ufficiali (i dati di Osservatorio Revisioni Veicoli si fermano all’anno 2016), la media delle 300 unità/anno relativamente all’incremento dei centri di controllo si è sicuramente abbassata, complice il blocco della formazione per gli ispettori che perdura dal 20 Maggio 2018 (Decreto Dirigenziale n.211/18 art. 7).

Senza dati certi è inutile sbilanciarsi in proiezioni ed analisi, ma da una serie di informazione incrociate pare che i centri di controllo attualmente registrati, anche se non operativi, siano all’incirca 9000 mentre il potenziale di mercato rimane stabile intorno alle 14.000.000 unità. Il numero di revisioni pro-capite è quindi di 1555 pratiche all’anno per un fatturato di 70000€ secondo la vecchia tariffa, 85000€ secondo la nuova (54,90€). Un incremento però di 1800 centri di controllo vanificherebbe gli effetti positivi dell’aumento della tariffa – o adeguamento ISTAT che sia – sul fatturato delle imprese calcolato in base alle revisioni pro-capite: in quanto tempo si verificherà? 

P.S. In data 30 Gennaio 2021 si terrà su piattaforma ZOOM il meeting dell’associazione di categoria Asso.Car responsabile dell’adeguamento ISTAT della tariffa di revisione. Per partecipare clicca qui.