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Gennaio 2020

Per gli utentiPer gli operatori

La cosiddetta revisione ministeriale è il controllo periodico del veicolo imposto dallo Stato per garantire la salvaguardia della sicurezza stradale e la tutela dell’ambiente. La natura di questo obbligo è molto semplice e chi è convinto che si tratti semplicemente di un modo come un altro per fare cassa ha una visione decisamente limitata: allo Stato non interessa racimolare 9,90€ di IVA e 10,20€ di bollettino postale a revisione, bensì assicurarsi di non avere spese extra a proprio carico. Già, perchè un invalido a vita a seguito di incidente stradale è una grosso costo per l’INPS, così come un intervento operatorio o un malato di cancro a causa dell’inquinamento prodotto da veicoli lo è per il SSN (Sistema Sanitario Nazionale). Anche la civiltà di un paese in parte si misura con il numero di vittime di incidenti stradali, quindi è abbastanza comprensibile la ragione per cui lo Stato non si affida al buonsenso dei cittadini, ma prescrive un obbligo di questo genere. A dire la verità sarebbe nell’interesse di tutti avere la certezza e la garanzia di circolare su un veicolo sicuro, ma purtroppo, come abbiamo constatato in questi anni “sul campo”, non è così. Andiamo oltre.

Il primo controsenso del settore revisioni è proprio la natura di chi effettivamente svolge i controlli sui veicoli. Abbiamo parlato di obbligo imposto dallo Stato, quindi sarebbe ragionevole pensare a soggetti pubblici come la Motorizzazione Civile, ma in Italia dal 1997 funziona diversamente. Con il cambio della periodicità del controllo ministeriale da decennale alla formula attuale “4+2+2”, le strutture pubbliche non sono più state in grado di gestire l’ingente nuova mole di lavoro, quindi hanno delegato i centri di revisione privati ad esercitare sul territorio questa funzione. Privato/pubblico, un ossimoro a tutti gli effetti. Coloro che fino al giorno prima smontavano pneumatici, sostituivano frizioni e riparavano motori sono improvvisamente diventati funzionari dello Stato a tutti gli effetti, senza però avere alle spalle un adeguato percorso formativo ed un sistema in grado di funzionare correttamente. La revisione ministeriale diviene così business, un servizio come un altro erogato da autofficine e centri di revisione, ma con il valore aggiunto di poter indurre il cliente ad eseguire altri lavori presso la propria struttura. – I pneumatici sono troppo usurati per poter superare la revisione ministeriale, sono da sostituire – Già, ma la sostituzione degli pneumatici viene imposta per “garantire la salvaguardia della sicurezza stradale” o per il compenso? La riposta potrebbe anche essere “entrambi” in questo caso, ma è ineccepibile il principio per cui un giudizio veritiero ed affidabile deve necessariamente essere libero ed imparziale: in questo caso non lo è. E se la riparazione andasse oltre alle competenze del meccanico o semplicemente non ci fosse il tempo materiale per eseguirla? Sia chiaro, l’intento di questo articolo non è quello di etichettare come disonesti o furbacchioni alcuni soggetti o determinate categorie, ma semplicemente portare alla luce semplici realtà sotto gli occhi di tutti. Se un privato decide di fare impresa in questo settore lo fa per guadagnare, non certo per diventare paladino della giustizia sociale: le imprese sono imprese, non o.n.l.u.s.

Guadagnare da una funzione pubblica in realtà non è un problema, ma se la natura del servizio viene intaccata dalla ricerca del guadagno lo diventa, eccome se lo diventa. Lo Stato opera in regime di monopolio, i privati in libera concorrenza: la revisione “pubblica” eseguita ad opera dei funzionari della Motorizzazione Civile segue un unico protocollo da Aosta a Palermo, quella privata invece è costruita a misura del cliente/automobilista. “Marco Revisioni garantisce revisioni in 15 minuti per i clienti frettolosi, Rossi Car Milano invece è noto per essere poco severo nel giudizio, ma non dimentichiamo Car Service SRL che sconta la tariffa ministeriale imposta dalla legge.”  Tutto questo non è sicuramente per cercare a tutti i costi di garantire il più possibile la sicurezza stradale e la salvaguardia dell’ambiente: sono affari, solo affari. Il disperato tentativo di accaparrarsi a tutti i costi nuovi clienti ha contribuito alla degenerazione del concetto di controllo tecnico del veicolo sminuendolo al punto tale che oggi la revisione ministeriale è rappresentata da un misero talloncino cartaceo con riportante la dicitura “revisione regolare” al costo di 66,88€. Questo è il frutto degli oltre vent’anni di mala educazione impartita ai cittadini dei primi centri di revisione attivi sul territorio e tutti ne pagano le conseguenze: il cliente ormai questo vuole ed in un modo o nell’altro lo ottiene. Un centro revisioni non è disposto a certificare come regolare un veicolo difforme? Nessun problema, un altro nel raggio di 5Km lo farà senz’altro per la gioia dell’automobilista ignaro che magari avrà la faccia tosta di recensire negativamente il primo centro. “1 stella su 5 – Dopo aver aspettato un ora mi hanno detto che la revisione non sarebbe stata regolare per il parabrezza rotto. Sono andato da un’altra parte e me l’hanno fatta in 5 minuti senza problemi. Sconsiglio vivamente”. Tutto ciò succede veramente, in Italia, nel 2020.

La parte più bizzarra di tutta questa vicenda è la modalità con cui la Pubblica Amministrazione ha cercato inutilmente di contrastare la giungla dei centri di revisione privati che sin dal principio hanno dimostrato di non essere all’altezza del ruolo sociale affidatogli dallo Stato. Alcune imprese effettuavano oltre cento revisioni al giorno quando il tempo medio per un controllo accurato è di circa 20/25 minuti mentre altre stampavano l’etichetta attestante la revisione regolare direttamente sui libretto senza neanche vedere il veicolo. Il sistema non funzionava, era un dato di fatto. Un buon architetto – ma anche un comunissimo muratore – non edificherebbe mai su una base poco solida, ma i direttori generali della Motorizzazione, in barba ad ogni logica, hanno letteralmente costruito una splendida cattedrale su fondamenta di cartapesta. I centri di revisione sono stati man mano equipaggiati di attrezzature informatizzate (Protocollo Mctc Net 1/2) per garantire il rispetto della normativa da parte degli operatori, ma ogni tipo di controllo è stato eluso con semplicità. È stata addirittura introdotta nel lontano 2003 una formazione obbligatoria per il “responsabile tecnico” – l’operatore addetto al controllo dei veicoli -, ma il più delle volte questa figura coincideva con un dipendente della struttura senza alcun potere decisionale: ora sapeva quello che doveva fare, ma non poteva comunque farlo. Dipendente o titolare poco cambia: i primi sono subordinati al titolare che a sua volta è subordinato alle logiche del mercato, i secondi sono semplicemente “schiavi” dei propri clienti e quindi del mercato. [Curiosità – Dal 2015 i centri di revisione sono stati dotati di fotocamera per certificare l’effettiva presenza del veicolo in sede. In alcune realtà è stato appurato che è il cliente stesso a fotografare la propria auto inviando l’immagine al centro revisioni che provvede a visualizzarla su un tablet posto davanti alla fotocamera ufficiale: viene immortalato un veicolo che di fatto, non ha mai eseguito il controllo ministeriale. Eppure l’etichetta afferma il contrario. Tutto questo sempre in Italia, nel 2020.]

Arrivati a questo punto, anche un idiota è in grado di comprendere che forse i problemi del settore vanno leggermente oltre alla questione dei macchinari e delle attrezzature. Finchè converrà, anzi, sarà necessario eludere il sistema per accaparrarsi i clienti non più per straguadagnare, ma semplicemente per tirare a campare, tutti i centri di revisione saranno costretti a farlo, chi più, chi meno. Già, perchè nel frattempo il business delle revisioni è stato fiutato da parecchie autofficine e le imprese abilitate sono cresciute a dismisura superando di gran lunga il fabbisogno effettivo: c’è troppa concorrenza e purtroppo a rimetterci è sempre più il concetto di “controllo tecnico del veicolo” e di conseguenza la sicurezza stradale. Come invertire la tendenza? Innanzitutto, occorre prendere atto della presenza di oltre 9000 imprese private che si occupano di revisioni ministeriali: non hanno avuto una buona condotta negli anni, ma non si può certo eliminarle o portarle al fallimento. Nell’interesse di tutti, titolare dei centri di revisione in primis, andrebbe svincolato da ogni conflitto d’interesse l’operatore che materialmente svolge il controllo sui veicoli garantendo così il principio di imparzialità che avvalora il giudizio. Non è fantascienza, ma si tratta del cosiddetto principio di terzietà previsto dalla normativa europea 2014/45eu che avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema delle revisioni ministeriali dal 2014 in poi, ma ad oggi in Italia siamo ancora vergognosamente fermi. Sicuramente da porre sotto analisi la situazione di alcune strutture private in cui la figura del titolare coincide con quella dell’operatore che esegue materialmente il controllo sul veicolo: possono considerarsi imparziali? Pare proprio di no.

Per gli utentiPer gli operatori

Ti ricordi quei fantastici anni in cui esportare i veicoli nell’Europa dell’est era la soluzione a tutto? Auto con un’infinità di chilometri che in Italia sarebbero state invendibili, grazie a questa forma di commercio acquistavano un minimo di valore facendo risparmiare al proprietario gli oneri della rottamazione. Il discorso si poteva estendere ai veicoli i cui costi di riparazione superavano di gran lunga il valore di mercato: automobili di fascia premium non marcianti, per poche migliaia di euro, venivano spedite in Romania, Bulgaria, Albania, Polonia o paesi baltici. Stesso destino per le supercar, magari datate, nel mirino del redditometro: chi comprerebbe oggigiorno una Range Rover di grossa cilindrata con il rischio di accertamenti fiscali e noie ad ogni posto di blocco da parte della Guardia di Finanza? E i simpatici bigliettini da visita dei commercianti stranieri che ritrovavi puntualmente sotto ai tergicristalli dopo aver parcheggiato per pochi minuti nelle vie del centro? “Compro auto fuse, incidentate, chilometrate. Pagamento immediato in contanti. Chiamami subito, JORDAN – 339….. (anche Whatsapp!)” Volantinaggio efficientissimo, grafica un po’ meno, ma poco importa: è tutto finito, almeno sulla carta.

Il Decreto Legislativo n.98 del 29 Maggio 2017 (link) contenente le disposizioni transitorie per il rilascio del “documento unico di circolazione” modifica, apparentemente senza nesso logico, il comma 1 dell’art. 103 del Codice della Strada come riportato:

<<Per esportare definitivamente all’estero autoveicoli, motoveicoli o rimorchi, l’intestatario o l’avente titolo chiede all’ufficio competente del Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali e del personale la cancellazione dall’archivio nazionale dei veicoli e dal P.R.A., restituendo  le relative targhe e la carta di circolazione, secondo le procedure stabilite dal Dipartimento stesso nel rispetto delle vigenti norme comunitarie in materia. La cancellazione e’ disposta a condizione che il veicolo sia stato sottoposto a revisione, con esito positivo, in data non anteriore a sei mesi rispetto alla data di richiesta di cancellazione. Per raggiungere i transiti di confine per l’esportazione il veicolo cancellato può circolare su strada solo se munito del foglio di via e della targa provvisoria prevista dall’articolo 99.>>[Entrata in vigore: 1° Gennaio 2020].(Leggi il comunicato MIT-Aci).

LE MOTIVAZIONI

Numerose fonti parlano di lotta al traffico illecito di rifiuti, identificando come tali i veicoli incidentati, non marcianti o in pessimo stato generale, ma come tutti sanno, l’automobile è un po’ come il maiale: non si butta via nulla (o quasi). Fatta eccezione per alcuni particolari riconosciuti come “rifiuto pericoloso” dalla normativa vigente e quindi soggetti ad oneri di smaltimento, ogni componente di un veicolo può essere rivenduto come ricambio usato, il carburante può essere riutilizzato mentre il rottame del telaio viene commerciato a peso come metallo. Persino il piombo contenuto nelle batterie esauste ha un valore non indifferente, mentre gli pneumatici ancora in buono stato alimentano il fiorente business delle “gomme usate”, ma questo settore purtroppo non campa solo di riciclo e riutilizzo. Molti veicoli invendibili acquisiscono valore di mercato in virtù della lecita provenienza in quanto sono destinati a diventare “cloni”.  Le automobili rubate naturalmente non possono circolare su strada con numeri di telaio e targhe riconducibili al legittimo proprietario, quindi sono necessari i documenti e le matricole di un veicolo “pulito” ed acquistabile a basso costo (incidentato, fuso ecc..). I numeri di telaio vengono ribattuti, le targhe sostituite ed il veicolo regolarmente acquistato viene demolito: l’automobile rubata di conseguenza avrà i documenti e gli identificativi di quella “pulita” potendo così circolare liberamente. Non è certo l’esportazione a favorire queste pratiche, nonostante sia un espediente in più per mascherare il reato: trucchetti del genere avvengono quotidianamente anche in Italia, alla luce del giorno. La verità è che il commercio di veicoli verso altri paesi sfavoriva l’industria nazionale del riciclo e quella siderurgica: sono solo interessi, nulla di più. E il principio fondante della Comunità Europea che prevede libera circolazione delle merci fra Stati membri che fine ha fatto? Autodemolitori 1 – Comunità Europea 0.

LE CONTROVERSIE

Annuncio di vendita di un “rifiuto” secondo la normativa vigente

Prendendo per vero il buon proposito della lotta al traffico di rifiuti, l’art. 103 del Codice della Strada ci fornisce il criterio per stabilire se un veicolo è un rifiuto o meno: l’esito della revisione ministeriale. Fermo restando che in sei mesi può succedere di tutto, quindi sarebbe stato più ragionevole un controllo posteriore alla richiesta di “radiazione per esportazione”, l’errore principale è un altro. La revisione ministeriale non stabilisce se un veicolo è da rottamare o meno, ma decreta se è perfettamente idoneo o meno alla circolazione su strada, e c’è una bella differenza. Non solo i catorci vengono “bocciati” al controllo ministeriale: un veicolo con emissioni di CO fuori norma viene sospeso dalla circolazione mentre, ad esempio, in caso di pneumatici usurati viene assegnato l’esito “RIPETERE”. In teoria, anche una lampadina non funzionante compromette l’esito della revisione ministeriale, così come un braccio oscillante danneggiato, un ammortizzatore scarico o una turbina rotta. Spesso sono proprio gli ingenti costi di riparazione la principale ragione per cui un automobilista decide di vendere il proprio veicolo ai commercianti che si occupano di export, ma a queste condizioni non è più possibile. Per esportare un’automobile è obbligatorio rimetterla a nuovo, ma è sicuramente una scelta antieconomica considerando l’alto costo della manodopera in Italia: tocca rottamarla perdendo, o meglio, regalando ai demolitori il valore residuo del proprio veicolo. Ad ogni modo, cittadini e commercianti non sono gli unici danneggiati da questo nuovo provvedimento: l’intero settore del collezionismo viene duramente penalizzato in quanto le compravendite di restauri parziali, veicoli incompleti o non marcianti è all’ordine del giorno. –Qualcuno può aiutarmi? Una Ferrari F40 con motore da rifare va nell’umido o nell’indifferenziato?-

ALLA FINE, NON CAMBIERÀ NULLA

I lettori più attenti avranno senz’altro fatto caso ad alcuni grassetti che evidenziano come alcune disposizioni, all’atto pratico, non vengono ne verranno mai attuate. I Centri di Controllo nascono su concessione dello Stato per selezionare i veicoli idonei alla circolazione su strada, ma un rapido esame del parco circolante non lascia dubbi sulla pessima condotta di queste attività. Casi di cronaca relativi alle cosiddette “revisioni facili”, condanne e revoche di licenza sono molto frequenti in questo settore, a conferma che forse, la privatizzazione del controllo ministeriale è stato un grave errore sotto svariati punti di vista. I commercianti troveranno sicuramente un centro revisioni compiacente disposto a certificare come regolare un veicolo incidentato o non marciante rendendo così le documentazioni conformi all’esportazione. Per l’ennesima volta, gli onesti vengono penalizzati dalla legge: chi opera in ottemperanza alla normativa verrà scartato a favore di chi “chiude un occhio”: in Italia funziona così. L’unica speranza per le imprese serie sono i controlli alla frontiera da parte degli ispettori della dogana: fra quanto si sentirà parlare di bisarche piene di veicoli decrepiti, ma sulla carta “regolari”? É solo questione di tempo.