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Diego Brambilla, ispettore addetto alla revisione ministeriale, fornisce alcune informazioni normative sui dispositivi di visione indiretta, meglio noti come specchietti retrovisori. Secondo l’attuale normativa automotive rientrano fra i dispositivi di equipaggiamento del veicolo disciplinati dall’articolo 72 del Codice della Strada, D.Lgs 285/92. A dire il vero il Codice non dice un granchè a riguardo, quindi occorre spulciare la normativa del passato, nazionale e comunitaria. Si comincia dall’articolo 216 al regolamento di attuazione al “vecchio” Codice della Strada, D.P.R. 420/59 (1959). Per ogni autoveicolo, salvo quelli trainanti rimorchi per i quali erano fissati requisiti supplementari, doveva essere installato per leggere un dispositivo retrovisore, quello interno all’abitacolo. Quindi, niente specchietti laterali e nessun dispositivo obbligatorio per motocicli a due ruote e ciclomotori. Con la direttiva 71/127CEE (1971) vengono tracciate le prime linee guida comunitarie in materia di omologazione dei retrovisori. Sono classifica di classe I quelli interni all’abitacolo e di classe II (M2, M3 , N2, N3) e III (M1, N1) quelli esterni laterali, in base alla superficie. Omettiamo la formula aritmetica per determinare la superficie minima ammessa, anche perchè è variabile in funzione al raggio di curvatura, ovvero il grado di convessità dello specchio. Con l’aumentare del raggio lo specchio è meno convesso, più piatto, e di conseguenza diminuisce il campo visivo: la superficie riflettente deve quindi essere maggiore. In sintesi, con il minimo raggio di curvatura ammesso dalla direttiva, la superficie minima dello specchio per i retrovisori di classe III equivale ad un cerchio con un diametro di 81,5mm oppure un rettangolo di 70x71mm.
ATTENZIONE. La direttiva citata non prescrive alcun obbligo di installazione dei retrovisori su determinate categorie di veicoli, ma si limita a disciplinare l’omologazione dei dispositivi riconoscibile dalle ormai note iscrizioni: una “e”, minuscola o maiuscola, seguita da un numero che corrisponde al paese membro dell’UE o dell’UNECE che ha approvato il dispositivo. Gli obblighi per gli autoveicoli subentrano in Italia con la Legge 25 Novembre 1975 n.707 che prescrive almeno un dispositivo retrovisore laterale installato a sinistra a partire dal 1° Gennaio 1977. E’ una norma retroattiva: si applica sia per veicoli già in circolazione che per le nuove omologazioni. La direttiva 85/205CEE (1985) introduce le tabelle contenenti le prescrizioni di montaggio. Viene confermato l’obbligo di un solo retrovisore di classe III per i veicoli di categoria M1 ed N1 installato dal lato opposto a quello di circolazione (a sinistra in Italia), salvo per quelli aventi il campo visivo del retrovisore interno non libero. In questo caso vanno installati entrambi i retrovisori laterali. E’ la direttiva 2003/97CE recepita con Decreto 19 Novembre 2004 ad aggiornare al progresso le prescrizioni di montaggio. La nuova tabella infatti dispone l’obbligo del doppio retrovisore laterale sui veicoli di categoria M1 ed N1 e si applica a partire dal 25 Maggio 2005, il giorno dopo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto. A disciplinare motocicli a due ruote e ciclomotori è invece la direttiva 80/780CEE (1980) che ha come oggetto l’omologazione dei retrovisori per i motoveicoli. Nelle prescrizioni di montaggio, all’allegato II, vengono disposte le seguenti regole: i motoveicoli con velocità di costruzione inferiore a 100km/h devono avere un dispositivo dal lato opposto a quello di circolazione, diversamente due. Naturalmente, i ciclomotori rientrano nella prima categoria. Quanto alle dimensioni delle superfici riflettenti, se circolari il diametro non deve essere inferiore a 94mm e superiore a 150mm. Per le altre forme geometriche invece la superficie deve potersi inscrivere in una circonferenza con diametro di 78mm e deve poter essere iscritta all’interno di un rettangolo di 120x200mm. Queste disposizioni entrano in vigore in Italia per effetto della Legge 11 Gennaio 1986 n.3 che viene attuata con Decreto Ministeriale 18 Marzo 1986. Dal 18 Luglio 1986 diventa obbligatorio conformarsi alla direttiva 80/780CEE, sia per le nuove omologazioni (art.1), che per il parco circolante (art.3). Anche questa norma pertanto si può ritenere retroattiva. Cambiano le regole con la direttiva comunitaria 97/24CE recepita con Decreto 23 Marzo 2001. Per i ciclomotori a due ruote viene mantenuto l’obbligo di un solo retrovisore sul lato sinistro mentre per tutti i motocicli a due ruote, senza distinzione di velocità massima, i dispositivi devono essere due. Si ricorda infine che se durante la fase di omologazione un veicolo viene approvato con delle caratteristiche extra rispetto ai requisiti minimi, quali ad esempio il doppio retrovisore nonostante la normativa dell’epoca ne prescrivesse soltanto uno, tali dispositivi vanno mantenuti. La sostituzione è sempre ammessa con degli equivalenti di tipo omologato.
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Diego Brambilla, ispettore della revisione ministeriale, fornisce alcune indicazioni in merito alla presenza o meno delle frecce su motocicli e ciclomotori. Prima di addentrarsi nell’argomento, è utile capire cosa sono gli indicatori di direzione secondo la normativa automotive. L’articolo 72 del Codice della Strada D.Lgs 285/92 disciplina i dispositivi di equipaggiamento dei veicoli tra i quali rientrano gli pneumatici, i silenziatori di scarico, i dispositivi retrovisori, di segnalazione acustica e di illuminazione e segnalazione visiva. Gli indicatori di direzione appartengono all’ultima categoria, al pari dei proiettori, dell’illuminazione della targa, delle luci di posizione, di arresto, dei catadiottri e di altri segnalatori facoltativi per alcune tipologie di veicoli. Il comma 10 del succitato articolo prescrive che qualora i dispositivi fossero già oggetto di direttive comunitarie oppure regolamenti UN/ECE, tutte le prescrizioni in materia fanno caso ad essi. La prima direttiva europea a disciplinare i dispositivi di segnalazione ed illuminazione visiva per i motoveicoli è la 93/92 cee che si applica in tutti gli stati membri non oltre al 1° Novembre 1995. Prima di tale data faceva fede la normativa nazionale, il vecchio codice della strada D.P.R. 393/59, ma più precisante il regolamento di attuazione, D.P.R. 420/59. L’articolo 197 infatti disciplinava gli indicatori di direzione, obbligatori per “motoveicoli a tre ruote simmetrici” (tricicli L5e) autoveicoli, filoveicoli e rimorchi. Pertanto, fino al 1° Novembre 1995, un motociclo o un ciclomotore poteva ottenere l’omologazione del tipo anche senza installati gli indicatori di direzione, ma attenzione alla parola chiave: ” omologazione “. Il regolamento di attuazione al codice della strada, al pari delle direttive europee, prescrivono i requisiti minimi per ottenere l’omologazione del veicolo, non sono certo linee guida rivolte ai motociclisti per la customizzazione dei propri veicoli. Come fare dunque a capire se un motociclo o ciclomotore nasce senza frecce?
Prima del 1 Novembre 1995 è purtroppo impossibile in quanto sulla carta di circolazione non è riportata nessuna indicazione. L’unico strumento che potrebbe supportare le autorità incaricate al controllo del veicolo, ispettori della revisione e forze dell’ordine, è la scheda tecnica di omologazione che riporta tutte le caratteristiche del prototipo approvato. Purtroppo questi documenti non sono di dominio pubblico, ma sono proprietà della Motorizzazione Civile e del costruttore o l’importatore che ha richiesto l’omologazione. Ad ogni modo, a partire dal 1° Novembre 1995, non c’è più spazio per equivoci, ma occorre distinguere i ciclomotori dai motocicli. Infatti la direttiva 93/92 CEE impone l’obbligo della presenza degli indicatori di direzione per i motocicli, ma non per i ciclomotori sui quali tuttavia vengono installati dal costruttore. Attenzione però, il fatto che tali dispositivi siano facoltativi sui ciclomotori non significa che l’utente è libero di eliminarli: ogni modifica rispetto al prototipo approvato in fase di omologazione deve essere approvata con visita e prova. A partire dagli anni 90 comunque la quasi totalità dei ciclomotori, per costruzione, montava gli indicatori di direzione, fatto salvo qualche caso atipico come il Piaggio Ciao Euro 2 uscito di produzione nel 2004. Si conclude ricordando che l’unica libertà per i motociclisti è quella di sostituire gli indicatori originali con degli equivalenti di tipo omologato che riportano il marchio composto da una e, maiuscola o minuscola, seguita da un numero che identifica il paese europeo che ha approvato il dispositivo. Non è richiesta visita e prova in questo caso, ma attenzione alle prescrizioni di installazione, contenute sempre nella direttiva 93/92CEE. I dispositivi devono essere 4, due da ciascun lato, posizionati simmetricamente sul veicolo. La distanza reciproca fra dispositivi è di 240 mm per gli anteriori, 180 per i posteriori. L’altezza da terra minima è invece di 350mm, massima di 1200mm. Vanno inoltre rispettate le condizioni di “visibilità geometrica” prescritte negli allegati alla direttiva per consentire ai dispositivi di essere visibili ad una determinata angolazione.
Curiosità: Alcune moto che si prestano particolarmente all’uso sportivo quali motard oppure trial, vengono progettate con un impianto elettrico modulare che consente di staccare i servizi (luci, indicatori di direzione e così via) qualora il veicolo venga utilizzato su strade private oppure in competizioni. Durante la circolazione su strada il veicolo deve comunque essere conforme al prototipo approvato durante la fase di omologazione, che se avvenuta dopo il 1° Novembre 1995, prevede l’obbligo di installazione degli indicatori di direzione.
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Diego Brambilla, ispettore della revisione ministeriale, spiega passo dopo passo il perchè non è possibile spostare la targa sui motocicli citando i vari articoli della normativa di riferimento, il Codice della Strada. Proprio in virtù di una mala interpretazione di questo regolamento si è diffuso il falso mito secondo cui lo spostamento della targa sarebbe consentito dalla legge: in realtà non è così. Dunque, si può spostare lateralmente la targa sui motocicli? La risposta è sì, ma la modifica deve essere approvata dall’autorità competente nazionale, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con visita e prova ai sensi dell’art. 78 del Codice della Strada. Ogni veicolo deve essere conforme al prototipo approvato durante l’omologazione del tipo (Art. 75 del Codice della Strada), l’accertamento effettuato presso i CPA (Centri Prova Autoveicoli) che autorizza la messa in circolazione della serie. Durante questa fase viene verificata la conformità di ogni singola caratteristica costruttiva alla direttive europee o alle prescrizioni nazionali di riferimento. Per quanto riguarda l’alloggiamento della targa, la regolamentazione generale è prescritta dalla direttiva 70/222CE oppure dall’art. 259 del Regolamento di Attuazione del Codice della Strada DPR 495/92. Di seguito una breve sintesi:
a) La linea verticale mediana della targa non può trovarsi più a destra del piano di simmetria longitudinale del veicolo. Il bordo laterale sinistro della targa non può trovarsi più a sinistra del piano verticale parallelo al piano longitudinale di simmetria del veicolo e tangente al luogo in cui la sezione trasversale del veicolo, larghezza fuori tutto, raggiunge la sua dimensione massima;
b) [omesso]
c) La targa è perpendicolare o sensibilmente perpendicolare al piano di simmetria longitudinale del veicolo;
d) La targa è verticale con un margine di tolleranza di 5°. Tuttavia, nella misura in cui la forma del veicolo lo richiede, essa può essere anche inclinata rispetto alla verticale di un angolo non superiore a 30°, quando la superficie recante i caratteri alfanumerici è rivolta verso l’alto e a condizione che il bordo superiore della targa non disti dal suolo più di 1,20 m; di un angolo non superiore a 15°, quando la superficie recante il numero di immatricolazione è rivolta verso il basso e a condizione che il bordo superiore della targa disti dal suolo più di 1,20 m;
e) L’altezza del bordo inferiore della targa dal suolo non deve essere inferiore a 0,30 m, e a 0,20 m per i soli motoveicoli; l’altezza del bordo superiore della targa dal suolo non deve essere superiore a 1,20 m.
f) La targa posteriore deve essere visibile in tutto lo spazio compreso tra quattro piani, dei quali: due verticali che passano per i due bordi laterali della targa, formando verso l’esterno un angolo di 30° con il piano longitudinale mediano del veicolo; un piano che passa per il bordo superiore della targa formando con il piano orizzontale un angolo di 15° verso l’alto; un piano orizzontale che passa per il bordo inferiore della targa.
Queste regole non sono linee guida per l’utenza, bensì disposizioni alle quali il costruttore deve conformarsi per ottenere l’omologazione del tipo. E’ tuttavia difficile per le autorità incaricate al controllo sul parco circolante, ispettori della revisione ministeriale o Forze dell’Ordine, determinare con certezza le caratteristiche costruttive originarie dei veicoli in quanto le schede tecniche di omologazione sono custodite negli archivi privati della Motorizzazione Civile. Subentra quindi l’esperienza e la competenza del funzionario pubblico. Di seguito alcune semplici indicazioni utili all’individuazione di eventuali modifiche non autorizzate:
1) Corrispondenza illuminazione della targa – targa. Tutti i motocicli omologati a partire da vecchio Codice della Strada D.P.R. 393/59 devono essere provvisti di illuminazione della targa, il più delle volte combinata alla luce di posizione posteriore. Di conseguenza il dispositivo non è indipendente, bensì integrato nel gruppo del fanale con lampadina comune alla luce di posizione posteriore, ma superfici luminose distinte (rossa per segnalare la posizione, trasparente per l’illuminazione della targa). Eventuali dispositivi mancanti o maldisposti indicano chiaramente una modifica non autorizzata.
2) Presenza di dispositivi aftermarket, anche provvisto di omologazione europea o UNECE. Ogni spostamento della targa implica modifiche alla parte posteriore del veicolo ove solitamente sono alloggiati i dispositivi di illuminazione e segnalazione visiva, di norma sostituibili con equivalenti di tipo omologato. Ciò che non è liberamente modificabile, anche mediante l’utilizzo di componenti omologate, è l’alloggiamento della targa, determinato in fase di omologazione.
3) Presenza di lavorazioni palesemente artigianali quali saldature, imbullonature al telaio ed altre incongruenze rispetto al prototipo approvato in fase di omologazione. La parte strutturale del veicolo non può essere in alcun modo alterata.
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A cinque anni dall’introduzione del protocollo MCTC Net 2 si può ufficialmente dichiarare non raggiunto l'”obbiettivo sicurezza”. I casi di cronaca parlano chiaro: certificazioni fasulle e revisioni facili, i problemi che da sempre caratterizzano questo settore, da nord a sud. Gli automobilisti alla guida di veicoli pericolosi o inquinanti riescono ancora ad ottenere con semplicità l’attestazione di “revisione regolare”. A cosa sono serviti dunque i pesanti investimenti richiesti ai centri di controllo per adeguare le attrezzatura al nuovo standard informatico? Citando brevemente parte del “Capitolato MCTC Net2” a cura dell’ex-direttore della Div. 4 Stefano Baccarini, le garanzie introdotte con il nuovo protocollo sarebbero dovute essere “l’effettiva presenza del veicolo in officina”, “il corretto utilizzo delle apparecchiature” e “l’effettuazione di tutti i rilievi strumentali”. Nulla di tutto ciò si è verificato. I controlli risultano svolti integralmente agli atti, ma sul piano pratico le procedure di esecuzione sono spesso irregolari. Di conseguenza, i risultati delle misurazioni non corrispondono al vero, talvolta palesemente. Un veicolo non conforme alla circolazione può sempre essere sostituito da un cosiddetto “muletto” più efficiente utile al superamento dei vari test strumentali. Persino la prova freni, ritenuta universalmente “inviolabile” grazie alla presenza della fotocamera con sistema RT (riconoscimento targa), viene agilmente contraffatta. Se ne deduce che non esiste alcuna garanzia dell’effettiva presenza del veicolo nella sede del centro di controllo: il fenomeno delle revisioni “a distanza” è ancora molto attuale.
L’unica miglioria concreta introdotta con il protocollo MCTC Net 2 è l’informatizzazione dei referti, ma senza attuazione del tanto annunciato controllo in remoto da parte dell’Amministrazione rimane un potenziale non sfruttato. Uno spreco a tutti gli effetti: sarebbe sufficiente confrontare i dati rilevati – o inseriti manualmente dagli operatore – con i valori medi statistici per determinare l’autenticità o meno del controllo. Ecco il tema centrale del documento: una guida alla lettura ed interpretazione dei referti MCTC basata sull’esperienza di chi effettua quotidianamente revisioni ministeriali. Alle varie anomalie di seguito elencate è stato attribuito un colore che ne rappresenta il grado di attendibilità. Quelle contrassegnate in verde si possono considerare come semplici campanelli d’allarme a cui tuttavia dovrebbe seguire un’indagine di approfondimento. É il caso di valori difformi alla media statistica o generalmente atipici per l’anno di costruzione del veicolo. Nonostante la bassa affidabilità di questi dati, la combinazione di più elementi o la presenza di una segnalazione mirata potrebbe elevare il grado di sospetto al “livello giallo”. Le anomalie che rientrano in questa categoria sono molto più evidenti delle precedenti, ma non costituiscono ancora prova certa. Un esempio è la massa del veicolo riscontrata diversa da quella dichiarata dal costruttore. Potrebbe indicare l’impiego di un “muletto” per l’esecuzione del test, ma anche un vizio nella taratura della pesa o la presenza di un carico straordinario. In ultimo, il livello “rosso”: nessun dubbio in merito alla mala esecuzione con dolo della revisione. Anche l’inserimento di dati tecnici errati rientra in questo grado di classificazione in quanto vengono alterati i limiti determinanti l’esito delle prove. La presente relazione è stata redatta con l’intento di dimostrare all’Amministrazione la possibilità di controllare l’operato dei centri di revisione senza eccessivo dispendio di risorse. L’applicazione pratica della cosiddetta “vigilanza informatica” prevista dal già operativo protocollo MCTC Net 2 sarebbe sicuramente più efficace delle ormai rare visite ispettive da parte dei funzionari della Motorizzazione Civile.


INSERIMENTO DATI TECNICI (1) | |||
1.1) Dati del veicolo diversi da quelli contenuti nella scheda di omologazione |
I dati tecnici vengono inseriti da PC prenotazione trascrivendo parte della carta di circolazione, ma per alcuni di essi occorre ispezionare il veicolo. E’ una fase cruciale per l’autenticità del controllo: i valori inseriti determinano i limiti con i quali vengono condotte le prove. Un semplice errore, voluto o meno che sia, potrebbe pregiudicare o favorire l’esito regolare della revisione ministeriale. Un esempio è lo schema frenante di soccorso o il flag indicante la presenza del sistema ABS: il calcolo dell’efficienza frenante minima per superare il test si basa, fra i tanti, su quei parametri. Determinare la veridicità dei dati tecnici inseriti è molto semplice conoscendo il numero di omologazione, un codice alfanumerico quasi sempre riportato sulla carta di circolazione. La scheda tecnica riferita al codice contiene tutte le informazioni del veicolo trascritte durante la fase di omologazione: nulla è lasciato al caso. Ogni caratteristica diversa da quelle riportate sulla documentazione ufficiale è sicuramente frutto di un errore (o tentativo di contraffazione della revisione). |
Contraffazione generica della revisione |
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CONTROLLI VISIVI E PROVA GIOCHI (2) |
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2.1) Durata revisione anomala: tempo insufficiente per l’esecuzione della prova giochi |
I controlli visivi e la prova giochi sono gli unici test nei quali non viene registrata sul referto MCTC l’ora di inizio e fine in quanto coincide con l’intera durata della revisione. Se i controlli generali si possono ritenere effettivamente eseguibili durante lo svolgimento di altre prove, il controllo dell’avantreno no. E’ infatti necessario sollevare il veicolo sul ponte posizionando l’asta blocca freno, comandare il movimento delle piastre su cui stazionano le ruote anteriori ed osservare attentamente eventuali anomalie del sistema sospensioni. Dopo una verifica dell’integrità dei tubi freno ed un’occhiata generale al sottoscocca, il ponte sollevatore viene abbassato. Questa operazione, se ben condotta, richiede almeno 120 secondi. Considerando che il tempo è una grandezza inalterabile, è sufficiente sottrarre al lasso di tempo in cui si è svolta la revisione la durata di tutte le prove. Se la differenza si aggira intorno a pochi secondi, il test di fatto non è stato eseguito. Si segnala che la maggior parte dei centri di controllo considera le due prove in oggetto come un semplice pulsante (“conferma controlli” o simili) da premere sul PC stazione: nessun controllo effettivo sul veicolo. Non è un caso se numerosi automobilisti manifestano stupore nel vedere il proprio veicolo sollevato sul ponte durante la revisione ministeriale. L’introduzione di una procedura informatizzata potrebbe essere una soluzione per sensibilizzare gli operatori, ma molto probabilmente verrebbe trovata una escamotage per eluderla. |
Prova giochi non eseguita |
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2.2) Foto MCTC con inquadratura anomala |
I controlli visivi, come si evince dal nome, vengono eseguiti senza l’ausilio di strumentazione, quindi nessun referto può fornire informazioni utili al riconoscimento di un’eventuale prova irregolare. Tuttavia, dalla foto MCTC scattata in occasione della prova freni, è possibile risalire alle condizioni generali di carrozzeria, fanali e cristalli. Il grosso limite di questa analisi, nonché pretesto per eludere il sistema, è l‘impossibilità oggettiva di visionare contemporaneamente tutti e 4 i lati del veicolo. L’inquadratura della foto è disciplinata da regole rigide, ma pur sempre generiche: nessuna prescrizione vieta di fotografare una fiancata anziché un’altra, oppure il frontale anziché il posteriore. Di conseguenza, l’eventuale porzione di veicolo danneggiata viene omessa dalla foto MCTC, ma rimane traccia dell’evidente cambio di inquadratura rispetto all’ordinario. Si ritiene che questa anomalia non costituisca prova certa di frode in quanto la fotocamera può essere spostata in qualsiasi momento per altri motivi bonari (batterie scariche, problemi riconoscimento targa, riflessi ecc). Ciò nonostante, in caso di eventuali segnalazioni mirate, l’indizio potrebbe diventare determinante. |
Sospetta irregolarità nella porzione di veicolo non inquadrata |
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CENTRAFARI (3) |
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3.1) Efficienza luminosa faro dx=faro sx |
La prova fari per i veicoli equipaggiati con doppio fanale anteriore (dx e sx) viene svolta misurando l’efficienza di entrambi gli anabbaglianti/abbaglianti. Lo strumento (centrafari) viene spostato da un fanale all’altro per effettuare i rilievi e la conferma del valore definitivo viene trasmessa al PC stazione premendo un pulsante. I centrafari sono estremamente sensibili (Unità=1 Lux) e rilevano variazioni minime in rapporto ai limiti previsti dalla normativa vigente (generalmente 3750 Lux per l’anabbagliante, 20000 Lux per l’abbagliante). Considerando che: 1) Il fascio luminoso è ampio e disomogeneo, ma il sensore è puntiforme: la rilevazione varia a seconda della posizione del sensore rispetto al fascio (sensibilità millimetrica) 2) Un semplice contatto con lo strumento o uno spostamento millimetrico dello stesso genera una variazione significativa dei valori rilevati 3) I vari elementi che compongono il fanale (parabola, lampadine, ma in particolare la superficie esterna) subiscono un deterioramento indipendente dall’altra unità, quindi l’efficienza dei due fanali non potrà mai corrispondere perfettamente, soprattutto per i veicoli più datati. Nel caso in cui i valori di anabbagliante o abbagliante dx e sx dovessero coincidere – o variare di poche unità -, il test è con buona probabilità irregolare. |
Test eseguito su un unico fanale |
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3.2) Efficienza luminosa di veicoli datati (impianto elettrico 6V) abbondantemente superiore ai limiti di legge |
Alcuni veicoli datati non hanno le caratteristiche tecniche per superare la prova fari nonostante siano in ottimo stato di conservazione. In particolare, per i veicoli muniti di impianto elettrico 6V, è necessario accelerare il motore affinchè la dinamo generi più corrente per consentire alle lampadine abbaglianti di emettere luce a sufficienza. Utilizzando questa procedura, il veicolo rientra nei limiti previsti dalla legge, ma i massimi valori raggiungibili superano di poco i 20000Lux (limite minimo abbagliante). Se il veicolo non dovesse comunque raggiungere l’efficienza minima, spesso viene sostituito con uno più prestante, una torcia o addirittura un faro ausiliario simile a quello utilizzato dai tecnici in occasione delle tarature annuali della linea di revisione. Le operazioni eseguite con “astuzia” non sono individuabili tramite lettura del referto MCTC, ma il più delle volte vengono commessi errori grossolani dovuti a fretta ed inesperienza: valori di intensità luminosa troppo elevati per un veicolo datato sono indice di una probabile irregolarità (o di manomissione del veicolo). |
Test eseguito su veicolo muletto, faro ausiliario o torcia |
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PROVA FRENI (RICONOSCIMENTO TARGA) (4) |
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4.1) Massa del veicolo inferiore a quella dichiarata dal costruttore |
La “forza frenante” minima che consente ad un veicolo di superare la prova freni non è un valore assoluto, ma varia in funzione del peso. In sostanza, più un veicolo pesa, più la forza frenante richiesta per superare il test deve essere maggiore. Considerando che la forza frenante è difficilmente falsificabile in quanto misurata dal “banco prova-freni”, l’unico modo per aumentare (all’apparenza) l’efficienza frenante di un veicolo è con la riduzione del peso. Dopo l’esecuzione del test freni mediante banco a rulli (pasatura asse anteriore, misurazione forza frenante asse anteriore, pesatura asse posteriore, misurazione forza frenante asse posteriore), qualora l’efficienza dovesse risultare inferiore ai minimi termini previsti dalla legge, è sufficiente ripetere la pesatura parziale con l’asse più leggero (o con un altro veicolo). Così facendo, l’efficienza frenante del veicolo rientra nei limiti consentiti, ma la massa registrata risulta inferiore a quella dichiarata dal costruttore. Questo trucco viene impiegato principalmente per i veicoli molto pesanti (autocaravan, autocarri) aventi masse parziali degli assi similari. |
Irregolarità durante la fase di pesatura del veicolo: doppia pesatura dell’asse più leggero (o pesatura con altro veicolo) |
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4.2) Massa del veicolo inferiore a quella dichiarata dal costruttore |
Un’altra procedura per alterare la massa rilevata di un veicolo, chiaramente con l’intento di ridurla, è ingannando con un semplice trucco la pesa. Durante la fase di “autozero delle pese” (la cosiddetta “calibrazione” delle comuni bilance), nessuna massa dovrebbe gravare sullo strumento. Diversamente, il valore “0” della bilancia diventerebbe un valore negativo che sommato alla massa effettiva dell’asse comporterebbe la riduzione fittizia della stessa. È sufficiente che una persona stazioni sulle pese durante la fase di “autozero” per ridurre di 75Kg (massa media di una persona) X 2 (pesatura asse anteriore + pesatura asse posteriore) la massa di un veicolo. Con 150Kg in meno è molto più semplice raggiungere l’efficienza frenante minima richiesta dalla normativa per superare la revisione ministeriale. Nell’ambito dei motoveicoli in generale, la riduzione del peso è un’operazione molto più semplice in quanto la massa del conducente (operatore) influisce abbondantemente sulla massa totale del veicolo (basti considerare alcuni ciclomotori con tara inferiore a 80Kg). Durante la fase di pesatura dei due assi, è sufficiente che l’ispettore faccia gravare solo parzialmente il proprio peso sul veicolo per ottenere una considerevole diminuzione della massa complessiva registrata. |
Irregolarità durante la fase di autozero della pesa |
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4.3) Massa del veicolo superiore a quella dichiarata dal costruttore |
L’efficienza frenante posteriore è un punto critico della revisione ministeriale per alcune tipologie di autoveicoli (utilitarie, autocarri, veicoli pre-1990 in generale) . Senza entrare nello specifico, si può affermare che per una serie di ragioni tecniche, i sopra citati veicoli sono equipaggiati all’asse posteriore con freni a tamburo notoriamente meno prestanti degli anteriori “a disco”. Nel caso in cui l’efficienza frenante posteriore dovesse risultare insufficiente – o lo squilibrio tra il freno dx e sx troppo elevato -, l’asse posteriore viene testato con l’anteriore. Nonostante il protocollo MCTC NET 2 avrebbe dovuto eliminare questa prassi mediante l’introduzione della foto istantanea all’atto della frenata posteriore, in realtà, per alcuni banchi prova-freni, la foto non è così immediata. Questo breve lasso di tempo – pochi secondi – consente all’ispettore di raggiungere con l’asse anteriore un’efficienza frenante adeguata, uscire rapidamente dai rulli per poi rientrarvi con l’asse posteriore al momento dello scatto della foto. Il peso complessivo del veicolo risulta però più elevato in quanto l’asse anteriore (generalmente più pesante per la presenza del motore) viene pesato due volte. In alcuni casi, per eliminare ogni traccia dell’operazione, l’asse posteriore viene nuovamente pesato correttamente. |
Test freni posteriori eseguiti con l’asse anteriore |
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4.4) Massa del veicolo generalmente diversa da quella dichiarata dal costruttore |
Nonostante la fotocamera introdotta con il protocollo MCTC NET 2 avrebbe dovuto eliminare il fenomeno delle revisioni eseguite con il veicolo cosiddetto “muletto” (o perlomeno il relativo impiego durante la prova freni), alcuni casi sussistono. Se la massa del veicolo testato dovesse risultare diversa da quella indicata dal costruttore, molto probabilmente c’è un’irregolarità. Trattasi di un semplice campanello d’allarme, ma per avere più elementi di giudizio è necessario osservare attentamente la foto MCTC scattata automaticamente in occasione della prova-freni. |
Sospetto impiego di veicolo muletto, ma occorre visionare attentamente la foto MCTC (punti successivi *) |
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4.5) (*)Foto MCTC: inquadratura ravvicinata del veicolo (1) |
La foto MCTC è disciplinata da regole ben precise per quanto riguarda l’inquadratura, ovvero la posizione della fotocamera rispetto al veicolo ed al banco prova freni. Nonostante in svariate occasioni la foto potrebbe non rispettare appieno i requisiti a causa di problemi di “rilevamento targa” (la scansione della targa per verificarne la corrispondenza con i dati inseriti nel PC prenotazione), alcuni casi sono particolarmente anomali e meritano un approfondimento in quanto il veicolo sotto esame potrebbe non essere quello ufficialmente sottoposto a revisione ministeriale. Per mascherare questa irregolarità, la fotocamera viene spostata dalla consueta posizione inquadrando la parte posteriore del veicolo corretto, ma parcheggiato altrove. Naturalmente il banco prova freni non viene inquadrato in quanto il test viene eseguito con un veicolo muletto più efficiente. |
Test freni posteriori eseguiti con veicolo muletto |
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4.6) (*)Foto MCTC: inquadratura ravvicinata del veicolo (2) |
Senza ripetere il contenuto del punto precedente, il trucco dell’inquadratura ravvicinata potrebbe essere impiegato per mascherare l’impiego dell’asse anteriore durante il test relativo ai freni posteriori. Con foto ravvicinata, senza inquadratura del banco prova-freni come da regolamento, non è infatti possibile riconoscere quale asse del veicolo sia effettivamente sotto esame. |
Test freni posteriori eseguito con l’asse anteriore |
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4.7) (*)Foto MCTC: inquadratura ravvicinata del veicolo (3) |
L’inquadratura potrebbe essere estremamente ravvicinata per impedire l’individuazione del “tipo di veicolo” sottoposto a revisione. Il cosiddetto riconoscimento targa è una semplice scansione dei caratteri di testo contenuti all’interno dell’immagine (foto MCTC): se corrispondono alla targa del veicolo inserita tramite PC prenotazione, l’esito del test è automaticamente regolare. Il fenomeno delle revisioni eseguite con il libretto, ovvero senza portare il veicolo al centro di controllo, purtroppo è ancora molto attuale: è infatti sufficiente applicare la targa autentica sul veicolo “muletto” per falsificare l’intero controllo. Per camuffare l’irregolarità, la foto viene scattata posizionando la fotocamera in modo tale da inquadrare esclusivamente la targa del veicolo. |
Test freni posteriori eseguito con veicolo muletto (possibilità che il veicolo ufficialmente sottoposto a revisione non abbia mai raggiunto il centro di controllo) |
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4,8) (*)Foto MCTC: inquadratura di un banco prova freni diverso da quello abituale (centri multilinea) |
I centri di controllo multilinea hanno più di una linea di revisione, quindi diverse attrezzature tra cui i banchi prova-freni. Poniamo il caso di un centro con 2 linee, linea 1 e linea 2. Alla linea 1 corrispondono il banco prova freni n.1 e la fotocamera n.1, alla 2 il banco n.2 e fotocamera n.2. Se un veicolo dovesse risultare inefficiente al banco prova freni 1, per falsificare il test è sufficiente farlo stazionare con l’asse posteriore sul banco prova freni 2. La fotocamera 1 viene spostata in prossimità del banco prova freni 2, mentre sul banco prova freni 1 viene testato un veicolo “muletto”. Nonostante il veicolo effettivamente sotto esame non corrisponde a quello sottoposto ufficialmente a revisione ministeriale, la fotocamera 1 immortalerà il veicolo corretto posizionato nella linea 2. |
Test freni posteriori eseguiti con veicolo muletto |
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4.9) (*)Foto MCTC: rilessi anomali o sfocatura sospetta |
Una doverosa precisazione: anche foto MCTC relative a revisioni eseguite correttamente possono risultare sfocate o apparentemente anomale a causa della bassa qualità di alcune fotocamere, dello sporco residuo sull’obiettivo o di altri agenti atmosferici. Tuttavia, questa particolarità potrebbe essere il campanello dall’allarme per l’individuazione del trucco più ingegnoso (e illegale) in assoluto. Il veicolo con insufficienza frenante posteriore – o addirittura non presente in sede – viene fotografato con una comune fotocamera mentre staziona con l’asse posteriore sul banco prova freni o altrove. L’immagine viene trasferita su un tablet o monitor generico posizionato davanti alla fotocamera MCTC mentre la prova freni viene eseguita con un veicolo “muletto”. |
Test freni posteriori eseguito con veicolo muletto (possibilità che il veicolo ufficialmente sottoposto a revisione non abbia mai raggiunto il centro di controllo) |
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4.10) (*)Foto MCTC: anomalie palesi |
I meno furbi, se così si possono definire, non si curano nemmeno di mascherare le irregolarità durante la prova freni commettendo errori veramente grossolani. Alcune foto MCTC raffigurano veicoli che nel momento dello scatto si trovano nei rulli con l’asse anteriore o addirittura non corrispondono al “tipo di veicolo” indicato durante la fase di accettazione. Fanno da contorno targhe falsificate o direttamente scritte su pannelli di cartone. Nulla da aggiungere: in questi casi l’irregolarità è evidente e non lascia spazio a dubbi di alcun tipo. |
Test freni posteriori eseguito con veicolo muletto o con asse anteriore (possibilità che il veicolo ufficialmente sottoposto a revisione non abbia mai raggiunto il centro di controllo) |
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4.11) Foto MCTC: luce retro accesa (veicoli a trazione posteriore) |
Uno dei trucchi più diffusi per mascherare l’inefficienza della frenata posteriore (o lo squilibrio) è la simulazione mediante l’utilizzo della retro marcia. Il moto rotatorio delle ruote opposto a quello dei rulli genera un resistenza che viene interpretata dal software come una decelerazione, quindi una frenata. Naturalmente il trucco si può impiegare solo per i veicoli a trazione posteriore durante il test relativo all’asse posteriore. Se l’ispettore non è scaltro nel disinnestare la marcia, la foto MCTC immortala la luce della retro accesa, dimostrazione palese dell’irregolarità. Un’altra prova schiacciante dell’impiego di questo trucco è lo squilibrio di frenata tendente a 0: con la trazione motore, salvo condizioni particolari, le due ruote dello stesso asse girano approssimativamente alla stessa velocità. |
Test freni posteriori eseguito con retromarcia |
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4.12) Foto MCTC: veicolo palesemente decentrato sui rulli |
Per i veicolo con squilibrio frenante superiore al 30% (prova irregolare) esiste un metodo molto rudimentale per simulare la frenata. Il veicolo viene posizionato sui rulli in modo tale che la ruota con minor efficienza frenante sia a contatto con la struttura esterna del banco prova freni. L’attrito gomma-metallo causa una decelerazione della ruota che viene interpretata dal software come una frenata. In questo modo, l’efficienza frenante della ruota meno prestante risulta simile a quella più efficiente abbassando di conseguenza lo squilibrio sull’asse. Questo trucco, se eseguito per l’asse posteriore, lascia inevitabilmente traccia nella foto MCTC. |
Simulazione di frenata mediante contatto con la struttura del banco prova freni |
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4.13) Foto MCTC: veicolo decentrato sui rulli |
Un altro trucco per abbassare lo squilibrio frenante è tramite lo sgonfiaggio dello pneumatico montato sulla ruota che risulta meno prestante in termini di frenata. Il maggior attrito derivante dal contatto pneumatico sgonfio-rullo causa una decelerazione che viene interpretata dal banco prova-freni come una frenata vera e propria. Nonostante i valori del test registrati nel referto si possono considerare assolutamente in linea con una prova ben condotta, nella foto MCTC rimane traccia dell’irregolarità: il veicolo risulterà collassato sul fianco dello pneumatico sgonfiato. |
Simulazione di frenata mediante sgonfiaggio di uno pneumatico |
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4.14) Valori anomali di efficienza frenante per i veicoli datati |
E’ molto difficile, se non impossibile, quantificare con un criterio matematico questo aspetto. La regola è molto semplice: un veicolo datato è sicuramente equipaggiato con freni meno efficienti di quelli contemporanei, il più delle volte “a tamburo”. Questi impianti frenanti, se utilizzati sporadicamente (vedi veicoli d’interesse storico e collezionistico), diminuiscono di molto la resa in termini di efficienza a causa di numerosi fattori meccanici. Per queste categorie di veicoli, il test freni fatica a rientrare nei limiti previsti dalla legge: valori sproporzionati in termini di efficienza frenante dovrebbero quantomeno far sorgere qualche dubbio circa la corretta esecuzione della prova. Un’analisi dei punti precedentemente descritti potrebbe fornire qualche informazione in più utile a distinguere il “caso” dall’irregolarità. |
Sospetta irregolarità generica nella conduzione della prova freni |
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4.15) Sforzo pedale freno di stazionamento > 0 per veicoli muniti di freno di stazionamento elettronico |
Per i veicoli muniti di freno di stazionamento elettrico è impossibile rilevare lo “sforzo” tramite pedale pressometrico in quanto il freno si attiva manualmente premendo un pulsante. Alcuni software consentono – da protocollo – di non eseguire il test dello stazionamento poiché i valori rilevati potrebbero essere poco attendibili per cause di forza maggiore. Tuttavia, se nel referto MCTC di un veicolo con freno di stazionamento elettrico si registra un valore di sforzo maggiori a 0 , la prova è sicuramente irregolare in quanto: 1) il pedale pressometrico è stato utilizzato esercitando uno sforzo con la mano o altro mezzo 2) il test è stato eseguito con il freno di servizio (pedale del freno). |
Pedale pressometrico azionato con la mano (o con altro mezzo) |
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4.16) Presenza gancio traino omessa |
La presenza del gancio di traino è uno dei fattori che determina i limiti della prova freni. In sostanza, se un veicolo è munito di gancio di traino, deve avere una frenata più efficiente. Considerando che questo particolare è registrato negli archivi pubblici poiché l’installazione del dispositivo è soggetta ad obbligo di collaudo presso la Motorizzazione, è relativamente semplice individuare i casi in cui il dato è stato omesso. Allo stesso modo,qualora dovesse intravedersi dalla foto MCTC il gancio di traino, è possibile verificare se la modifica sia stata effettivamente sottoposta a visita e prova ai sensi dell’art.78 del C.d.S.. Si segnala che l’inserimento di dati relativi alla prova freni non corrispondenti al vero è una prassi diffusa per consentire a veicoli poco efficienti di superare con semplicità il controllo. |
Inserimento dati falsificato per semplificare il superamento della prova freni |
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ANALISI GAS (5) |
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5.1) Valori di CO2 diversi da: 1) 15% (+-1%) benzina 2) 13% (+-1% GPL) 3) 11% (+-1%) CNG |
L’analisi dei gas di scarico è sicuramente la prova più falsificata in assoluto a causa della combinazione dei seguenti fattori: 1) Le spese di riparazione a fronte dell’esito irregolare spesso sono molto onerose per i clienti (sostituzione catalizzatore, rifacimento motore, sonde/sensori vari ecc..), ma paradossalmente poco redditizie per l’autofficina 2) In Italia è poco diffusa la cultura dell’ambientalismo: l’inquinamento non viene percepito nè dall’utenza, nè dagli addetti ai lavori come un pericolo. 3) L’esito della revisione ministeriale attribuito ai veicolo inquinanti viene ritenuto troppo severo dagli automobilisti (“sospeso dalla circolazione” anzichè “ripetere”). La falsificazione di questo test è molto semplice in quanto non vengono impiegati particolari stratagemmi: è sufficiente sostituire al veicolo inquinante uno in regola con le emissioni. Questa pratica può lasciare o meno traccia nel referto MCTC a seconda del tipo di “muletto” impiegato. Se le caratteristiche dei due veicoli corrispondono (alimentazione, normativa gas di scarico di riferimento), il trucco passa inosservato, altrimenti tramite lettura dei valori rilevati si può quantomeno sospettare un’irregolarità. Le tre alimentazioni testabili con l’analizzatore gas di scarico sono Benzina, GPL e CNG. Ciascun combustibile ha dei livelli caratteristici* di CO2: 1) Benzina – 15% (+-1%) 2) GPL -13% (+-1%) 3) CNG – 11% (+-1%). Referti MCTC contenenti valori anomali potrebbero indicare l’utilizzo di un “muletto” con alimentazione diversa da quella del veicolo corretto. (*) Si segnalano tuttavia l’esistenza di veicoli malfunzionanti, ma comunque in regola con le emissioni, aventi valori di CO2 corrispondenti ai livelli caratteristici di altre alimentazioni. I valori sopra indicati sono riscontrabili principalmente per gli autoveicoli catalitici (post-direttiva 911/41CE) con motore, elettronica e linee di scarico in piena efficienza. |
Test eseguito con veicolo muletto avente diversa alimentazione |
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5.2) Veicoli Bifuel: livelli di CO2 alimentazione benzina = GPL (o CNG) |
Se i valori riportati al punto precedente sono da considerarsi puramente indicativi in quanto le variabili in gioco sono molteplici (stato del motore, tipo di analizzatore gas, taratura strumento ecc..), per i veicoli a doppia alimentazione la lettura del referto MCTC è determinante. Sono frequenti i veicoli bifuel che superano la prova con alimentazione benzina, ma non quella a GPL (o CNG). Fra le principali cause la scarsa qualità delle componenti aftermarket degli impianti e la decisione da parte degli automobilisti di non investire soldi per la riparazione di eventuali guasti relativi alla seconda alimentazione scelta appunto per “risparmiare”. Per consentire ai suddetti veicoli di superare la revisione, l’analisi gas viene eseguita senza commutare l’alimentazione, ovvero passare da un combustibile all’altro. Nonostante la prova risulti agli atti “regolare”, sul referto MCTC i valori percentuali di CO2 coincidono per entrambe le alimentazioni (presumibilmente +-15%). |
Doppio test eseguito senza commutare alimentazione | |
5.3) Valori genericamente inferiori a quelli statisticamente corretti |
In linea di massima, la regola è molto semplice: un veicolo recente, ovvero omologato secondo una normativa antinquinamento molto stringente, se malfunzionante può inquinare come uno più datato, ma viceversa è impossibile. Sempre facendo riferimento ai cosiddetti “muletti” impiegati per falsare l’analisi gas di scarico, nel caso in cui il veicolo effettivamente testato sia troppo recente rispetto a quello ufficialmente sottoposto a revisione ministeriale, nel referto ne rimane traccia. Purtroppo è molto difficile stabilire un criterio matematico per valutare al meglio questo aspetto, ma sarebbe molto utile un approfondimento tecnico a riguardo. Durante l’analisi gas di scarico generica vengono misurati principalmente 6 parametri, ovvero i livelli di alcuni prodotti della combustione o valori derivanti da essi. Nello specifico si fa riferimento alla concentrazione di CO, CO Corretto, CO2, O2, HC incombusti e valore Lambda. Solo confrontando tutti e 6 i parametri è possibile stabilire con alto grado di probabilità la veridicità o meno del test tracciando un identikit del veicolo effettivamente sottoposto alla prova (2T o 4T / iniezione o carburatore / catalitico o non catalitico ecc..). Si segnala inoltre che da protocollo alcuni valori non vengono riportati nel referto complessivo vanificando ogni possibilità di determinare con certezza le caratteristiche del veicolo testato (HC incombusti in particolare per i veicoli non catalitici). |
Test eseguito con veicolo muletto più recente di quello ufficialmente sottoposto a revisione |
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5.4) Veicoli non catalitici: livelli di CO inferiori allo 0,2% |
Nonostante gli autoveicoli non catalitici abbiano dei valori limite diversi da quelli omologati secondo le normative antinquinamento più recenti, non sempre hanno i parametri in regola per la revisione ministeriale (carburazione grassa, guasto elettrico ecc..). Se il “muletto” impiegato per falsare il test dovesse rispondere alla normativa 91/411CEE o successive, nel referto ne rimane inevitabilmente traccia. É infatti assolutamente impossibile che un veicolo senza catalizzatore abbia una percentuale di CO paragonabile a quella emessa dai veicoli contemporanei (tendente a 0 o generalmente inferiore a 0,2%), altrimenti non si spiegherebbe la funzione del dispositivo stesso. |
Test eseguito con veicolo muletto più recente di quello ufficialmente sottoposto a revisione |
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5.5) Veicoli non catalitici: livelli di CO anomali |
Sempre citando i veicoli non catalitici soggetti ad analisi gas al regime di minimo, valori anomali di CO potrebbero derivare da un’errata condizione della prova, chiaramente con l’intento di taroccarne il risultato. Accelerando il motore, i livelli di alcuni prodotti della combustione calano, ma la normativa parla chiaro: il test va eseguito a meno di 1000rpm. Per falsificare il numero di giri, si ricorre all’inserimento manuale, quindi nel referto complessivo il dato è contrassegnati dal carattere “#”. Esistono strumenti che consentono di eludere la rilevazione dei giri o metodi piuttosto artigianali per simulare la rotazione del motore, ma nel referto MCTC non ne rimane traccia. |
Test eseguito accelerando il veicolo e falsificando la rilevazione dei giri motore | |
5.6) Veicoli pre-1994 (introduzione della tecnologia OBD 2): giri rilevati tramite OBD2 |
I giri motore possono essere rilevati con diversi dispositivi a seconda delle caratteristiche del veicolo sotto esame (segnale batteria, vibrazione, OBD2 ecc..). Nulla vieta di utilizzare un metodo anziché un altro e nessuna nota specifica nel referto MCTC quale strumento è stato impiegato per il rilievo. Tuttavia, i vari dispositivi hanno un diverso grado di precisione: l’interfaccia OBD2 ha una sensibilità che consente di misurare le unità mentre gli altri strumenti si fermano alla decina. In sostanza, il referto di un veicolo i cui giri al minimo sono stati rilevati tramite OBD potrà riportare il valore 856, 851 oppure 859 e così via. Se i giri invece fossero stati misurati in altro modo, da 850 si passerebbe direttamente ad 860 senza valori intermedi. Questa premessa è utile a dimostrare che nel caso in cui un referto MCTC di veicolo antecedente al 1996 (1994 per essere certi – introduzione della tecnologia OBD2) dovesse contenere valore di giri non approssimati alla decina, il veicolo sottoposto all’analisi gas è sicuramente un “muletto” più recente. |
Test eseguito con veicolo muletto | |
5.7) Data di esecuzione della revisione precedente alla data del collaudo del serbatoio GPL (o della prenotazione di collaudo) |
I veicoli alimentati a GPL sono soggetti ad obbligo di sostituzione del relativo serbatoio al decimo anno dalla data di prima immatricolazione/collaudo dell’impianto. Per essere in regola, l’operazione deve essere seguita da visita e prova ai sensi dell’art. 78 del C.d.S. ad opera dei funzionari della Motorizzazione Civile. Incrociando l’archivio delle revisioni ministeriali con quello dei collaudi, è possibile individuare le revisioni con esito “regolare” nonostante il serbatoio scaduto. Una circolare ministeriale consente comunque di revisionare il veicolo previa sostituzione del serbatoio e prenotazione del collaudo, ma è necessario allegare al referto complessivo i documenti che lo attestano. Le prenotazioni di collaudo sono sempre gestite dalla Motorizzazione Civile, pertanto è comunque valida la procedura sopra descritta. Questo tipo di controllo si può estendere ai veicolo alimentati a Metano equipaggiati con bombole CNG-4. |
Revisione eseguita con serbatoio scaduto |
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5.8) Durata revisione anomala: orario sospetto inizio/fine analisi |
Generalmente l’eccessiva durata della revisione ministeriale è un fattore positivo in quanto denota il ripristino alle condizioni di sicurezza del veicolo. Tuttavia, nel caso di anomalie relative a motore, elettronica o linea di scarico, salvo casi particolari*, le riparazioni sono caratterizzate da tempi molto lunghi. Il guasto deve essere individuato tramite diagnosi (o prova generica) e il componente difettoso prima reperito, poi sostituito. È veramente poco probabile che questa serie di operazioni avvenga in poche decine di minuti, lasso di tempo compatibile con la ricerca e posizionamento del veicolo muletto da sottoporre al test. Naturalmente si tratta di una semplice supposizione, ma nel caso in cui questa situazione si dovesse verificare parallelamente ad altre presunte irregolarità, il dato potrebbe diventare determinante. (*)Sostituzione candele, carburazione rapide tramite regolazione del carburatore. |
Sospetto impiego di veicolo muletto |
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OPACIMETRO (6) | |||
6.1) Valori di opacità K rilevati troppo bassi per veicoli datati |
Si ribadiscono le premesse poste per quanto riguarda l’analisi gas (punto 5,1), ma è doveroso citare la questione DPF (filtro antiparticolato). Il dispositivo è installato su tutti gli autoveicoli diesel omologati secondo la normativa EURO 5/6 e sulla maggior parte degli EURO 4, ma per le ragioni di seguito elencate viene rimosso da numerosi automobilisti: 1) La rimozione del DPF, se accompagnata dalla rimappatura della centralina motore, può incrementare significativamente la potenza del veicolo 2) Il malfunzionamento di alcune tipologie di DPF potrebbe indurre il motore all’autocombustione 3) Veicoli muniti di DPF impiegati principalmente per brevi tragitti o in pessimo stato di manutenzione sono frequentemente soggetti a guasti. Un’altra doverosa precisazione riguarda l’opacimetro, ovvero lo strumento con il quale viene analizzata la “fumosità” di un veicolo diesel. Senza entrare troppo nello specifico, “l’analisi opacità” è una prassi obsoleta in quanto con l’introduzione su larga scala del PDF (dal 2005!) i valori rilevati corrispondono quasi sempre a 0. Con filtro antiparticolato, posto che funzioni correttamente, è assolutamente inutile misurare i livelli di particolato, ma sarebbe opportuno quantificare, ad esempio, i livelli di NoX. Ad ogni modo, se i risultati dovessero superare il limite consentiti (o nel caso il DPF sia stato effettivamente rimosso), il trucco è sempre il medesimo: muletto efficiente e prova contraffatta. A differenza dell’analisi gas, considerando l’imprecisione dello strumento, è difficile tracciare un identikit del veicolo testato: si può generalmente affermare che valori troppo bassi di opacità per un veicolo datato sono sospetti, ma rimane una semplice supposizione con basso grado di attendibilità. |
Sospetto impiego di veicolo muletto per l’esecuzione del test |
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6.2) Valori di opacità K rilevati da 0,00 a 0,10 per veicoli sprovvisti di DPF |
L’unica certezza, nonostante l’imprecisione dell’opacimetro, è l‘impossibilità per un veicolo non munito di filtro antiparticolato di avere emissioni pari a 0. Questa affermazione si traduce in valori di opacità che variano da K=0 a K=0,10, il livello medio di fumosità caratteristico dei veicoli euro 5/6 in piena efficienza. I sopra citati valori all’interno di un referto MCTC relativo ad un veicolo pre-2005 dimostrano con alto grado di probabilità l’impiego di un “muletto” per l’esecuzione del test. |
Test eseguito con veicolo muletto |
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6.3) Valore anomalo di limite K inserito manualmente dall’operatore |
A differenza dell’analisi gas, la prova opacità può essere falsificata dall’operatore intervenendo sui valori limite. Nonostante le principali macro categorie di riferimento su base normativa antinquinamento siano 4 (nessuna normativa, 72/306CE pre 1980, 72/306CE post 1980 e 98/69CE), i limiti di opacità non sono fissati di conseguenza, ma variano da veicolo a veicolo. Nello specifico, il valore K limite è scritto su una targhetta posizionata sul veicolo oppure è riportato sulle carte di circolazione più recenti (valore V.6). Il valore viene inserito manualmente dall’operatore da PC Prenotazione ed il software che gestisce l’opacimetro lo utilizza come limite massimo. É sufficiente inserire un valore più alto di quello effettivo per consentire a veicoli inquinanti di superare il test. Naturalmente, nel referto complessivo rimane traccia dell’irregolarità in quanto il K limite viene riportato tra i dati della prova. |
Falsificazione dei dati della prova |
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6.4) Inserimento del limitatore di giri fra i dati tecnici del veicolo |
Un altro trucco concettualmente simile a quello sopra descritto è l’alterazione dei dati tecnici mediante dichiarazione di presenza del “limitatore di giri” da PC prenotazione. Molto brevemente, la procedura per misurare l’opacità consiste nell’accelerazione del motore ad un regime superiore ai 3500rpm per 3 volte consecutive mentre l’opacimetro si trova collegato al tubo di scarico. Nel caso in cui il veicolo sia effettivamente munito di limitatore di giri – quindi impossibilitato a superare i 2500rpm – il test viene condotto di conseguenza. Inutile sottolineare che il particolato emesso da un veicolo accelerato al massimo regime sia nettamente superiore a quello riscontrato ad un regime intermedio, ma la modalità di esecuzione del test non è a discrezione dell’operatore. Misurare la fumosità ad un regime diverso da quello previsto comporta l’invalidazione dei risultati. |
Falsificazione dei dati della prova |
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6.5) Risultati del test anomali |
Il “piede” dell’ispettore è determinante per i risultati della prova di opacità. In sostanza, più il pedale del gas viene pigiato rapidamente (accelerata brusca), maggiori saranno i valori riscontrati. Se la prova viene condotta come da manuale, i tre valori K registrati dovrebbero avere una grandezza decrescente secondo l’ordine di esecuzione. Con ogni accelerata a fondo, buona parte del particolato residuo nello scarico viene espulso definitivamente, quindi non influisce nella misurazione successiva. Diversamente, quando l’acceleratore viene premuto delicatamente per facilitare il superamento della prova, i valori rilevati non sono soggetti a relazioni matematiche. |
Sospetta irregolarità generica nella conduzione della prova |
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6.6) Veicoli pre-1994 (introduzione della tecnologia OBD 2): giri rilevati tramite OBD2 |
Vedi analisi gas, punto 5.6. |
Test eseguito con veicolo muletto |
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FONOMETRO (7) |
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7.1) Valori rilevati troppo elevati rispetto al metodo di conduzione della prova |
L’analisi della rumorosità allo scarico è caduta in disuso da quando resa facoltativa, pertanto non è soggetta ad irregolarità particolari. L’unico test fonometrico obbligatorio rimasto in vigore è quello relativo all’avvisatore acustico, una semplice misurazione dei decibel emessi del dispositivo ad una distanza nota. Se la prova non dovesse essere regolare, per falsificarla è sufficiente produrre un qualsiasi rumore che emuli l’avvisatore acustico. La simulazione più diffusa è quella mediante battito di mani o fischio, ma l’operazione deve essere ben calibrata per non destare sospetto. I limiti minimi per l’avvisatore acustico sono di 80db misurati a 30 metri per gli autoveicoli omologati secondo la normativa T.U. 393/59 (generalmente veicoli pre-1980) e 93db a 7 metri per gli altri. In sostanza l’efficienza minima del dispositivo è la medesima, ma cambiano le modalità di esecuzione della prova*. I risultati medi del test variano di conseguenza: a 30 metri, considerando anche l’età dei veicoli sottoposti a questo tipo di prova, vengono rilevati valori ampiamente inferiori rispetto a quelli misurati alla distanza di 7. Le anomalie più evidenti riguardano l’ambito dei motoveicoli d’epoca caratterizzati da clacson particolarmente flebili (limite di 70dB/75dB/80dB a 30mt). Ad esempio, un presunto valore rilevato a 30 metri di 100 dB corrisponde a 112dB a 7 metri, il rumore emesso da una motosega alla distanza di 1 metro. Questi rilievi si potrebbero considerare senza ombra di dubbio palesemente falsi. (*)Secondo le formule della propagazione del suono, 80 db a 30mt corrispondono a 92,6 dBa 7 mt. |
Prova eseguita con simulazione dell’avvisatore acustico |
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PNEUMATICI (8) |
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8.1) Foto MCTC: pneumatici palesemente usurati o diversi sullo stesso asse |
La cosiddetta prova pneumatici non viene eseguita con l’ausilio di strumentazione elettronica, ma consiste nella compilazione digitale di un breve rapporto. Per ogni pneumatico viene inserita la marca, il modello, la misura e lo spessore del battistrada. Nessun parametro può lasciare intendere la veridicità o meno della dichiarazione dell’ispettore, se non la foto MCTC. Tuttavia, è molto difficile rilevare l’effettiva altezza del battistrada o la corrispondenza degli pneumatici sullo stesso asse considerando la scarsa qualità dell’immagina: è possibile individuare solo i casi più palesi. |
Test falsificato dall’operatore |
Non capita tutti i giorni di avere sotto ai ferri una Rolls Royce o una Bentley d’annata, ma è un’esperienza didattica che auguro a tutti i colleghi ispettori appassionati di meccanica. Motori di cubatura esagerata, interni con finiture di pregio e soluzioni all’avanguardia, ma la vera chicca è l’impianto frenante a dir poco sensazionale, un sistema talmente complesso da stimolare la curiosità di chiunque avrà la fortuna di venirne a contatto.
–L’auto prediletta dalla Royal family doveva assolutamente frenare in sicurezza, altrimenti cosa avrebbe detto la sovrana Elisabetta II?- Ebbene sì, quando venne commercializzata la prima Rolls Royce Silver Shadow (1965), l’attuale regina del Regno Unito era già in carica da oltre dieci anni. Storia a parte, 20q.li di veicolo equipaggiato con un 6000cm3 da 250Km/h non erano semplici da arrestare ed un impianto frenante convenzionale degli anni 60′ sarebbe stato inadeguato di norma e pericoloso nei casi di emergenza, ma arriviamo al dunque. L’auto in questione è una Rolls Royce Silver Spirit dell’84’ (immagine di destra) che condivideva la concezione dello schema frenante con la già citata Silver Shadow e le altre ammiraglie della casa come la Silver Wraith II, la Camargue, la Corniche e le rispettive gemelle* marchiate Bentley.
*Con l’acquisizione di Bentley negli anni 30′ da parte di Rolls Royce, la prestigiosa casa fu ridotta a una sorta di marchio secondario per la produzione di repliche dei propri modelli più diffusi. Con la cessione del marchio a Volkswagen negli anni 90, Bentley uscì dall’anonimato ritornando la degna rivale di Rolls Royce grazie alla commercializzazione di ricercate automobili di lusso esclusive.
Il primo controllo utile all’identificazione dello schema frenante di soccorso indispensabile per procedere alla revisione ministeriale è l’analisi della pompa freno (leggi approfondimento freno di soccorso), ma ispezionando il vano motore si nota immediatamente uno strano congegno simile alle primitive pompe ABS degli anni 80′ (immagine di sinistra). Inutile ogni tentativo di seguire il percorso dei tubi in ingresso/uscita da questo elemento: per capirci qualcosa occorre un’altra strategia, quindi sollevo il veicolo sul ponte alla ricerca di nuovi indizi. Sorpresa! Doppia pinza freno per singolo disco all’avantreno (immagine 1), un sistema paragonabile a quello impiegato per l’asse posteriore delle supersportive contemporanee munite di freno di stazionamento idraulico (Audi R8, Lambrorghini Aventador ecc..), ma in questo caso si tratta del freno di servizio: le pinze sono identiche. Diversamente, al retrotreno sono installate pinze freno a doppio tubo simili a quelle delle gloriose berline Lancia anni 70 con impianto frenante Superduplex (leggi approfondimento) o dei furgoni anni 90′ (leggi approfondimento), ma in entrambi casi sono installate esclusivamente all’asse anteriore (freno di soccorso HT).
A rigor di logica, ipotizzando circuiti indipendenti per i due tubi che arrivano ad ogni singola ruota (all’avantreno uno per pinza, al retrotreno due per ogni pinza), si può dedurre uno schema frenante di soccorso HH, un sistema tanto sicuro quanto complesso, almeno in linea teorica. Con la rottura di un tubo freno periferico (1 di 8), tutte le ruote frenerebbero ugualmente, ma con una minor efficienza poichè uno dei due circuiti sarebbe depressurizzato (notare dall’immagine sottostante che entrambi i circuiti raggiungono le 4 ruote).

A dire il vero, il modello presentato è una semplificazione quasi oltraggiosa nei confronti dell’ingegnoso sistema idraulico progettato dai tecnici della Rolls Royce negli anni sessanta (fonte www.rrsilvershadow.com). Innanzitutto, i circuiti indipendenti sono 3 – sistema triplex -, due principali ad alta pressione ed uno secondario a bassa pressione (Rolls Royce Silver Shadow):
- Il circuito principale 1, come nel diagramma soprastante, è composto dalla pinza anteriore destra, anteriore sinistra e dai freni posteriori.
- Il circuito principale 2 invece, diversamente delle previsioni, è composto solamente dalla rimanente pinza anteriore destra e sinistra.
I due circuiti principali ad alta pressione rappresentano di fatto uno schema di soccorso HT, ma il terzo circuito indipendente a bassa pressione composto dai freni dell’asse posteriore rende il sistema più simile ad un atipico “HH”. L’alta pressione dell’impianto principale è generata da due pompe azionata dagli alberi a camme, quindi premendo il pedale del freno di fatto si aprono le valvole che consentono all’olio idraulico già in pressione di raggiungere i pompanti delle pinze freno. Il terzo circuito a bassa pressione ha un funzionamento simile a quello delle pompe freno convenzionali, ma per comprendere a fondo questo sistema vi consiglio di visitare il sito di Marinus RIjkers precedentemente citato. Nell’immagine sottostante, un diagramma integrale dell’impianto idraulico della Rolls Royce Silver Shadow che differisce in alcuni particolari da quelli installati sui modelli successivamente commercializzati dalla nota casa britannica.




GPL (Gas di Petrolio Liquefatto) e CNG (Compressed Natural Gas), impropriamente chiamato “metano”, sono due combustibili alternativi alla benzina impiegati per l’autotrazione sin dagli anni 40′ (foto di destra), ma diffusi su larga scala nel ventunesimo secolo grazie al basso costo ed al minor impatto ambientale rispetto ai più comuni derivati del petrolio. Le proprietà simili rendono i tre carburanti interscambiabili sulla maggior parte dei propulsori ad accensione comandata, tanto che alcuni veicoli hanno una doppia alimentazione alternata pur avendo un unico motore: si tratta delle auto bifuel (o bivalenti-bicarburante), il primo esempio di utilizzo di combustibili non convenzionali. Gli impianti GPL/CNG aftermarket venivano – e vengono tutt’ora – installati sui veicoli nati a benzina principalmente per abbattere i consumi, ma negli ultimi 20 anni sempre più case automobilistiche hanno cavalcato questa tendenza immettendo sul mercato vetture bivalenti svincolando l’automobilista dagli oneri dell’eventuale trasformazione. L’ultima novità in materia è il veicolo monofuel (o monovalente-monocarburante), la risposta green alle norme antinquinamento sempre più stringenti grazie all’impiego di propulsori ottimizzati alla combustione di miscele gassose, in particolare CNG.
Per definizione, «Un veicolo è considerato monocarburante» se, dopo l’operazione di trasformazione, è concepito essenzialmente per funzionare in permanenza a GPL o a GNC, ma può ancora avere un sistema a benzina per le situazioni di emergenza con una capacità del serbatoio della benzina non superiore a 15 litri. «Un veicolo è considerato bicarburante» se, dopo l’operazione di trasformazione, è dotato di un impianto di stoccaggio del gas e di un impianto separato di stoccaggio della benzina, con una capacità superiore a 15 litri, ed è concepito per funzionare utilizzando un solo carburante per volta. L’impiego contemporaneo di entrambi i carburanti è limitato nella quantità o nella durata (2.2.3/2.1.4 del Regolamento UN/ECE n.115 – link).
La totale indipendenza fra i sistemi di alimentazione che equipaggiano un veicolo viene confermata dalla circolare prot.n.14998/23/30 che consente la circolazione con impianto GPL/CNG non ancora collaudato con art.78 del c.d.s.: “[..]Si osserva che un impianto di alimentazione GPL o CNG non incide sul sistema di alimentazione originario e, tra l’altro, in assenza di GPL o CNG è sempre assicurato il funzionamento del veicolo con l’originario sistema di alimentazione [..] Si ritiene che possa essere consentita la circolazione di un veicolo al quale sia stato installato un impianto di alimentazione GPL o CNG, in attesa della prescritta visita e prova per l’aggiornamento della carta di circolazione, nelle seguenti condizioni:
- L’impianto sia stato installato da una ditta autorizzata
- Il veicolo circoli solo ed esclusivamente con il sistema di alimentazione originario e con il/i serbatoio/i di GPL o CNG vuoto/i
- Sia stata prenotata la visita e prova, per l’aggiornamento della carta di circolazione, presso il competente Ufficio della Motorizzazione Civile UMC.
Conseguentemente, a bordo del veicolo dovranno essere tenuti, tra gli altri, i seguenti documenti:
- La consueta dichiarazione della ditta installatrice dell’impianto di seconda alimentazione GPL o CNG [..] riportante in calce la seguente annotazione: “avvertenza, fino all’esito positivo della visita e prova presso il competente Ufficio Motorizzazione Civile l’impianto di alimentazione a GPL o CNG non può essere utilizzato deve circolare con il/i serbatoio/i vuoto/i. [..]
- La “COPIA DICHIARANTE” della domanda di aggiornamento della carta di circolazione [..] riportante nel retro l’annotazione della prenotazione della visita e prova con l’indicazione della data e del luogo ove la stessa verrà effettuata. [..]
Dopo il collaudo presso la Motorizzazione Civile il nuovo sistema di alimentazione diventa a tutti gli effetti parte del veicolo e viene annotato sulla carta di circolazione con talloncino adesivo (immagine 1) o tra le note a pagina 3/4 nel caso di ristampa del documento (immagine 2). Per i veicoli bivalenti dall’origine non sono trascritti i dettagli dell’impianto, ma alla voce P.3 della carta di circolazione sono annotate entrambe le alimentazioni.



Il timbro dell’autofficina nella quale è stato installato l’impianto di seconda alimentazione presente in alcune carte di circolazione (immagine 3) non sostituisce il talloncino adesivo attestante il collaudo, in particolare se risulta incompleto (spazi in bianco – nessun timbro della UMC). In passato le ultime righe del timbro venivano compilate manualmente dal funzionario della Motorizzazione Civile all’atto della visita e prova ai sensi dell’art.78 c.d.s. e questa operazione era valida come aggiornamento del libretto e quindi delle caratteristiche del veicolo.
L’impianto GPL o CNG è periodicamente sottoposto a controlli visivi ed analisi delle emissioni in occasione delle revisioni ministeriali, ma a prescindere da ciò i serbatoi comunemente chiamati “bombole” hanno una scadenza entro la quale vanno sostituiti per ragioni di sicurezza. I primi riferimenti normativi riguardanti le revisioni dei serbatoi contenenti miscele gassose risalgono al decreto regio 12 Settembre 1925 (link)(esempio tabella) che, dopo numerose integrazioni, prescrive una periodicità di 10 anni per i controlli dei contenitori di GPL e 5 per quelli di CNG approvati secondo le norme nazionali DGM. La proroga della scadenza al termine dell’anno solare (31/12) per quanto riguarda il GPL si riferisce a bombole munite di certificato proprio e ormai obsolete: dal 1° Gennaio 2001 gli unici serbatoi GPL in commercio rispondono alla normativa europea UN/ECE N.67-01 (link) e l’esatta periodicità della sostituzione – sempre decennale – è disciplinata dalla circolare n. B76/2000MOT (link): “[..]Si precisa che il decimo anno di utilizzo deve intendersi decorrente:
- dalla data del collaudo dell’impianto, quando l’installazione di quest’ultimo è successiva alla prima immatricolazione del veicolo;
- dalla data della prima immatricolazione del veicolo, se questo è allestito sin dall’origine con impianto GPL che quindi è previsto in omologazione [..]
Dopo la sostituzione della bombola da parte di un’autofficina autorizzata avviene il collaudo ai sensi dell’art.78 presso la Motorizzazione Civile ed il nuovo serbatoio viene riportato sulla carta di circolazione tramite un talloncino adesivo (immagine 4).

Considerando il protrarsi dei tempi di attesa per i collaudi, con circolare prot.22151 div3/H (link) il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ribadisce quanto precedentemente deliberato con la circolare prot.n.14998/23/30 sopra citata: “Al fine di uniformare le diverse disposizioni impartite, si consente che un veicolo, su cui sia stato istallato un impianto GPL/CNG o sia stata sostituita una bombola, possa essere sottoposto a revisione ex art 80 CdS, prima della data di effettuazione della Visita e prova, purché regolarmente prenotato per il relativo collaudo.” La precedente circolare 42715 del 10/8/2017 (link) precisa i documenti necessari per essere in regola prima del collaudo:
- [..]”Dichiarazione sottoscritta della ditta installatrice riportante l’annotazione: “avvertenza: fino al’esito positivo della visita e prova presso il competente Ufficio Motorizzazione Civile l’impianto di alimentazione GPL o CNG non può essere utilizzato deve circolare con il serbatoio vuoto.
- Modulo TT2119 debitamente registrato e riportante la prenotazione della visita e prova (immagine 5)[..]”
Nota operativa per ispettori: A livello software è sufficiente modificare i campi relativi all’alimentazione del veicolo omettendo la “seconda alimentazione” ed inserire una nota con riferimento ai due documenti sopra citati da allegare al referto complessivo.

Diversamente dai serbatoio per il GPL, le bombole CNG dopo la scadenza vengono revisionate dal GFBM (Gestione Fondo Bombole Metano) e sostituite dalle autofficine autorizzate con altre di rotazione già riqualificate senza l’obbligo di visita e prova presso la Motorizzazione Civile. Come già precisato, le bombole CNG con omologazione nazionale DGM (generalmente presenti su veicoli nati monofuel e successivamente trasformati) devono essere revisionate ogni 5 anni con riferimento alla targhetta GFMB (immagine 6) ed hanno una durata massima di 40 anni dalla data di costruzione.

N.B. È fondamentale verificare che il cartellino GFMB sia compilato in tutte le parti, ma nello specifico non deve MAI mancare il timbro dell’installatore. Alcune autofficine a cui viene commissionata la sostituzione delle bombole non effettuano realmente l’operazione producendo documentazione falsa con l’astuzia di omettere i dati identificativi per ovvie ragioni. Nei casi di presunta truffa verificare sulla bombola in prossimità della valvola la presenza (o meno) della punzonatura attestante l’effettiva riqualificazione (immagine di destra).
Le bombole con omologazione internazionale normate dal regolamento ECE/ONU R.110 (link) equipaggiano i veicoli bivalenti sin dall’origine (presenti anche su alcuni veicoli trasformati) e sono così categorizzate:
- “CNG-1: in metallo
- CNG-2: anima metallica rinforzata con filamento continuo impregnato di resina (ricopertura circonferenziale) [principalmente installate su veicoli pesanti]
- CNG-3: anima metallica rinforzata con filamento continuo impregnato di resina (interamente ricoperti) [principalmente installate su veicoli pesanti]
- CNG-4: filamento continuo impregnato di resina con un’anima non metallica (interamente in materiale composito).”
Inizialmente la periodicità della revisione delle suddette bombole che hanno una durata massima di 20 anni era disciplinata dalla circolare prot.n.3171 MOT2/C (link): “[..]Il regolamento prescrive che le bombole in esercizio debbano essere sottoposte a verifiche periodiche (revisioni) ogni 36 mesi, ad ogni successiva installazione e nel caso siano state interessate da un danno esterno o un deterioramento includendo, tra gli elementi da verificare, anche gli organi di fissaggio. [..]” Con circolare prot.n. 131 MOT/2 C (link) cambiano le scadenze: “[..]La disposizione della circolare prot.n.3171 MOT2/C del 19/9/2005, che prevedeva che le bombole in esercizio dovessero essere sottoposte a verifiche periodiche (revisioni) ogni 36 mesi, è modificata nel senso che le stesse verifiche periodiche dovranno essere effettuate almeno ogni 48 mesi.” La revisione delle bombole ECO/ONU R.110 è ogni 4 anni a partire dalla data di prima immatricolazione per i veicoli bivalenti sin dall’origine e successivamente con riferimento alla targhetta GFMB, ma solo per le categorie di serbatoio CNG-1, CNG-2 e CNG-3.
Per la rimanente categoria di bombole, l’iter è differente e viene specificato dalla circolare prot.7865 DIV3/H (link): “La riqualificazione periodica delle bombole per il contenimento di metano per l’autotrazione di tipo CNG-4 installate su veicoli di categoria M1 ed N1 [..] è di competenza degli Uffici della Motorizzazione Civile. La riqualificazione delle bombole, è effettuata la prima volta dopo quattro anni dall’immatricolazione del veicolo e successivamente ogni due anni, questi ultimi applicabili limitatamente alla tipologia di bombole CNG-4 riqualificate con le procedure previste dalle presenti disposizioni. I controlli sono effettuati a vista secondo le raccomandazioni fornite dal costruttore [..] presso le officine della rete dei costruttori dei veicoli[..].” Con circolare prot. 26752 DIV3/H (link) del 30/11/2016 vengono abilitate alla riqualifica delle sopra citate bombole “le officine di autoriparazione che siano state riconosciute quali officine installatrici di impianti di alimentazione con combustibili gassosi a pressione ai sensi della circolare n. 190/84 del 20.10.1984 [..] in possesso della attrezzature previste dai costruttori dei veicoli.” Nonostante questa deroga, è sempre e comunque il funzionario UMC l’incaricato dell’ispezione sulle bombole CNG-4 e questa realtà sta generando non pochi disagi agli automobilisti a causa dell’impossibilità da parte della Motorizzazione Civile di gestire l’ingente mole di lavoro in tempi utili. A peggiorare la situazione, questo caso non rientra fra quelli previsti dalla precedentemente citata circolare prot.22151 div3/H (link): con prenotazione di riqualificazione delle bombole CNG-4 scadute non è ammessa nè la circolazione, nè tantomeno la revisione ministeriale con esito regolare. Per concludere, si rammenta che l’etichetta adesiva (immagine 7) incollata in prossimità del punto di rifornimento dei veicoli alimentati a metano non sostituisce la targhetta GFBN in quanto priva dei riferimenti identificativi delle bombole.
GIORNO, MESE O ANNO?
- Il termine per i serbatoi del GPL fa riferimento al decimo anno dalla data di collaudo/prima immatricolazione, pertanto fa fede il giorno esatto della scadenza senza proroga a fine mese.
- Il termine per il serbatoio CNG è l’ultimo giorno utile del mese indicato per la scadenza in quanto, sia sulla punzonatura della bombola, sia sulla targhetta GFBN non c’è alcun riferimento alla data completa.
ANALISI GAS DI SCARICO
Di seguito sono riportate tre referti campione dell’analisi dei gas di scarico di veicoli alimentati a benzina, GPL e Metano con motori regolarmente funzionanti alla corretta temperatura di esercizio:
BENZINA: La percentuale di Co2 sul volume dei gas di scarico emessi dal veicolo è approssimativamente del 15%.

GPL: La percentuale di Co2 sul volume dei gas di scarico emessi dal veicolo è approssimativamente del 14%.

METANO: La percentuale di Co2 sul volume dei gas di scarico emessi dal veicolo è approssimativamente del 12%.

I combustibili alternativi producono meno Co2 rispetto alla benzina, ma a patto che il relativo sistema di iniezione sia in piena efficienza e privo di anomalie. L’impianto di seconda alimentazione comporta una manutenzione ordinaria/straordinaria spesso trascurata dall’automobilista medio: almeno 1 veicolo bifuel su 10 non supera la revisione ministeriale a causa delle emissioni di GPL/Metano oltre i limiti di legge. A prescindere dall’utilizzo, il motore di un veicolo bivalente deve obbligatoriamente funzionare correttamente con tutte le alimentazioni presenti sulla carta di circolazione.
SERBATOI FISSI PER IL GPL SU AUTOCARAVAN

Dopo anni di confusione normativo, la circolare prot. 19042 del 3/8/2018 (link) disciplina l’installazione dei serbatoi fissi (immagine di destra) per il contenimento di GPL non destinato all’autotrazione per autocaravan: “Per le autocaravan dotate di serbatoi di GPL rispondenti al Regolamento n. R 67 installati sin dall’origine, ed asserviti ad impianti di riscaldamento conformi al regolamento R 122, o alla precedente Direttiva 2001/56/CE, a richiesta dell’utenza, potrà essere annotata sulla relativa carta di circolazione la presenza del serbatoio. [..] I proprietari di autocaravan già immatricolati, che intendano installare permanentemente sul veicolo un serbatoio di GPL rispondente al Regolamento n. R 67 da asservire ad impianti di riscaldamento conformi al regolamento R 122, debbono provvedere all’aggiornamento della carta di circolazione del veicolo presso l’UMC territorialmente competente in riferimento alla sede dell’installatore. [..] L’UMC provvederà, sulla base della documentazione acquisita agli atti, alla stampa di un’etichetta, con la procedura amministrativa in uso, riportante la seguente annotazione: “Aggiornamento per il montaggio di un serbatoio per GPL, rispondente al Regolamento n. R 67 non destinato all’alimentazione del motore (Marca -Numero di serie – Capacità litri -).” Al pari di tutti i serbatoio per il contenimento di GPL, la scadenza è al decimo anno di utilizzo.














Vespa 125 ET3 Primavera del 1976
Con l’avvento della primavere inizia la stagione dei motociclisti e come ogni anno riemergono i consueti dubbi amletici riguardanti l’ammissibilità o meno di alcune modifiche ai veicoli. – Si può circolare senza frecce? La moto è stata omologata così! -. Domanda tanto imprecisa quanto ricorrente, ma merita una risposta definitiva con riferimenti alle normative vigenti. Si può circolare senza frecce, lo afferma il codice della strada, altrimenti come si spiegherebbero i motoraduni domenicali dei Vespa Club? Come tutti sanno, le versioni più blasonate della simpatica icona italiana non sono provviste di indicatori di direzione dall’origine e l’installazione in un secondo momento comporterebbe un vero e proprio stupro alle linee armoniose che l’hanno resa celebre (tralasciando le difficoltà tecniche relative all’installazione).
L’art. 154 del Decreto Legislativo n. 285/92 (link) , il cosiddetto “nuovo codice dalla strada”, disciplina il comportamento dell’automobilista durante il cambio di direzione e prevede indirettamente i veicoli senza indicatori di direzione: [..] 2. Le segnalazioni delle manovre devono essere effettuate servendosi degli appositi indicatori luminosi di direzione. Tali segnalazioni devono continuare per tutta la durata della manovra e devono cessare allorché essa è stata completata. Con gli stessi dispositivi deve essere segnalata anche l’intenzione di rallentare per fermarsi. Quando i detti dispositivi manchino, il conducente deve effettuare le segnalazioni a mano, alzando verticalmente il braccio qualora intenda fermarsi e sporgendo, lateralmente, il braccio destro o quello sinistro, qualora intenda voltare. [..]
La prima parte del quesito iniziale è risolta, ma è bene precisare che non è ammessa la rimozione degli indicatori di direzione su veicoli che li montano di serie in quanto si tratterebbe di alterazione di un equipaggiamento approvato in origine (violazione art.72 del c.d.s.). L’unico documento ufficiale che contiene indicazioni relative a tutte le caratteristiche costruttive del veicolo sono le cosiddette fiches di omologazione, vere e proprie schede tecniche dettagliate che purtroppo non sono accessibili a tutti, tanto meno agli ispettori della revisione ministeriale. Nonostante ciò, la Direttiva Europea 93/92/CEE (link) recepita in Italia con Decreto Ministeriale 3 Novembre 1994 (link) fornisce alcune indicazioni temporali importanti per determinare con certezza la presenza degli indicatori di direzione su alcune categorie di veicoli. A partire dal 1° Novembre 1995 (termine dalla direttiva 93/92CEE negli stati membri) tutti i motoveicoli messi in circolazione devono essere provvisti di indicatori di direzione secondo le specifiche dettate dalla direttiva comunitaria:
[..]Ciascun motociclo a due ruote deve essere munito dei seguenti dispositivi di illuminazione e di segnalazione luminosa:
- 1.1. proiettore abbagliante,
- 1.2. proiettore anabbagliante,
- 1.3. indicatori di direzione,
- 1.4. luce di arresto,
- 1.5. luce di posizione anteriore,
- 1.6. luce di posizione posteriore,
- 1.7. dispositivo d’illuminazione della targa d’immatricolazione posteriore,
- 1.8. catadiottro posteriore, non triangolare. (Allegato IV – 93/92 CEE)
Diverse le regole per i ciclomotori: la direttiva sopra citata non prevede alcun obbligo per le case produttrici di “cinquantini” a due ruote relativo agli indicatori di direzione. A conferma di ciò l’ultima serie del glorioso Piaggio Ciao, il “Kat Euro 2” prodotto dal 2003 al 2006 senza frecce (foto di destra). Fortunatamente la gran parte delle case costruttrici seguendo l’onda dei motocicli ha omologato i ciclomotori a partire dagli anni 90 in poi con indicazioni di direzione, un componente fondamentale per la sicurezza stradale. Di seguito i riferimenti normativi (Allegato II – 93/92 CEE):
[..] Ciascun ciclomotore a due ruote deve essere munito dei seguenti dispositivi di illuminazione e di segnalazione luminosa:
- 1.1. proiettore anabbagliante,
- 1.2. luce di posizione posteriore,
- 1.3. catadiottri laterali, non triangolari,
- 1.4. catadiottro posteriore, non triangolare,
- 1.5. catadiottri dei pedali, solo per i ciclomotori a due ruote muniti di pedali non retrattili,
- 1.6. luce di arresto. .
Ciascun ciclomotore a due ruote può, inoltre, essere dotato dei seguenti dispositivi di illuminazione e di segnalazione luminosa:
- 2.1. proiettore abbagliante,
- 2.2. indicatori di direzione,
- 2.3. dispositivo di illuminazione della targa posteriore di immatricolazione,
- 2.4. luce di posizione anteriore,
- 2.5. catadiottri anteriori, non triangolari.
L’allegato III della direttiva 93/92CEE prevede inoltre l’obbligo di installazione di indicatori di direzione per i ciclomotori a tre/quattro ruote con carrozzeria chiusa.
CURIOSITÀ
La direttiva 2009/67CE (link) del 13 Luglio 2009 che abroga la precedente 93/92CEE non prevede l’obbligo di installazione di indicatori di direzione per ciclomotori a due ruote e ciclomotori triciclo/quadriciclo senza carrozzeria chiusa.
- Alcuni motocicli che si prestano all’uso sportivo sono dotati di impianto elettrico modulare per consentire l’attacco/stacco rapido degli indicatori di direzione, ma per la circolazione su strada – e quindi per la revisione ministeriale – devono avere installati tutti i dispositivi di sicurezza. A tutti gli acquirenti di motocicli pronto pista regolarmente immatricolati da 1° Novembre 1995 viene fornito tutto l’occorrente per la circolazione su strada (immagine di destra)

Vespa 125 ET3 Primavera del 1976


Imparare a riconoscere le varie tipologie di impianto frenante è molto importante per gli ispettore addetti alla revisione ministeriale in quanto un’errata valutazione comporterebbe la falsificazione del test freni, in particolare l’efficienza del freno di soccorso. –Che cos’è questo benedetto freno di soccorso?- A differenza del freno di servizio e del freno di stazionamento che sono due impianti fisici, il freno di soccorso è una conseguenza della struttura dell’impianto di servizio. Senza entrare troppo nel dettaglio (esiste una guida completa a questo link), possiamo affermare che il freno di soccorso subentra dal momento in cui l’impianto frenante perde pressione a causa della rottura di un tubo freno o di altri elementi. Se il veicolo non fosse munito di una pompa freno doppio corpo che divide l’impianto in due parti indipendenti, l’unico modo per fermarlo sarebbe l’azione sul freno di stazionamento meccanico (freno di soccorso – stazionamento), ma fortunatamente la gran parte dei veicoli post-60 sono progettati per far fronte adeguatamente a questi pericolosi imprevisti. La composizione dei due circuiti determina la tipologia del freno di soccorso e dipende dalle caratteristiche tecniche del veicolo: non esiste uno schema più o meno performante, ma per ogni veicolo gli ingegneri hanno progettato la soluzione migliore. Anche il freno di soccorso incrociato (XX) apparentemente più prestante rispetto a quello ripartito per assi (TT) ha i suoi limiti: veicoli con una differenza consistente tra efficienza frenante anteriore e posteriore (freni anteriori a disco – posteriori a tamburo) rischiano una brusca deviazione della traiettoria nella direzione della pinza anteriore del circuito funzionante in caso di frenata di soccorso (immagine sotto).
Per rimediare al problema caratteristico dell’impianto di soccorso ripartito per assi (bassa efficienza dell’asse posteriore nel caso di frenata di emergenza con circuito anteriore fuori uso) è stato progettato il sistema HT, un vero e proprio upgrade dello schema TT. Provate ad immaginare un furgone a pieno carico o un’auto performante con i freni anteriore completamente inattivi: riuscirebbe ad arrestarsi in sicurezza? Proprio negli anni 70 in casa Lancia (quando non esisteva FCA ed il marchio italiano produceva auto di lusso) nasce il sistema Superduplex con freno di soccorso HT (apporfondimento), un’avanguardia lasciata in eredità alle principali case produttrici di furgoni per il trasporto leggero a partire dagli anni 80 in poi. Al circuito meno performante furono accorpati entrambi i freni anteriori utilizzando pinze freno a doppio circuito come supporto ai freni posteriori a tamburo poco efficienti. Il punto di forza di questi impianti è proprio la la costante presenza dei freni anteriori in entrambi i circuiti di sicurezza garantendo una franata con impianto a disco in qualsiasi evenienza (immagine sotto).
CIRCUITO 1: FRENI ASSE ANTERIORE (come negli impianti TT)
CIRCUITO 2: FRENI ASSE POSTERIORE (come negli impianti TT) + FRENI ASSE ANTERIORE

ELEMENTI UTILI AL RICONOSCIMENTO DEGLI IMPIANTI “HT”
Il Renault Master del 1997 è un veicolo con freno di soccorso HT e grazie alla diversa colorazione dei tubi freno a seconda del circuito di appartenenza è un’ottimo esempio per comprendere meglio i vari componenti di questi impianti. Di seguito una guida fotografica passo-dopo-passo con in i vari elementi caratteristici:
1)POMPA FRENO DOPPIO CORPO A 5 USCITE
Circuito 1: (1+2) Tubi freno verdi che si collegano alle pinze freno dell’asse anteriore.
Circuito 2: (3+4+5) Tubi freno neri che si collegano alle pinze freno dell’asse anteriore e all’asse posteriore (il tubo si sdoppierà con un T in prossimità dell’asse).

2)DOPPIA TUBATURA METALLICA IN ZONA RUOTA ANTERIORE DX-SX
Circuito 1: (1+2) Tubi freno verdi che arrivano alle pinze anteriore dx e anteriore sx
Circuito 2 (parziale): (3+4) Tubi freno neri che arrivano alle pinze anteriore dx e anteriore sx (il 5 che va all’asse posteriore non è raffigurato).

3)PINZE FRENO ANTERIORI A DUE INGRESSI
Su entrambe le pinze freno dell’asse anteriore si possono notare due tubi freno in gomma che si ricongiungono ai circuiti metallici proveniente dalla pompa freno (immagine sopra).

4)RACCORDO A T PER IN PROSSIMITÀ DELL’ASSE POSTERIORE
Il tubo freno (5) appartenente al circuito 2 diretto all’asse posteriore si sdoppia tramite un raccordo a T per raggiungere entrambi i freni.

FURGONI CON PROBABILE IMPIANTO FRENANTE “HT”
- Fiat Ducato 1° serie 81-94 (alcune versioni)
- Fiat Ducato 2° serie/2° serie restyling 93-06 (la maggior parte delle versioni)
- Citroen Jumper 1° serie/1° serie restyling 94-06 (la maggior parte delle versioni)
- Peugeot Boxer 1° serie/1° serie restyling 94-06 (la maggior parte delle versioni)
- Mercedes MB100 81-95 (la maggior parte delle versioni)
- Renault Master 2° serie/2° serie restyling 97-10 (alcune versioni)
- Opel Movano 1° serie/1° serie restyling 98-10 (alcune versioni)
- Nissan Interstar 1° serie/1° serie restyling 98-10 (alcune versioni)
N.B. Per una corretta identificazione dell’impianto frenante è necessaria l’analisi approfondita del veicolo. Alcuni dei modelli sopra citati potrebbero avere un altro impianto frenante a seconda dell’allestimento (autocaravan, multivan, veicolo commerciale ecc..) e della presenza o meno del sistema antibloccaggio (ABS). I veicoli dotati di sistema antibloccaggio NON hanno l’impianto frenante HT.






Le prime disposizioni riguardanti i limiti delle emissioni acustiche relative ai veicoli sono contenute nel D.P.R. 393/59 (link) (vecchio codice della strada), più precisamente nel regolamento di esecuzione D.P.R 420/59 (link) del 30 Giugno 1959.
Segnalatore acustico autoveicoli/motocicli:
<<Art. 211) Ogni dispositivo applicato su un veicolo, nelle condizioni normali di montaggio, alimentato dalla batteria carica, o nel caso di dispositivi alimentati da alternatore, per una velocità di rotazione di esso di 1800 giri/minuto, deve dare un livello sonoro soggettivo, misurato sull’asse del veicolo, a 30 metri davanti ad esso, non inferiore ai valori seguenti:
- a) 80 dB per i dispositivi di segnalazione acustica di autoveicoli, filoveicoli e motoveicoli;
- b) 75 dB per i dispositivi di segnalazione acustica dei motocicli aventi cilindrata non superiore a 125 cc.;
- c) 70 dB per i dispositivi di segnalazione acustica del ciclomotori; [..]>>
Emissioni acustiche autoveicoli/motocicli:
<<Art. 214) I dispositivi silenziatori debbono essere realizzati in maniera che il livello sonoro del rumore emesso dal motore non superi i limiti sottoindicati per ogni categoria di veicoli (durante le prove di revisione va considerato il valore riportato sulla carta di circolazione):
- A – Ciclomotori = 83 dB
- B – Motocicli di cilindrata non sup. a 200 cc a 2 tempi = 87 dB
- C – Motocicli di cilindrata non sup. a 200 cc a 4 tempi 90 dB
- D – Tutti gli altri motoveicoli + 92 dB
- E – Autovetture con motore a scoppio di cil. non sup. a 100 cc= 88 dB
- F – Autovetture con motore a scoppio di cil. sup. a 1000 e inferiore od uguale a 1500 cc = 90 dB
- G – Tutti gli altri autoveicoli = 93 dB [..]
Art. 215 [..] [METODO 1] Il rilevamento deve essere eseguito con il microfono sistemato posteriormente al veicolo sull’asse longitudinale di questo a 7 metri di distanza dal piano normale all’asse stesso contenente il centro della sezione di uscita dei gas di scarico, e ad altezza compresa tra metri 1,00 e 1,25 dal suolo. Nessun ostacolo deve frapporsi fra il veicolo ed il microfono. La prova deve essere effettuata con motore stabilizzato al regime di potenza massima senza scarico esterno .>>
Con la direttiva 70/157 CEE del 6 Febbraio 1970 (link) vengono modificate la procedura di verifica delle emissioni acustiche per gli autoveicoli e introdotti nuovi limiti:
[METODO 2]<< Posizione del fonometro: Il punto di misura è il punto X indicato nella figura 2 che si trova a una distanza di 7 metri dalla più vicina superficie del veicolo. Il microfono è collocato a 1,2 metri dal suolo. [..] Il motore di un veicolo senza regolatore di velocità è portato al regime che dà un numero di giri equivalente ai tre quarti del numero dei giri al minuto che, secondo il costruttore, corrisponde alla potenza massima del motore. [..] Il livello sonoro dei veicoli di cui all’articolo 1 della presente direttiva , misurato nelle condizioni previste dal presente allegato, non deve superare i seguenti limiti :
- 1.1 . Veicoli per il trasporto di persone, con al massimo nove posti a sedere, compreso quello del conducente: 82dB
- 1.2. Veicoli per il trasporto di persone, con più di nove posti, compreso quello del conducente, aventi un peso massimo autorizzato non superiore a 3,5 tonnellate: 84dB
- 1.3 . Veicoli per il trasporto di merci, aventi un peso massimo autorizzato non superiore a 3,5 tonnellate: 84dB>>
L’entrata in vigore della sopra citata direttiva è dal 1° Marzo 1974 al 1° ottobre 1975, come previsto dalla successiva direttiva 73/350 CEE (link). La direttiva 77/212CEE del 8 Marzo 1977 (link) irrigidisce ulteriormente i limiti prefissati dalla precedente normativa entro e non oltre il 1° Ottobre 1982:
<<
- 1.1.1 . Veicoli per il trasporto di persone, con al massimo nove posti a sedere, compreso quello del conducente: 80dB
- 1.1.2. Veicoli per il trasporto di persone, con più di nove posti, compreso quello del conducente, aventi un peso massimo autorizzato non superiore a 3,5 tonnellate: 81dB
- 1.1.3 . Veicoli per il trasporto di merci, aventi un peso massimo autorizzato non superiore a 3,5 tonnellate: 81dB >>
(Durante le prove di revisione va considerato il valore riportato sulla carta di circolazione, i valori sopra citati sono relativi all’omologazione con prova in marcia)
La direttiva 81/334CEE del 11 Aprile 1981 (link) modifica ulteriormente la procedura per l’analisi delle emissioni acustiche relative agli autoveicoli (entrata in vigore entro dal 1° Gennaio 1982 al 1° Ottobre 1985):
[METODO 3] <<Per facilitare successivamente il controllo del rumore dei veicoli in circolazione, il livello sonoro deve essere misurato vicino alla imboccatura del dispositivo silenziatore di scarico, conformemente alle seguenti prescrizioni [..] Il microfono dev’essere collocato all’altezza dell’orifizio di uscita del tubo di scarico, ma comunque a non meno di 0,2 m dalla superficie della pista. La membrana del microfono dev’essere orientata verso l’apertura di scarico dei gas ad una distanza di 0,5 m da detto orifizio. L’asse di sensibilità massima del microfono dev’essere parallelo alla superficie della pista e formare un angolo di 45 ± 10° rispetto al piano verticale in cui si trova la direzione d’uscita dei gas di scarico (fig. 2). [..] Il motore deve funzionare costantemente a 3/4 del regime (S) al quale esso sviluppa la sua potenza massima. Appena stabilizzato il regime, il comando dell’acceleratore deve essere riportato rapidamente nella posizione di « minimo ». Il livello sonoro dev’essere misurato per una durata di funzionamento che comprenda un breve periodo a regime stabilizzato e tutta la durata della decelerazione, prendendo come risultato valido l’indicazione massima del fonometro. >>
Per quanto riguarda i motoveicoli, le nuove modalità di misurazione ed i nuovi limiti di emissione acustica vengono introdotti dalla direttiva 97/24CE (link) del 17 Giugno 1997 (entrata in vigore entro il 17 Giugno 1999):
[METODO 4]<<[..]per facilitare successivamente il controllo del rumore di motocicli in circolazione, il livello di pressione sonora deve essere misurato vicino all’uscita del dispositivo di scarico [..] Il microfono deve essere collocato all’altezza dell’uscita del tubo di scarico, comunque a non meno di 0,2 m dalla superficie della pista. La capsula del microfono deve essere orientata verso l’apertura di scarico dei gas ad una distanza di 0,5 m. L’ asse di sensibilità massima del microfono deve essere parallelo alla superficie della pista e formare un angolo di 45° ±10° rispetto al piano verticale in cui si trova la direzione d’uscita dei gas di scarico (figura 2) [..] Il regime del motore deve essere tenuto costante a uno dei seguenti valori:
- S/2 , se S è superiore a 5 000 giri/minuto
- 3S/4, se S è inferiore o pari a 5 000 giri/minuto
(S = regime al quale il motore sviluppa la potenza massima)
Appena raggiunto il regime costante, il comando dell’acceleratore deve essere riportato rapidamente nella posizione di «minimo». Il livello sonoro deve essere misurato durante un periodo di funzionamento che comprenda un breve mantenimento del regime costante e tutta la durata della decelerazione, prendendo come risultato valido l’indicazione massima del fonometro. >>
I nuovi limiti relativi alle procedure di omologazione con veicolo in marcia sono i seguenti (durante le prove di revisione va considerato il valore riportato sulla carta di circolazione):
<<
- Ciclomotori a due ruote <= 25Km/h 66dB
- Ciclomotori a due ruote >25Km/h 71dB
- Ciclomotori a tre ruote 76dB
- Motocicli <=80cm3 75dB
- Motocicli >80cm3 <= 175cm3 77dB
- Motocicli >175cm3 80dB
- Tricicli 80dB
L’aggiornamento della normativa per l’avvisatore acustico dei motoveicoli viene introdotto dalla direttiva 93/30/CEE (link) del 14 Giugno 1993 (entra in vigore entro il 14/6/1995):
<< Il livello di pressione sonora curva A emesso dal o dagli apparecchi montati sul veicolo è misurato ad una distanza di 7 m davanti al veicolo stesso; quest’ultimo è posto su un terreno libero da ostacoli e quanto più levigato possibile e, per i segnalatori acustici alimentati a corrente continua, a motore spento. Il microfono dell’apparecchio di misurazione deve essere collocato approssimativamente sul piano longitudinale mediano del veicolo. Il livello di pressione acustica del rumore ambiente e del rumore generato dal vento devono essere inferiori di almeno 10 dB(A) al livello sonoro da misurare. Il livello massimo di pressione sonora è ricercato in un segmento compreso tra 0,5 e 1,5 m di altezza dal suolo. Il valore massimo del livello sonoro della segnalazione sonora collaudata deve essere:
- a) non inferiore a 75 dB(A) e non superiore a 112 dB(A) per la segnalazione dei ciclomotori;
- b) non inferiore a 80 dB(A) e non superiore a 112 dB(A) per la segnalazione dei motocicli e dei tricicli di potenza inferiore o uguale a 7 kW;
- c) non inferiore a 93 dB(A) e non superiore a 112 dB(A) per la segnalazione dei motocicli e dei tricicli di potenza superiore a 7 kW. >>
La circolare 88/95 (link) del 22 Maggio 1995 relativa alle “procedure di prova sui veicoli da sottoporre a revisione” raggruppa e riorganizza le direttive sopra citate come da tabella:

*La velocità di rotazione del motore dovrà essere quella indicata dalla carta di circolazione, da individuare mediante contagiri. In mancanze del dato andrà inserito il regime di rotazione corrispondente a quello di potenza massima.
**<<La velocità di rotazione del motore dovrà essere quella indicata dalla carta di circolazione, da individuare mediante contagiri. In mancanze del dato, dovranno prendersi:
- Il regime di rotazione corrispondente a 3/4 del regime di potenza massima (per motori senza regolazione di velocità)
- Il regime di rotazione corrispondente a quella massima consentita dal regolatore (per motori con regolatore di velocità)>>
[METODO 2 – AGGIORNAMENTO SECONDO LA CIRCOLARE 88/95]: <<La prova va condotta a 7m dall’asse del tubo di scarico sul lato sinistro rispetto alla direzione della circolazione e perpendicolarmente all’asse longitudinale del veicolo con il microfono posto a 1,20m di altezza dal suolo>>
Per quanto riguarda i motoveicoli, la circolare prot.7938/604 (link) del 29 Settembre 2000, in brave, dispone:

NB – Variazione per quanto riguarda l’analisi delle emissioni acustiche:<<Si prevede inoltre che quando le prove vengono condotte all’interno di locali chiusi, dove la presenza di fonti sonore di disturbo è stata verificata essere molto probabile, il limite di riferimento massimo ammissibile da non superare è, qualora il veicolo rispetti la direttiva 81/334CEE e successive(valido per autoveicoli e motoveicoli), quello indicato sulla carta di circolazione del veicolo aumentato di 2dB.>> (Circolare prot. 64/604 del 19/1/2005 link)
CONSIDERAZIONI
L’immagine di destra è utile per familiarizzare con le principali grandezze relativa al suono inerenti all’argomento:
Pressione sonora: Banalizzando i concetti possiamo definirla come l’effetto fisico dell’onda sonora sull’ambiente circostante. La sorgente (clacson, motore) genera una perturbazione alla normale pressione atmosferica che viene percepita come vibrazione dal ricevitore (timpano) dopo essersi propagata attraverso un mezzo (aria). L’unità di misura è il Pascal, ma trattandosi di valori molto piccoli si utilizza il µ(micro)-Pascal, ovvero il milionesimo di Pascal. Le variabili che influenzano la pressione sonora sono molteplici (potenza sonora della sorgente, densità del mezzo di propagazione…), ma ciò che ci interessa è la proporzionalità inversa con la distanza: con l’aumentare della distanza, la pressione sonora diminuisce.
Livello di pressione sonora: Il rapporto tra la pressione sonora ed una pressione sonora di riferimento che corrisponde alla soglia di udibilità (20 µ(micro)-Pascal) ed ha come unità di misura il deciBel, ovvero la decima parte del Bel. Il Bel è un’unità di misura logaritmica ed è stato introdotto per comodità al fine di semplificare i rapporti tra le varie grandezze riducendo notevolmente il range di valori da considerare (la scala da 20 a 100.000.000 è stata ridotta da 0 a 140).
Livello di pressione sonora = 20log₁₀ (pressione sonora/pressione sonora soglia di udibilità)
Durante le rilevazioni fonometriche, considerando come noto il limite di livello sonoro dell’avvisatore acustico ad una certa distanza x, oppure del silenziatore di scarico ad una distanza y e con motore a regime di giri k, è possibile calcolare il livello sonoro teorico al variare della distanza tra sorgente (clacson, silenziatore) e ricevitore (fonometro). Grazie a questo tool (link) fornito da perizieambientali.com, possiamo “aggiornare” i vecchi limiti relativi all’avvisatore acustico di veicoli ormai sempre più rari in quanto, come minimo, ultraventennali.
- 80dB (30m) = 92,6dB (7m)
- 75dB (30m) = 87,6dB (7m)
- 70dB (30m) = 82,6dB (7m)
Un’equazione simile si potrebbe applicare anche per le emissioni acustiche, ma probabilmente la diversa altezza ed orientamento del fonometro influirebbero sul valore equivalente (nulla di impossibile – esistono gli ingegneri anche per questo).
Al fine di semplificare e velocizzare i processi, non sarebbe utile uniformare le procedure? Quanti centri di revisione hanno i locali a norma per la prova fonometrica a 30m? Ha senso l’investimento per un capannone sovradimensionato solo per l’analisi di veicoli prossimi all’estinzione?

(S = regime al quale il motore sviluppa la potenza massima)



NB – Variazione per quanto riguarda l’analisi delle emissioni acustiche:<<Si prevede inoltre che quando le prove vengono condotte all’interno di locali chiusi, dove la presenza di fonti sonore di disturbo è stata verificata essere molto probabile, il limite di riferimento massimo ammissibile da non superare è, qualora il veicolo rispetti la direttiva 81/334CEE e successive(valido per autoveicoli e motoveicoli), quello indicato sulla carta di circolazione del veicolo aumentato di 2dB.>> (Circolare prot. 64/604 del 19/1/2005 link)
CONSIDERAZIONI
L’immagine di destra è utile per familiarizzare con le principali grandezze relativa al suono inerenti all’argomento:
Pressione sonora: Banalizzando i concetti possiamo definirla come l’effetto fisico dell’onda sonora sull’ambiente circostante. La sorgente (clacson, motore) genera una perturbazione alla normale pressione atmosferica che viene percepita come vibrazione dal ricevitore (timpano) dopo essersi propagata attraverso un mezzo (aria). L’unità di misura è il Pascal, ma trattandosi di valori molto piccoli si utilizza il µ(micro)-Pascal, ovvero il milionesimo di Pascal. Le variabili che influenzano la pressione sonora sono molteplici (potenza sonora della sorgente, densità del mezzo di propagazione…), ma ciò che ci interessa è la proporzionalità inversa con la distanza: con l’aumentare della distanza, la pressione sonora diminuisce.
Livello di pressione sonora: Il rapporto tra la pressione sonora ed una pressione sonora di riferimento che corrisponde alla soglia di udibilità (20 µ(micro)-Pascal) ed ha come unità di misura il deciBel, ovvero la decima parte del Bel. Il Bel è un’unità di misura logaritmica ed è stato introdotto per comodità al fine di semplificare i rapporti tra le varie grandezze riducendo notevolmente il range di valori da considerare (la scala da 20 a 100.000.000 è stata ridotta da 0 a 140).
Livello di pressione sonora = 20log₁₀ (pressione sonora/pressione sonora soglia di udibilità)
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