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Gennaio 2019

Per gli utentiPer gli operatori

Dopo aver analizzato il passato del settore revisioni (link articolo), è bene approfondire il presente per poter avanzare delle ipotesi attendibili sul futuro, ammesso che ci sia un futuro. Per cominciare, un fatto avvenuto circa un anno fa, un esempio delle migliaia di realtà esistenti sul territorio che esamineremo successivamente:

“18 Luglio 2018: Un cliente si presenta in officina chiedendo di carburare un vecchio motard anni 90 che a seguito di una revisione periodica era stato sospeso dalla circolazione per le emissioni inquinanti oltre i limiti di legge. Disponendo di  un analizzatore, prima di effettuare un qualsiasi intervento meccanico decido di testare a mia volta i gas di scarico simulando la prova che avviene durante il controllo ministeriale. Primo problema: la sonda generica di prelievo non entra correttamente nel terminale scarico a causa di un impedimento meccanico. Si può considerare veritiero il test? Assolutamente no, ma questa deduzione è frutto di una conoscenza che va ben oltre il “verde-regolare, rosso bocciato*”, una conoscenza che dovrebbero avere tutti i tecnici abilitati dal Ministero dei Trasporti. Il referto complessivo della revisione conferma la mia ipotesi: la sonda di prelievo aspira aria oltre ai gas di scarico del veicolo alterando i valori della prova e compromettendo l’esito del controllo tecnico. Sicuramente il collega non conosceva il Decreto 20 Giugno 2003 – G.U. 145 15/6/2013 (link), in particolare i punti che definisco le diverse modalità di esecuzione del test a seconda del diametro interno del terminale di scarico: <<Accertare che lo scarico del veicolo sia a tenuta e che il sistema di controllo delle emissioni, se esiste, sia costituito dall’equipaggiamento previsto dal costruttore. Sono ammessi eventuali ingressi supplementari di aria se previsti dal costruttore.  Introdurre nella tubazione di scarico la sonda di prelievo dei gas da 6 mm per almeno 100 mm, con diametri interni dello scarico da 12 a 20 mm. Introdurre nella tubazione di scarico la sonda di prelievo dei gas da 10 mm per almeno 200 mm, con diametri interni dello scarico maggiori di 20 mm. Per la particolare conformazione della tubazione di scarico o con diametro interno inferiore a 12 mm o in alternativa alle condizioni precedenti occorre prolungare lo scarico attraverso l’uso di una prolunga metallica di almeno 400 mm (þ 5 mm) con diametro interno di 50 mm (þ 5 mm) (raggiunto in modo graduale) verificando che il collegamento sia a tenuta e che la sonda sia introdotta nella prolunga per almeno 300 mm.>> Benissimo, dopo aver appurato che il motociclo fosse a norma con le emissioni inquinanti, mi metto in contatto con il responsabile tecnico che ha eseguito la revisione per concordare il giorno del riesame. Con piacere scopro che si tratta di una ragazza, la Sig.rina Rossi**, figlia del titolare dell’impresa che si occupa di pneumatici e revisioni ministeriali. L’indomani mi presento all’appuntamento con il motociclo ed una copia della normativa precedentemente citata, pronto ad un confronto professionale con la collega. Contro ogni pronostico, dopo pochi scambi di opinione, il Sig. Rossi** si rende conto che la figlia si stava letteralmente arrampicando sugli specchi e ci interrompe: -5 minuti e arriva il ragazzo, è meglio se parli con lui-. Per chi non avesse inteso, l’organizzazione del centro era la seguente: l’operaio generico svolge materialmente la revisione ministeriale mentre l’impiegata d’ufficio firma i referti essendo l’unica in possesso dell’abilitazione. Molto probabilmente non sapevano dell’esistenza della circolare A33/99/MOT prot. n. 1928/FP3 (link), anzi, sicuramente, poichè un gommista ed un responsabile tecnico con alle spalle un misero corso di 32 ore non possono conoscere la normativa nel dettaglio:<<[..]Deve ritenersi non dato al responsabile tecnico di delegare ad altri anche semplici fasi del suo compito: egli deve presenziare e certificare personalmente tutte le fasi che si riferiscono alla sua responsabilità e che sono direttamente connesse alla sicurezza stradale del mezzo>>. Torniamo a noi. Dopo aver convinto l’operaio ad utilizzare l’attrezzatura congrua al motociclo (immagine sopra), finalmente viene avviato il controllo ministeriale: sono le ore 13:40. Tralasciando una serie di malfunzionamenti della linea revisioni di bassa qualità, la goffaggine dell’operatore e l’inesperienza con lo strumento che aveva da poco rispolverato, la revisione procedeva molto lentamente e non ero l’unico ad accorgermene. Alle ore 14:05 eravamo ancora in alto mare ed i clienti cominciavano a far pressione al Sig. Rossi che non poteva posizionare i veicoli sui ponti sollevatori in quanto la revisione in corso ostruiva l’unico accesso. Ore 14:25: finalmente si arriva al dunque e la regolare attività del gommista può riprendere, di corsa naturalmente vista la mole di lavoro accumulatasi nel frattempo. Ricordo molto bene le ultime parole del Sig. Rossi prima dei saluti: – Ma chi me l’ha fatto fare di aprire il centro revisioni? Dovessi tornare indietro…mai più!”-.

(*)Nei software che gestiscono la revisione ministeriale, solitamente i valori regolari vengono contrassegnate in verde mentre quelli irregolari in rossa. (**)Nome di fantasia.

A seguito di questo breve aneddoto, è interessante stimare la mole dei Sig. Rossi presenti sul territorio, ovvero gli autoriparatori che hanno acquistato una linea revisioni unicamente per dare un servizio aggiuntivo ai clienti. Per l’ennesima volta tornano utili i dati forniti da Osservatorio Revisione Veicoli, in particolar modo il grafico seguente:

Oltre il 50% dei centri di revisione non arriva a 1500 revisioni annue, una mole di lavoro che lascia intendere si tratti di imprese ibride che si occupano contemporaneamente di autoriparazione e controllo ministeriale. Siamo sicuri che questo allontanamento dal core business (fonte principale di guadagno di un’azienda) sia stato un buon investimento? Chi si occupa da anni di revisioni ministeriali è ben avvezzo alla semplicità con cui si perde clientela, ma un gommista, ad esempio, sarebbe disposto a perdere una flotta aziendale di dieci veicoli commerciali a cui sostituisce regolarmente gli pneumatici per una misera revisione (66,88€ contro migliaia di euro)? Le opzioni sono due, in entrambi i casi controproducenti: scendere a compromessi con le revisioni ministeriali rischiando guai penali oppure operare secondo il protocollo perdendo matematicamente preziosi clienti. Non si tratta di deduzione, ma è un dato di fatto: molti imprenditori sono coscienti di essersi immischiati in un settore che non riescono a gestire vista la radicale differenza con le dinamiche dall’autoriparazione in generale. Come se non bastasse, la scelta il più delle volte non è frutto di un business plan accurato, ma il meccanico si può definire vittima del marketing spietato dei venditori di strumentazioni che promettono facili guadagni senza menzionare tutte le problematiche del settore. Un po’ il commercialista che consiglia di acquistare attrezzatura per abbassare gli utili, un po’ i piani di ammortamento favorevoli che vengono proposti ultimamente, ed ecco che il Sig. Rossi firma la condanna a morte della propria piccola impresa. Da menzionare anche coloro che hanno aperto per necessità: l’autofficina con centro revisioni “di fiducia” a cui indirizzavano i propri clienti per il controllo ministeriale il più delle volte cercava di promuovere altri servizi generando un conflitto d’interessi (nell’immagine di destra un punto della campagna dell’associazione di categoria Asso.Car). Lo Stato darà una seconda chance ai vari Sig. Rossi o sarà il mercato a fare piazza pulita?

Per gli operatoriPer gli utenti

Sono trascorsi oltre vent’anni dalla privatizzazione delle revisioni ministeriali per i veicoli di massa inferiore a 35q.li. (Art. 80 del nuovo codice della strada – D.L 285 del 30/04/1992) e la situazione è degenerata a punto che il settore ha perso credibilità agli occhi di tutti. La carenza di personale della Motorizzazione Civile e l’abbandono della supervisione nei confronti delle imprese addette al controllo dei veicoli è sfociata in un regime di totale anarchia ormai impossibile da recuperare. Le cosiddette mele marce, ovvero i centri di revisione irregolari considerati dalle Autorità come una minoranza, non erano poi un fenomeno di proporzioni trascurabili. Errata valutazione? Assolutamente no, sottostimare era l’unica soluzione per scrollarsi di dosso le evidenti responsabilità. Già, perchè se i frutti guasti fossero una minima parte si potrebbe pensare a vermi o parassiti, ma viste le circostanze probabilmente è l’albero ad essere gravemente malato. Al pari dei maxi-processi in cui lo Stato figura al banco degli imputati, anche in questo caso il problema principale è la natura dei presunti colpevoli e le conseguenze sull’opinione pubblica. Chi dirà agli imprenditori che il sistema fa acqua da tutte le parti e non c’è modo di rimediare se non con una rivoluzione generale del settore? L’errore di base è stato presentare il controllo ministeriale dei veicoli come un’accessorio dell’autoriparazione per ingolosire i meccanici ad investire risorse in questa nuova opportunità (è bene ricordare che questa gentile concessione deriva dall’impossibilità di gestire nelle strutture pubbliche la mole di lavoro dopo l’introduzione della periodicità dei controlli “4+2+2”). Questo concetto viene illustrato nell’art. 239 del regolamento di attuazione del nuovo codice della strada (link): “Le imprese di cui all’articolo 80, comma 8, del codice devono [..] essere iscritte in tutte le quattro sezioni del registro di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 122, ovvero in tutte e quattro le sezioni dello speciale elenco previsto dall’articolo 4 della medesima legge [..]” In parole povere, non solo i centri di revisione dovevano avere legami con l’autoriparazione, ma erano tenuti a dimostrare di essere contemporaneamente meccanici, gommisti, carrozzieri ed elettrauto (con legge n.224/2012 la categoria “meccanico” ed “elettrauto” sono state incorporate nella nuova sezione “meccatronica”). Chi dirà agli autoriparatori che hanno acquistato attrezzatura fittizia per ottenere le “categorie” che secondo la normativa europea il centro di controllo dovrebbe essere indipendente dall’autofficina per limitare ogni tipo di conflitto d’interesse? Di seguito un estratto del considerando 34) della direttiva 2014/45ue (link): “Gli Stati membri dovrebbero poter prescrivere requisiti in materia di separazione delle attività o autorizzare un organismo privato a effettuare i controlli tecnici e le riparazioni di veicoli, anche sullo stesso veicolo, qualora l’organo di controllo abbia accertato positivamente che resta mantenuto un elevato livello di obiettività.” “Fortunatamente” lo Stato italiano nei decreti attuativi ha camuffato goffamente questi “dettagli” cercando di mantenere invariato il regime, ma ciò che non potranno tralasciare è l’elemento centrale della normativa europea: l’ispettore. Chi dirà ai titolari dei centri di revisione che i requisiti minimi che dovrà rispettare l’operatore che materialmente esegue il controllo ministeriale non sono neanche lontanamente paragonabili a quelli previsti dall’art. 240 del regolamento di attuazione del c.d.s. (link)? Fino ad oggi era sufficiente un qualsiasi non pregiudicato che avesse superato un corso di 32 ore, ma ora si parla di aggiornamento costante, competenze comprovate e soprattutto libertà decisionale. Non è finita. Il già citato art. 239 del regolamento di attuazione del c.d.s. prevedeva le misure minime per i locali in cui avveniva il vero e proprio controllo del veicolo:  Le singole officine per le quali vengono rilasciati gli atti di concessione devono essere dotate di locali che, oltre a possedere le prescritte autorizzazioni amministrative, devono avere: a) superficie non inferiore a 120 m; b) larghezza non inferiore a 6 m; c) ingresso avente larghezza ed altezza rispettivamente non inferiori a 2,50 m e 3,50 m”. Le uniche indicazioni relative all’altezza sono le specifiche dell’ingresso, al fine di consentire il transito di tutti i veicoli di massa inferiore a 35 q.li. Una miriade di centri di revisione sono stata autorizzati con ambienti alti poco più di 3,50m, non considerando che il veicolo doveva essere sollevato sul ponte per la prova-giochi ad un altezza minima di 1,80m. Come dire agli imprenditori che i locali sono stati autorizzati irregolarmente dopo averli approvati qualche anno prima? Alcune attività sono state limitate a seguito di visite ispettive (immagine di destra), ma quante ancora faranno la stessa fine? Il problema è molto serio: la mancanza dell’altezza minima per eseguire i controlli è la prova chiare ed inconfutabile che le revisioni sono state eseguite solo parzialmente e di conseguenza sono in circolazione autocarri potenzialmente pericolosi. Come se non bastasse, l’intero settore sta vivendo un periodo di crisi, una recessione facilmente prevedibile che per secondi fini commerciali non è stata scongiurata. I grafici seguenti mostrano chiaramente la diminuzione del numero di revisioni pro-capite dovuta alla crescita incontrollata dei centri di revisione ben oltre il fabbisogno teorico (oggi sono circa 9000). Chi ha autorizzato tutto ciò? Chi ha venduto la sicurezza stradale ai produttori di attrezzature e agli enti che si occupano di formazione? 

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